Corte europea dei diritti umani

Corte di Strasburgo: Sentenza Ramsahai ed altri c. Paesi Bassi (2007). L'indipendenza degli inquirenti va garantita fin dai primi momenti

Foto panoramica della sede del Palazzo dei diritti umani che ospita la Corte europea dei diritti umani, Strasburgo.
© Consiglio d'Europa

La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha reso lo scorso 15 maggio 2007 la sentenza di merito relativa al caso Ramsahai ed altri c. Paesi Bassi.

Il procedimento fa riferimento all’uccisione nel luglio 1998 nel quartiere surinamese di Amsterdam, da parte di un poliziotto olandese, del diciannovenne Moravia Ramsahai, quando quest’ultimo – rintracciato dalle forze dell’ordine dopo che aveva rubato un ciclomotore minacciando con una pistola il proprietario – rifiutò di consegnarsi e, secondo i poliziotti, minacciò questi ultimi con una pistola. In seguito alle indagini svolte dalla polizia locale e dal Dipartimento statale per le indagini penali, il Procuratore incaricato del caso stabilì che l’agente che aveva ucciso Ramsahai aveva agito per legittima difesa e che pertanto non era perseguibile penalmente: tale decisione fu successivamente confermata dalla Corte di Appello di Amsterdam.

In seguito a ciò, il padre ed i nonni paterni di Moravia Ramsahai depositarono presso la Corte di Strasburgo l’8 settembre 1999 una domanda – dichiarata ammissibile il 3 marzo 2005 - nella quale si lamentava la violazione da parte delle autorità olandesi principalmente dell’Articolo 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (diritto alla vita), lamentando il fatto che sull'episodio - che praticamente non aveva avuto testimoni oculari a parte i due poliziotti imputati - non si era indagato adeguatamente.

Nella sentenza resa dalla Camera lo scorso 10 novembre 2005, la Corte – pur negando la violazione dell’Articolo 2 riguardo all’uccisione di Ramsahai - dichiarava la violazione dello stesso Articolo ritenendo che le indagini successive agli eventi non fossero state indipendenti ed in considerazione del fatto che il testo integrale della decisione della Corte di Appello non fosse stato reso pubblico. Il 9 febbraio 2006 il Governo olandese richiedeva che il caso fosse deferito ex Articolo 43 della Convenzione europea alla Grande Camera. Nella sentenza definitiva del 15 maggio 2007, quindi, quest’ultima dichiara:

all’unanimità, che non vi è stata violazione dell’Articolo 2, riguardo all’uccisione di Moravia Ramsahai; 13 voti contro 4, che vi è stata violazione dell’Articolo 2, relativamente al fatto che le indagini sui fatti siano state inadeguate; 16 voti contro uno, che vi è stata violazione dell’Articolo 2, relativamente al fatto che le indagini non siano state sufficientemente indipendenti; 13 voti contro 4 che non vi è stata violazione dell’Articolo 2, riguardo alla posizione del Procuratore responsabile delle indagini di polizia sullo svolgimento dei fatti; all’unanimità, che non vi è stata violazione dell’Articolo 2, relativamente alla partecipazione dei familiari di Moravia Ramsahai nelle indagini; 15 voti contro 2, che non vi è stata violazione dell’Articolo 2, relativamente alla procedura di fronte alla Corte di Appello.

In applicazione dell'art. 41 della Convenzione (equo indennizzo), con 16 voti contro uno, la Corte ha ordinato il pagamento ai ricorrenti di 20.000 euro a titolo di riparazione del danno morale e  di 7.229 euro come rimborso delle spese processuali.

Il punto più interessante della decisione riguarda l'affermazioen del principio che un ritardo di circa 15 ore nel far intervenire una squadra di investigatori indipendenti - cioè non formata da poliziotti dello stesso comando delal polizia di Amsterdam a cui appartenevano gli agenti accusati - costitusce una inaccettabile violazioen del principio della indipendenza - formale e sostanziale - dell'autorità che compie le indagini, e quindi una violazioned ell'art. 2 della Convenzione europea dei diritti umani (diritto alla vita) sotto il profilo procedurale. In più, i poliziotti sospettati erano stati lasciati per quasi tre giorni liberi di potersi incontrare e quindi concordare tra di loro la versione da fornire agli inquirenti. Anche se non risulta che abbiano approfittato di tale opoprtunità, il fatto di averla resa possibile costituisce una inaccettabile falla della procedura, ncompatibile con il dovere di indagare nel modo più rigoroso possibile sui casi di omicisio, anche e soprattutto quando in essi sono coinvolti agenti dello stato.

La sentenza è stata richiamata ampiamente anche nella più recente decisione della Camera IV nel caso Giuliani e Gaggio c. Italia.

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