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La Corte Europea dei diritti umani condanna l'Italia per i respingimenti verso la Libia del 2009

Migliaia di persone con pacchi e valigie tentano di lasciare la Libia al confine con la Tunisia
© UNPhoto/UNHCR

La Grand Chamber della Corte europea dei diritti umani ha stabilito, nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia (sentenza del 23 febbraio 2012), che il respingimento verso Tripoli dei 24 ricorrenti (appartenenti ad un gruppo di circa 200 persone, molti somali e eritrei come i ricorrenti stessi) operato dalle navi militari italiane costituisce violazione dell'art. 3 (tortura e trattamento inumano) della Convenzione europea dei diritti umani, perché la Libia non offriva alcuna garanzia di trattamento secondo gli standard internazionali dei richiedenti asilo e dei rifugiati e li esponeva anzi ad un rimpatrio forzato. Inoltre la Corte condanna l'Italia per violazione del divieto di espulsioni collettive (è la seconda volta che accade in quasi cinquant'anni) e per non aver offerto loro alcuna effettiva forma di riparazione per le violazioni subite.

La sentenza è una completa smentita delle giustificazioni addotte a suo tempo dall'Italia a sostegno della pratica dei respingimenti in acque internazionali dei profughi e migranti clandestini provenienti dall'Africa settentrionale. La Corte ribadisce il dovere di rispettare il divieto di tortura e trattamenti inumani, anche quando questi sono solo probabili e attribuibili alla responsabilità diretta di uno stato non europeo; inoltre precisa che il divieto di espulsioni collettive comprende anche il rispetto del principio di non refoulement, cioè il dovere per lo stato di trattare individualmente e in buona fede il caso della persona che fa ingresso o tenta di fare ingresso nel territorio dello stato irregolarmente, ma che chiede di ottenere protezione in quanto rifugiato.

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