pena di morte

Amnesty International: il nuovo rapporto del 2024 evidenzia il più alto numero di esecuzioni dal 2015

Amnesty Interational, pena di morte e esecuzioni nel 2024

Amnesty International, nel suo Rapporto annuale sull'uso globale della pena di morte, ha riferito che nel 2024 sono state registrate 1.518 esecuzioni, il numero più alto dal 2015. Il rapporto chiarifica, però, che le stime escludono il numero di esecuzioni effettuate in stati come la Cina, la Corea del Nord e il Vietnam, che ricorrono ampiamente alla pena di morte. 

Il rapporto, inoltre, pone attenzione su Iraq, Iran e Arabia Saudita quali paesi responsabili del 91% delle esecuzioni. Complessivamente, i tre paesi sono stati responsabili di ben 1.380 esecuzioni documentate. L'Iraq ha quasi quadruplicato le esecuzioni e l'Arabia Saudita le ha raddoppiate, mentre l'Iran ha giustiziato 119 persone in più rispetto al 2023, pari al 64% di tutte le esecuzioni documentate.

Come sottolinea Agnès Callamard, Segretaria generale di Amnesty International, “La pena di morte è una pratica ripugnante che non trova posto nel mondo di oggi”. Ad oggi, 113 Paesi sono completamente abolizionisti e 145 in totale hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica.

Una questione pertinente, su cui il rapporto si è soffermato, è la strumentalizzazione della pena di morte da parte delle autorità. Nel 2024, Amnesty International ha osservato che i leader hanno sfruttato la pena di morte, sostenendo falsamente che essa possa garantire sicurezza pubblica. Negli Stati Uniti si è registrato un aumento delle esecuzioni dalla fine della pandemia Covid-19, con 25 persone giustiziate (rispetto alle 24 del 2023). Il presidente Trump, recentemente eletto, ha continuamente fatto riferimento alla pena di morte come mezzo per salvaguardare gli individui da strupatori e omicidi. Il rapporto ha quindi sottolineato che i commenti del Presidente Trump favoriscono una narrazione fuorviante che suggerisce che la pena di morte scoraggi in modo univoco il crimine. Analogamente, il rapporto menziona che in Medio Oriente la pena di morte è stata usata come strumento per mettere a tacere gli oppositori, i difensori dei diritti umani e i dissidenti. Il rapporto evidenzia che la Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Burkina Faso intendono riprendere le esecuzioni e la pena di morte per crimini ordinari.

Il rapporto menziona che oltre il 40% delle esecuzioni effettuate nel 2024 sono state illegali e legate a reati di droga, nonostante il diritto internazionale affermi che l'uso della pena di morte deve essere limitato ai “reati più gravi”. È importante evidenziare che la condanna a morte per questi reati colpisce in modo sproporzionato i giovani e le persone provenienti da contesti svantaggiati, ma non contribuisce a ridurre il traffico di droga. Infine, il rapporto ha riconosciuto il potere delle campagne per porre fine alla pena di morte, portando risultati positivi.

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