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Sentenza del Tribunale penale di Verona di assoluzione dei pacifisti per il blocco del treno militare, 1997

in “Azione nonviolenta”, aprile 1997
Logo Centro di Ateneo per i Diritti Umani "Antonio Papisca", Università di Padova

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il tribunale penale di VERONA

Sezione PENALE

nelle persone di:

1.DOTT. MARIO SANNITE Presidente

2.DOTT. LUCA MARINI Giudice

3.DOTT. MARCO ZENATELLI Giudice ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento penale

CONTRO

BENCIOLINI VINCENZO 

BORMOLINI GUIDALBERTO 

BRUNETTO GIOVANNI

BRUNETTO STEFANO

CORRADI MASSIMO 

CORSO GILIOLA

GASPARI MONIKA

GERACI DIEGO

GIRARDI ENRICO

GREENWAY PETRONELLA

PERROTTA CATERINA

PIERINI IRIDE

ROCCA VINCENZO

TOMBA LUIGI

TOSI MAURIZIO

VALPIANA MASSIMO

ZIGNOLI GIOVANNI

IMPUTATI

del delitto di cui agli art. 110 CP, art. 1 ultimo comma d.l.vo n. 66/1948 perché, in concorso tra loro, ostruivano ed ingombravano i binari d’entrambe le direzioni di corsa della ferrovia con la presenza fisica ed anche sdraiandovisi sopra, al fine di impedire la libera circolazione di un convoglio viaggianti con precedenza assoluta e recante forniture militari con destinazione Livorno e per il Golfo Persico.

In Pescantina il 12/2/1991

CONCLUSIONI

Il Pubblico Ministero chiede la concessione delle attenuanti generiche prevalenti e la condanna di tutti gli imputati alla pena di mesi 10 di reclusione ciascuno.

L’Avv. M. Corticelli per:

Benciolini Vincenzo – Bormolini Guidalberto – Brunetto Giovanni – Brunetto Stefano – Corso Giliola – Gaspari Monika – Geraci Diego – Greenway Petronella – Parrotta Caterina – Pierini Iride – Tomba Luigi – Tosi Maurizio chiede l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Chiede il dissequestro di tutto il materiale sequestrato.

L’Avv. G. Schettini del foro di Bologna per Girardi chiede l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato o per non aver commesso il fatto. In subordine derubricazione del reato in art. 340 C.P. concessione delle attenuanti generiche e di quelle per aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale, da considerarsi prevalenti-minimo della pena.

L’Avv. N.Chirco del foro di Bologna per Girardi: assoluzione dell’imputato per avere esercitato liberamente il diritto di pensiero.

L’Avv. G. Ramadori del foro di Roma per Rocca: assoluzione per non aver commesso il fatto. In subordine illegittimità costituzionale dell’art. 1 D.L. 22.1.1948 n. 66 per contrasto con gli art. 17, 25 n. 2 e n. 3 della Costituzione in relazione all’art. 18 T.U.L.P.S., 110 - 112 n. 2, 64 co. 1 C.P.

L’Avv. S. Canestrini del foro di Rovereto per:

Corradi Massimo – Valpiana Massimo – Zignoli Giovanni

chiede l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

MOTIVAZIONE

Con decreto del 20 marzo 1996 il giudice dell’udienza preliminare ha disposto il rinvio a giudizio dinanzi al tribunale di Verona di Benciolini Vincenzo ed altre sedici persone indicate nel decreto medesimo in quanto chiamate a rispondere, in concorso tra loro, del reato di blocco ferroviario di cui all’art.1, ultimo comma, del D.L.vo n. 66 del 1948 come in epigrafe meglio precisato. All’udienza dibattimentale dell’8.1.1997, che si è svolta alla presenza dei soli Benciolini, Brunetto Giovanni, Brunetto Stefano, Corradi, Girardi, Rocca, Tosi, Valpiana e Zignoli, è stata dichiarata la contumacia dei restanti imputati e il Pubblico Ministero ha svolto la sua relazione introduttiva; il tribunale ha quindi ammesso le prove orali e documentali richieste dalle parti, riservandosi in ordine all’acquisizione e alla visione di un filmato chiesta dal Pubblico Ministero come documento. Sono stati quindi esaminati i testi Sov. Valter Caruzzo, che ha riferito in ordine ai fatti e alla identificazione degli imputati, Muraro Giuseppe, che per motivi professionali intervenne in qualità di giornalista presso la stazione di Pescantina assistendo perlomeno parzialmente alla manifestazione, e Vernuccio Stefano, il cui esame è stato peraltro sospeso ai sensi dell’art.63 c.p.p. essendo a suo carico emersi indizi di reità e che, una volta nominatogli un difensore d’ufficio, si è avvalso della facoltà di non rispondere, nonché gli imputati presenti che hanno dichiarato di avvalersi della facoltà di non sottoporsi all’esame e che hanno invece letto, previa autorizzazione del tribunale, un comunicato al cui contenuto si sono richiamati.

All’udienza del 27 gennaio 1997 sono stati esaminati i testi Salzano Stefano, presente anch’egli la sera del 12 gennaio 1991 presso la stazione di Pescantina, prof. Papisca Antonio, tra l’altro, direttore della scuola di specializzazione in istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani della Università di Padova che ha illustrato le motivazioni di carattere giuridico contro la c.d. ”guerra del golfo” poste a fondamento della manifestazione dei pacifisti che ha definito nel loro concreto operare “assertori di una legalità forte, fondata sui diritti umani” e “assertori di una legalità costituzionale internazionale” e Padre Angelo Cavagna che ha illustrato le alte motivazioni morali che ispirarono la condotta degli imputati. Il tribunale, sciogliendo quindi la riserva in precedenza assunta, ha disposto l’acquisizione e la visione della videocassetta in quanto le riprese furono disposte su specifica richiesta del responsabile dell’operazione di P.G.; indicati, infine, gli atti utilizzabili per la decisione, il Pubblico Ministero e i difensori hanno concluso come da verbale e il tribunale ha deciso nel merito con la sentenza del cui dispositivo è stata data lettura.

Le articolate difese hanno evidenziato numerosi profili in base ai quali nei confronti degli imputati si imponeva una sentenza assolutoria.

In particolare, hanno sostenuto che i partecipi al fatto non erano stati, almeno in parte, identificati con certezza, che comunque parte degli imputati, non avendo posto in essere materialmente la condotta tipica, non potevano essere qualificati come partecipi, che, in ogni caso, ammesso e non concesso che nella condotta degli imputati fosse ravvisabile l’elemento materiale del reato, il loro comportamento, in quanto originato da un movente esultante da quello di impedire o rendere la circolazione ferroviaria più difficile, difettava del dolo specifico richiesto per l’esistenza del reato, che, proprio in relazione al convincimento in essi presente di agire nell’ambito della piena legalità, secondo la prospettazione illustrata, anche con dovizia di richiami normativi, dal teste Prof. Papisca e di cui i dimostranti erano portatori, si imponeva il riconoscimento della causa di giustificazione dell’esercizio di un ridotto o di quella dello stato di necessità, essendo stata l’azione comunque posta in essere per salvare delle vite umane compromesse dall’arrivo in Iraq dei carrarmati trasportati sul convoglio, scriminanti queste che hanno invocato quantomeno sotto il profilo putativo, e che, in caso di condanna, non poteva non ritenersi integrata la derubricazione nella più lieve ipotesi prevista dall’art.340 c.p. con la concessione, in ogni caso, dell’attenuante di cui all’art.62 n.l. c.p. .

Osserva, preliminarmente, il tribunale che non può minimamente dubitarsi che gli odierni imputati fossero effettivamente le persone che la sera del 12 febbraio 1991 innescarono la manifestazione che ha in seguito portato al processo odierno. Le modalità di identificazione, compendiate nei verbali di identificazione in atti, sono state confermate dal teste Sov. Caruzzo che ha precisato riferirsi con certezza alle persone presenti sul luogo quella sera nei pressi del binario che parteciparono, anche se con ruoli diversi, alla manifestazione.

Quanto all’elemento oggettivo del reato rivela in limite il tribunale che, essendo il delitto de quo rientrante nella categoria di quelli c.d. di pericolo – che per loro natura non ammettono la figura del tentativo –, la condotta materiale, proprio in relazione all’abbassamento della soglia di punibilità connessa alla struttura del reato, debba essere individuata con assoluta certezza e con particolare rigore, pena il rischio di repressione di una mera condotta sintomatica inidonea a porre in concreto pericolo il bene giuridico tutelato.

L’azione nel suo concreto estrinsecarsi deve, quindi, rivelarsi idonea allo scopo di rendere la circolazione ferroviaria apprezzabilmente più difficile o meno agevole e deve essere univocamente diretta a conseguire tale scopo.

In sostanza, ritiene il Tribunale che a differenza dei reati c.d. di pericolo astratto, che presuppongono necessariamente iuris et de iure la messa in pericolo dell’interesse tutelato dalla norma al semplice realizzarsi della condotta descritta, come esemplarmente l’art.435 c.p. (fabbricazione o detenzione di sostanze esplodenti) in cui il legislatore si è limitato a tipizzare una condotta al cui compimento si accompagna anche la effettiva messa in pericolo di un determinato bene giuridico, il “blocco stradale o ferroviario” non possa essere ricondotto nell’ambito di tale categoria.

Osta, infatti, a tale inquadramento il fatto che, diversamente da quanto accade nel paradigmatico caso dell’art. 435 c.p., le condotte individuate nella norma de qua non sono affatto accompagnate dalla messa in pericolo della libertà di circolazione, la cui offesa dovrebbe necessariamente essere accertata volta per volta. Nella fattispecie, non si versa infatti in un caso in cui la particolare natura del bene (ad es.: l’ambiente), l’impossibilità di individuare in concreto le modalità di lesione (ad es: danni causati da prodotti in re ispa che il legislatore fa derivare dal mero compimento di determinare condotte (ad es: l’art. 435 c.p. cit.) possano giustificare una norma strutturata sul pericolo astratto a cui il legislatore tende a ricorrere quando esso rappresenti l’unica forma di protezione dei beni giuridici.

Né sembra che possa considerarsi ostativo ai fini della configurabilità del pericolo concreto il fatto che il tenore letterale della norma incriminatrice non lo contempli esplicitamente, potendo indubbiamente l’interprete ricostruire la norma in modo da limitarne l’ambito applicativo ai soli comportamenti concretamente pericolosi. Per evitare l’incriminazione di comportamenti inoffensivi appare, quindi, opportuno riferirsi, come punto di riferimento interpretativo, a quello del bene giuridico superando anche il criterio esegetico basato sul semplice tenore letterale della norma.

Tale rigorosa interpretazione discende anche dalla doverosa considerazione del periodo storico e del contesto politico sociale in cui venne emanato il D.L. de quo, epoca, come noto, caratterizzata da rilevanti tensioni e dalla necessità conseguente di darne una lettura interpretativa compatibile sia con la mutata realtà attuale sia, in particolare, coi principi costituzionali con cui ogni norma si deve armonizzare.

In proposito, osserva il Tribunale che l’esito dell’istruttoria dibattimentale ha escluso ,o, per meglio dire, non ha consentito di provare col decorso rigore accertativo – rigore che si impone in relazione alla particolarità della fattispecie criminosa suscettibile, se latamente interpretata, di comprimere, quantomeno in astratto, l’effettivo esercizio anche di diritti primari costituzionalmente garantiti, quali quelli di riunione e di libera manifestazione del pensiero di cui agli artt.17 e 21 della Cost. – la sussistenza dell’elemento materiale del reato. La condotta degli imputati si è infatti estrinsecata in una mera manifestazione pacifica anteriore all’arrivo del convoglio, che non necessariamente avrebbe comportato il blocco e/o il rallentamento del treno trasportarne i mezzi. Se, infatti, da un lato è vero, come risulta dalla visione del filmato in atti, che parte degli imputati (due o tre con striscioni inneggianti alla pace), spalleggiati dagli altri – che fornivano ai primi un indubbio contributo causale volontario idoneo a configurare la compartecipazione nel fatto, se non altro per l’intenzione da essi esplicitamente manifestata di sostituirsi ai primi nel caso in cui questi ultimi fossero stati portati via dai binari da parte del personale della Polfer – occupò il binario della linea ferroviaria del Brennero in direzione sud su cui doveva transitare il convoglio, altrettanto certo è che ciò avvenne in un momento sensibilmente precedente all’approssimarsi del treno alla stazione di Pescantina, momento la cui reale intenzione dei manifestanti e il comportamento che essi avrebbero tenuto all’atto dell’arrivo del treno non si era ancora inequivocabilmente esplicitata.

Se ritardo ci fu, e ciò appare comunque dubbio viste in particolare le incerte risposte rese in proposito dal teste Sov. Caruzzo (sul punto cfr. in particolare fg. 345: “Non so se vi sia stato un ritardo perché, quanto ricordo io, l’orario di inizio del servizio era quello, lo abbiamo preso a Domegliara”, risposta da porre in relazione con un pregresso ritardo rilevato a Trento), esso dipese esclusivamente dalla decisione di far rallentare il treno facendolo marciare “a vista” a partire dalla stazione di Domegliara, quando mancavano quindi ancora alcuni chilometri al possibile punto di rallentamento e/o di blocco.

Ed, infatti, se anche le ragioni di sicurezza dei trasporti e di incolumità personale dei dimostranti e delle forze dell’ordine presenti sui binari alcuni chilometri più avanti rispetto al punto dove si trovava il convoglio all’atto di ricevere l’indicazione di procedere “a vista” possono indubbiamente ritenersi motivazioni responsabili e più che giustificate per l’adozione di tale doverosa procedura precauzionale, ciò non significa necessariamente che l’intenzione reale dei manifestanti fosse effettivamente quella di rallentare o bloccare il treno quando esso si fosse avvicinato alla stazione di Pescantina restando tale opinamento nell’ambito di una mera ipotesi, visto che gli stessi, prima dell’arrivo del convoglio, aderirono, pur continuando a manifestare la loro contrarietà alla guerra, all’invito a spostarsi dai binari facendosi identificare.

Che l’intenzione dei pacifisti oggi imputati fosse effettivamente quella di rallentare o bloccare il treno trova solo un labile riscontro – tale non essendo il giudizio prognostico fatto dal teste Caruzzo circa la possibilità che ciò realmente avvenisse – in un estemporaneo invito fatto da uno dei dimostranti nel momento in cui l’imputato Valpiana, univocamente indicato come il promotore della manifestazione, venne allontanato dalla posizione da cui occupata nei pressi del binario. Tale invito per le sue caratteristiche sue proprie, come attestato nel filmato acquisito agli atti, non è elemento sufficiente a dimostrare l’esistenza di una reale intenzione dei presenti di realizzare la condotta vietata, apparendo esso una manifestazione emotiva individuale legata ad un particolare momento di tensione che ebbe un limitato seguito subito rientrato.

A confronto del fatto che l’eventuale rallentamento fu esclusivamente il frutto di una doverosa prudente iniziativa unilaterale in prevenzione della Polfer (che, per giunta, non può avere provocato particolari problemi di circolazione visto il limitato lasso di tempo in cui i fatti si svolsero, come documentato dal filmato in atti) depone anche una considerazione di ordine logico formulabile con giudizio ex ante: qualora effettivamente i pacifisti avessero voluto bloccare o rallentare sensibilmente il trasporto dei mezzi bellici al porto di Livorno e non invece, come ritenuto dal Tribunale, e come probabile vista l’esiguità del loro numero rispetto all’improbo compito di impedire la marcia di un treno carico di carriarmati, porre in essere una manifestazione non violenta a carattere meramente simbolico rientrante nell’ambito dei diritti costituzionalmente garantiti ed in particolare quello della libera manifestazione del pensiero con riferimento al ripudio della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali (forse per trovare un po’ di spazio sui mass media impegnati in quei giorni, in una gara di generale conformismo, nel cercare di convincere, appiattendosi acriticamente sulla posizione assunta dal governo allora in carica, l’opinione pubblica italiana che quella che si andava a combattere in Iraq non era una guerra ma “un’operazione di polizia internazionale”, sulla cui ricorrenza si è trattenuto il teste Papisca), essi avrebbero evitato di frazionare la loro iniziativa in diverse stazioni e/o località della linea del Brennero concentrando in qualche punto strategico del percorso, cosa che non fecero – come è dimostrato dal processo, con esito assolutorio, risultante dalle produzioni documentali difensive – l’afflusso di tutti i dimostranti in modo da rendere adeguata, effettiva e, quindi, idonea l’azione che è invece risultata inevitabilmente simbolica e tale da integrare una semplice manifestazione di civile protesta. Ciò certamente non avrebbe sortito lo stesso lo scopo finale di fermare i mezzi bellici, ma ne avrebbe significativamente (e non simbolicamente) ritardato l’arrivo sul teatro delle operazioni di guerra, con conseguente integrazione – sia sotto il profilo dell’idoneità sia sotto quello dell’univocità degli atti – della fattispecie incriminatrice contestata.

Conclusivamente logica e realtà fattuale vogliono che la manifestazione così inscenata dai pacifisti del Movimento Nonviolento sia stata un semplice atto dimostrativo di carattere meramente simbolico finalizzato a sensibilizzare l’opinione pubblica in ordine al pericolo di risolvere con le armi le controversie internazionali e non un tentativo impulsivo, ingenuo e velleitario di un gruppo di giovani animati da sani principi, tendente ad impedire la prosecuzione del treno.

Una diversa e più rigoristica interpretazione della norma circa l’inizio della attività punibile che giungesse a ritenere integrato l’elemento materiale del reato anche a fronte di comportamenti meramente simbolici di protesta civile, come quello oggetto di delibazione, chiaramente tesi, non già ad impedire od ostacolare la libertà dei trasporti ma a rendere palese e ad esternare una posizione di non allineamento a quella degli organi ufficiali, renderebbe la norma penale mezzo strumentale alla repressione del dissenso che è bene garantito da ogni società democratica, come appunto quella delineata dalla nostra Costituzione.

E che l’intenzione fosse quella di cui si è detto vi è chiara traccia anche nel comunicato, pienamente coerente col comportamento tenuto dagli imputati, letto in udienza e fatto proprio da quelli di loro presenti, laddove si può leggere: “Quando partecipammo a quella manifestazione non violenta eravamo perfettamente consci di non essere in grado di fermare, se non simbolicamente, l’escalation della guerra...”. La nostra è stata un’azione che è andata più in la della politica, nella speranza di poterla un giorno contaminare”(cfr. fg. 358). Ad ulteriore conferma va evidenziato che se è vero che per bloccare o rallentare un treno non è necessario un rilevante numero di persone, altrettanto vero è che per le forze dell’ordine impegnate nel doveroso compito di garantire la continuità e la sicurezza del servizio risulta in tal caso sufficientemente agevole liberare la linea anche in presenza di atti di resistenza passiva, sicché anche per tale considerazione di carattere pratico appare problematico rinvenire in capo agli imputati una reale intenzione di porre in essere la condotta loro ascritta. D’altronde il fatto che se a provocare il blocco concorre una moltitudine di persone la finalità può essere più facilmente (e spesso impunemente) perseguita è, per fatto notorio, proprio dimostrato, come ricordato nelle appassionate arringhe difensive, dalla cronaca di questi giorni con la nota vicenda delle occupazioni di strade ed aeroporti da parte degli allevatori per protestare per le quote del latte, anche se tali manifestazioni, per le sicuri implicazioni di natura corporativa, e per le modalità di esecuzione ampiamente illustrate dai mass media, non possono certo fregiarsi dell’appellativo di disobbedienza civile né rivendicare l’eventuale sussistenza di una causa di giustificazione scriminante neppure di natura putativa.

Per le caratteristiche assunte la manifestazione era assolutamente inidonea e non inequivocamente diretta ad impedire la prosecuzione del convoglio con la conseguenza di non integrare, quindi, la soglia minima di punibilità prevista per il reato ipotizzato. Per tale motivo e per la segnalata carenza probatoria in ordine ad un effettivo ritardo del treno, tutti gli imputati vanno mandati assolti dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste.

Va, conseguentemente, disposto il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto del materiale in sequestro.

P. Q. M.

visto l’art. 530 c.p.p.

assolve tutti gli imputati perché il fatto non sussiste.

Dissequestro e restituzione del materiale in sequestro agli aventi diritto. Verona, 27.1.1997

IL PRESIDENTE

IL GUIDICE EST.

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