diritti umani

I diritti umani, sigillo costituzionale delle Carte statutarie delle Regioni

Relazione svolta al Convegno sulle nuove Carte statutarie delle Regioni, Regione dell’Umbria, Consiglio Regionale, Perugia, 6 luglio 2001
Logo Centro di Ateneo per i Diritti Umani "Antonio Papisca", Università di Padova

Nel marzo del 1991, durante un convegno svoltosi qui a Perugia, nella sede della Provincia, ebbi l’onore di attirare l’attenzione sull’opportunità di inserire nei nuovi statuti di Comuni e Province quella che poi sarebbe stata comunemente chiamata la ‘norma pace diritti umani’. La proposta ebbe subito la convinta approvazione, possiamo anche dire la benedizione dell’indimenticabile, grande Padre Ernesto Balducci, anch’egli relatore al Convegno. Oggi, sono migliaia i Comuni e le Province italiane che hanno nei loro statuti quella norma, cui ha fatto seguito, in molti casi, l’istituzione di appositi assessorati, uffici, consulte e la realizzazione di una miriade di programmi educativi e formativi e di azioni di solidarietà, in Italia e all’estero. Con sincera emozione, a dieci anni di distanza, di nuovo qui a Perugia mi è consentito di illustrare quello che chiamerei il vero sigillo costituzionale degli imminenti, nuovi Statuti delle Regioni. Partire dall’esperienza pionieristica, coraggiosa dei Comuni è partire col piede giusto, quello della sussidiarietà. 

Si parla tanto di diritti umani, spesso come atto dovuto alla retorica dei valori astratti, senza conoscere qual è il loro potenziale di legittimazione e di finalizzazione, si parla di diritti civili come sinonimi di tutti i diritti umani, ignorando spesso che dire “civili” non significa dire anche “economici, sociali e culturali”. Eppure i diritti umani sono il DNA delle comunità politiche democratiche, la loro infrastruttura valoriale. Se le costituzioni hanno un cuore, non possono non averlo, questo sono i diritti umani. Dico ‘cuore’, prima e più che ‘fondamento’, perchè intendo sottolineare la valenza umanizzante, teleologizzante, finalistica che hanno i diritti della persona e dei popoli nel contesto in cui vengono asseriti. Intendo dire che le norme che nelle carte statutarie proclamano il principio del rispetto della dignità umana, della eguale dignità di tutte le persone, non sono una sovrastruttura giuridica, sono invece la infrastruttura valoriale, sono il progetto ordinamentale, sono, ripeto, il DNA delle comunità politiche. E questo cuore, per essere validamente trasfuso nelle carte fondamentali, devono averlo coloro che queste carte preparano. I membri di un’assemblea chiamati a elaborare lo statuto della propria comunità territoriale non possono non essere tutti, singolarmente e collegialmente, animati da spirito costituente, cioè da quella tensione valoriale e progettuale che alla fine deve trovarli tutti concordi nel declinare in termini di principi, obiettivi, istituzioni, competenze, funzioni, procedure, ecc., appunto il DNA del sistema democratico. Riferendosi a questo modo di atteggiarsi e di operare, c’è chi ha parlato di “crogiuolo ardente e universale”. La categoria dell’universale attiene non soltanto alla dimensione planetaria, ma anche alla sfera dei sistemi di governo locale, regionale, naturalmente nazionale. Dire diritti umani significa dire diritti innati della persona, a prescindere da sesso, razza, nazionalità, censo, religione, età: appunto perchè innati, e quindi inviolabili e inalienabili,  il legislatore li ‘riconosce’, non li ‘attribuisce’. E poichè i bisogni che li sostanziano sono bisogni vitali, materiali e spirituali, il legislatore stabilisce l’obbligo incondizionato, verso se stesso e erga omnes, di soddisfarli. L’articolo 1 della Dichiarazione Universale del 1948 è esplicito al riguardo: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. I diritti della persona sono i bisogni vitali dell’essere umano integrale, anima e corpo, spirito e materia. Essi vanno quindi riconosciuti e soddisfatti in base al principio della intrinseca interdipendenza e indivisibilità dei diritti civili, politici, economici, sociali, culturali. 

Universalità, interdipendenza e indivisibilità sono principi che ineriscono ad un paradigma che si propone quale bussola per la governance, per il buon governo, a qualsiasi livello questo venga perseguito. È un paradigma valoriale che è meno arbitrario di altri, anche perchè ha il sigillo della giuridicità impressogli da quella parte nuova e innovativa del diritto internazionale che si è venuta sviluppando, in forma organica, a partire dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione Universale del 1948. L’ultima legge internazionale in materia, la Convenzione sui diritti dei bambini e degli adolescenti, entrata in vigore nel 1990, è corredata di ben 192 ratifiche, è l’accordo giuridico internazionale più ratificato nella ormai lunga storia dei trattati. Di questa bussola c’è bisogno oggi, in un tempo in cui il governare, ai vari livelli, è al centro della estesa turbolenza che accompagna lo strutturarsi della condizione di interdipendenza planetaria e lo svolgersi dei processi di globalizzazione nei vari campi. Sotto l’impatto di estesi processi di mutamento strutturale che operano in modo trasversale agli stati e alle realtà sociali, politiche ed economiche che in essi vivono, la crisi della governabilità si sta cronicizzando in una patologia che investe la stessa forma istituzionale della statualità: intendo dire la forma “stato nazionale-sovrano-armato-confinario”, intrinsecamente accentratore. L’interdipendenza mondiale non è un fatto diplomatico, è un fatto sociale, economico, culturale, ambientale, politico, il cui impatto agisce direttamente sulla vita quotidiana delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle aziende, dei comuni, delle regioni. Si è realmente, vorrei dire amnioticamente immersi in un mondo-villaggio, il quale non è però sinonimo di ambiente familistico, di rapporti tra vicini di casa, come peraltro auspica la “Commission on Global Governance” nel suo Rapporto “Our Global Neighbourhood” (Il nostro vicinato globale). Realisticamente, la metafora del mondo-villaggio globale (anzi, del mondo-cortile globale) deve piuttosto servire a prendere coscienza del fatto che esiste oggi uno spazio di vita e di governabilità che è, sì, il più dilatato possibile dal punto di vista politico ed economico, ma che è allo stesso tempo pervaso da estesa, accanita rissosità e che va quindi gestito con la partecipazione attiva sia di tutte le entità istituzionali di governo: locali, regionali, nazionali, internazionali, sopranazionali, sia delle molteplici espressioni organizzate di società civile.

Come ho prima accennato, le sfide e le ricadute dell’interdipendenza mondiale e della collegata perdita di capacità degli stati di schermare, difendere, proteggere, sviluppare le realtà umane insediate nei rispettivi “territori nazionali”, insomma la loro capacità effettiva di decidere, investono direttamente e in modo capillare il “territorio locale”, cioè quello spazio in cui le persone vivono la loro esistenza quotidiana. Sull’ente di governo comunale e regionale ricade l’onere maggiore di rispondere concretamente, giorno per giorno, caso per caso, emergenza dopo emergenza, alle esigenze che ineriscono alla statuto di cittadinanza di quanti risiedono sul suo territorio. In una situazione come l’attuale sono infatti a rischio i diritti di cittadinanza, è in crisi lo stesso istituto della cittadinanza. Se il parlamento e il governo del mio paese non hanno il potere reale di decidere, che significato hanno le elezioni politiche, la rappresentanza parlamentare, il mio ruolo democratico? Se lo stato e le altre istituzioni di governance pubblica tentennano sul terreno dello stato di diritto e arretrano su quello dello stato sociale, se rimangono impastoiate nella strumentale confusione tra assistenzialismo e stato sociale sostenibile, che differenza fa tra essere cittadino e non esserlo? Perchè lo stato, con questa forma? Nella presente situazione si rende indispensabile tornare a riflettere sui valori fondamentali, occorre cioé elucidare e rinvigorire le radici delle comunità politiche, per risalire da queste alle istituzioni della governabilità democratica e capace, per rilanciare queste nell’ottica del telos prima e più che in quella della gestione e del potere. Per ridare primato alla politica, nella giusta direzione, occorre ritrovare, ricostruire, valorizzare, sviluppare i suoi “siti istituzionali”. A quanti sono chiamati a compiti di elaborazione statutaria può tornare  utile ricordarsi che l’attuale contesto storico globale è per molti aspetti analogo a quello della seconda metà degli anni quaranta, allorquando si attivò il “crogiuolo ardente e universale” cui faceva riferimento Giuseppe Dossetti e dal quale scaturirono la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale, la nostra Costituzione democratica. La seconda guerra mondiale aveva tragicamente investito la vita dei popoli e delle famiglie; l’attuale situazione di interdipendenza e mondializzazione squilibrata investe drammaticamente la medesima realtà umana nella sua quotidianità. Ieri c’erano le bombe, oggi ci sono la disoccupazione, il conflitto sociale, interetnico, interraziale, l’aggressione massmediatica, l’inquinamento ambientale, tutto a dimensione e interazioni mondiali. E c’è tanta insicurezza, a livello personale, a livello sociale, a livello istituzionale. La governabilità, nelle sue forme tradizionali e nello spazio territoriale dello stato nazionale assunto come hortus conclusus, è in crisi agonica, irreversibile sic stan-tibus rebus. I fattori interni legati alla qualità della leadership politica, ai sistemi elettorali, al malaffarismo politico e amministrativo, alle pratiche malavitose di taluni ambienti giocano un ruolo congiunturale o di causalità prossima o di elemento scatenante della crisi di governabilità. I fattori internazionali sono ben più potenti e incisivi.

La capacità di governo, la stessa ragion d’essere delle comunità politiche territoriali è direttamente interpellata da fattori internazionali. Di che attrezzatura dispone in particolare la Regione per rispondere alla sfida? I membri dei Consigli Regionali sono oggi chiamati ad assumersi la responsabilità di dare una risposta progettuale, strategica a questo interrogativo. La tensione valoriale dei diritti umani è oggi inscindibile dalla dimensione internazionale e transnazionale del quadro operativo del far politica, del decidere. Sempre a parlar chiaro, non vedo come si possa fare oggi un valido statuto regionale senza spendere la cultura politica dei diritti umani e una competenza puntuale in materia internazionalistica. Le due risorse devono essere spese insieme perchè rendano in termini di sviluppo delle capacità di governo, di buon governo, delle Regioni. 

In una situazione come l’attuale, urge dunque affrontare, con adeguato spirito costituente e con congrua  attrezzatura di competenze, il problema di ridefinire la divisione del lavoro politico nello spazio dilatato che, partendo dal Comune e dalla Regione, arriva fino alla Unione Europea e alle Nazioni Unite. Per le classi politiche regionali si offre una eccezionale opportunità di crescita di ruolo e di visibilità.

Perchè la Regione possa esercitare il suo importante ruolo in questa operazione di ingegneria politica e istituzionale, essa deve esserne legittimata in via formale. Legittimata da chi? Innanzitutto da se stessa. E lo strumento è naturalmente lo Statuto. Ma come non entrare in contraddizione con la Costituzione nazionale? Non è difficile rispondere al quesito, quanto meno in punto di diritto. Poichè sui diritti umani si fonda la Costituzione della Repubblica Italiana – non è quì il caso di citare tutti gli articoli che declinano il principio contenuto nell’articolo 2 –, ne discende che lo Statuto regionale che faccia riferimento esplicito, letterale, ai diritti umani, è esso stesso un atto di rilievo costituzionale che, oltre a conformarsi alla Costituzione, ne favorisce il radicamento nel territorio. Operando in modo esplicito questo collegamento, i valori e gli obiettivi fondamentali della governabilità regionale hanno una radice forte ed estesa. La Regione rende un servizio utile alla Costituzione nazionale, alla Repubblica Italiana, a se stessa e ai propri cittadini. Dico “a se stessa”, nel senso che la Regione si precostituisce la base formale che la legittima a proiettarsi nello spazio politico della governabilità globale. 

Inoltre, poichè oggi i diritti umani, proprio i diritti fondamentali che sono riconosciuti dalle costituzioni nazionali democratiche, sono riconosciuti anche dagli strumenti del Diritto internazionale, l’ente di governo regionale che si faccia “statutariamente” carico della loro protezione e promozione si inserisce formalmente in un’unica catena di montaggio valoriale-costituzionale che ha il carattere della universalità. Lo Statuto che faccia riferimento espresso ai diritti umani e alla pace può richiamare sia la costituzione nazionale sia le convenzioni giuridiche internazionali: esemplarmente, la Dichiarazione Universale, i due Patti internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione europea del 1950, la Carta sociale europea del 1961, la Convenzione internazionale sui diritti dei bambini e degli adolescenti del 1989, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000. Con la norma statutaria “pace diritti umani”, l’ordinamento regionale entra a far parte di un sistema di principi di “supercostituzione” – e quindi di ius cogens – che sono alla base di uno spazio giuridico-costituzionale planetario in corso di sviluppo. Potrebbe anche dirsi che, richiamando le norme sia costituzionali interne sia internazionali dei diritti umani, l’ente regionale si fa artefice della armonizzazione (o, forse più correttamente, della saldatura) in re diritti umani tra ordinamento internazionale e ordinamenti interni. Insomma, asserendo il proprio impegno a perseguire il bene comune della propria comunità nel seno della più ampia comunità mondiale, la Regione diventa soggetto attivito di civilizzazione giuridica e politica in chiave umanocentrica. E legittimamente si candida ad operare per abbassare il tasso di statocentrismo belligeno e confinario tuttora presente nel sistema delle relazioni internazionali. Giova altresì sottolineare che il collegamento dei diritti umani con la pace è perfettamente coerente con la vocazione – che la Regione condivide con il Comune – a stare vicina ai propri cittadini e a perseguire, nello stesso tempo, il bene dei membri della’intera amiglia umana nello spirito di quanto proclamato dall’articolo 28 della Dichiarazione Universale: “Ogni essere umano ha diritto a un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciate nella presente Dichiarazione possano essere pienamente realizzati”. In questo articolo sta la definizione di pace positiva. 

“Decidere quanto più vicino possibile ai cittadini” è il contenuto del principio di sussidiarietà e significa che bisogna tener conto dei bisogni reali, a cominciare dai bisogni vitali-diritti fondamentali delle persone e delle comunità umane, nel ripartire ed esercitare competenze, funzioni e poteri fra i vari livelli istituzionali. Sussidiarietà è ancoraggio alla realtà dei bisogni, prima e più che mercanteggiamento istituzionale di potere fra il basso e l’alto, fra il micro, il meso e il macro. La sussidiarietà così intesa, cioè saldamente ancorata al paradigma dei diritti umani, è la carta da giocare per ridefinire la divisione del lavoro politico fra le molteplici e multiformi istituzioni di governo nello spazio-mondo. I nuovi Statuti regionali devono essi stessi abilitare, in modo esplicito, a giocare questa carta.

Tenuto conto del cammino proficuamente avviato, a partire dal 1991, con l’inserimento della norma “pace diritti umani” in migliaia di statuti comunali e provinciali, mi permetto di suggerire la seguente traccia per la redazione dei primi articoli della prima parte dei nuovi Statuti regionali:

Art.1: “La Regione X è una comunità autonoma fondata sulla dignità della persona umana, sui diritti e le libertà che a questa ineriscono – e che sono riconosciuti dalla Costituzione della Repubblica Italiana, dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani e dalle pertinenti Convenzioni giuridiche internazionali nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea –, sullo stato di diritto, sui principi di democrazia, di sussidiarietà, di solidarietà nazionale e internazionale, di pari opportunità dell’uomo e della donna nonchè del superiore interesse dei bambini come proclamato dalla Convenzione internazionale dei diritti dei bambini e dei minori. 

Essa esercita la propria autonomia, quale attributo originario di autogoverno della comunità regionale, secondo le norme del presente Statuto, nell’unità della Repubblica, nell’ambito dell’Unione Europea e negli spazi istituzionali che sono propri dei diritti umani e della sussidiarietà”. 

Art.2: “La Regione riconosce nella pace, nello sviluppo umano e nella salvaguardia dell’ambiente altrettanti diritti fondamentali della persona, delle famiglie e dei popoli, in conformità ai principi della Costituzione e delle Convenzioni giuridiche internazionali sui diritti umani e ne persegue la realizzazione, nel rispetto dei principi di universalità dei diritti fondamentali e della loro interdipendenza e indivisibilità, con appropriate iniziative legislative, di informazione, di educazione e di cooperazione, in collaborazione con le formazioni di società civile, la scuola, l’università, le imprese”.

Art.3: “La Regione, nel rispetto del principio di sussidiarietà, concorre con la Repubblica, l’Unione Europea, le Nazioni Unite e le altre istituzioni internazionali a promuovere e proteggere i diritti fondamentali della persona e dei popoli, e a perseguire la coesione economica e sociale, la realizzazione della democrazia, la cooperazione allo sviluppo, la salvaguardia dell’ambiente, la cooperazione territoriale in Europa e nel mondo, la costruzione della pace fondata sulla giustizia”.

Art.4: “La Regione persegue l’obiettivo della eguale inclusione dei singoli, delle famiglie e dei gruppi nella comunità politica veneta e richiede a tutti l’adempimento dei doveri che discendono dalla comune appartenenza ad una terra di antiche tradizioni di libertà, giustizia, religiosità, democrazia nonché dal comune rispetto dei diritti fondamentali della persona”.

Art.5: “La Regione istituisce il Difensore Civico e il Tutore Pubblico dei Minori (o dell’Infanzia e dei Minori) quali istituti indipendenti, deputati alla promozione e alla tutela non giurisdizionale dei diritti dei cittadini, e ne favorisce la comunicazione e il coordinamento con analoghi istituti a livello comunale, provinciale, nazionale, europeo e internazionale”.

Perchè la Regione è “autonoma”? Intendo riferirmi alla ‘autonomia’ tout court, senza l’aggettivo ‘speciale’. L’autonomia è attributo originario dell’ente di governo locale e regionale. Essa non è dispensata, octroyée dall’alto. Essa inerisce alla comunità territoriale che si fa direttamente, primariamente carico della promozione e della protezione dei diritti e delle libertà fondamentali dei suoi componenti. Altrimenti detto, la Regione è autonoma in via originaria perchè originaria è la soggettività giuridica e politica dei suoi cittadini appunto in quanto titolari di diritti innati, inviolabili, inalienabili. La “Regione” è, per sua natura, ente prossimo ai cittadini e i diritti fondamentali di questi sono altrettanti fini primari per il suo operato. L’originaria autonomia della Regione è ‘inclusiva’, non ‘esclusiva’, nel più ampio spazio multilivellato della Repubblica Italiana, dell’Unione Europea, del sistema delle Nazioni Unite, per la duplice, essenziale ragione che: a) i diritti fondamentali dei cittadini sono, devono essere egualmente azionabili ai vari livelli istituzionali della governabilità – micro, meso, macro che questi siano; b) la Regione, parimenti al Comune, è “territorio”, territorio per antonomasia, ma non “confine”.

Così fondata, l’autonomia regionale non è, non può essere oggetto di “contrattazione” con lo Stato. Piuttosto, correttamente, ne sono oggetto le modalità di esercizio, tenuto conto della necessità di raccordo con le varie  istituzioni della Repubblica.

Così definita, l’autonomia è requisito necessario perchè la Regione partecipi al recupero e allo sviluppo della pratica della democrazia nello spazio, tanto dilatato quanto conflittuale, creato dai processi di globalizzazione. La sfida che discende dal fatto che le grandi decisioni politiche si prendono oggi, trasparentemente e non, in sede extra-nazionale, è quella della democratizzazione delle sedi della politica internazionale in termini di legittimazione più diretta dei detentori di ruoli d’autorità a quei livelli e di partecipazione politica ai relativi processi di presa delle decisioni. La risposta alla sfida non sta nel devolvere i processi democratici a quei livelli – come dire, rinunciamo alla democrazia in casa nostra –, ma nel prolungare questa, nel darle respiro oltre le colonne d’Ercole dello stato-nazione. Perchè ciò avvenga in modo proficuo, è necessario rafforzare il polo iniziale della democrazia, cioè in quegli ambiti territoriali in cui la relativa pratica è più genuina. La Regione, insieme col Comune, diventa pertanto essenziale al fine di assicurare solide base a questa indifferibile dilatazione della democrazia. Insistere sulla democrazia, oggi, nell’esclusiva ottica dello spazio nazionale significa operare qualcosa che somiglia all’accanimento terapeutico.

Insieme con la ridefinizione democratica della divisione del lavoro politico nello spazio che dalla Città si estende fino all’Unione Europea e al sistema delle Nazioni Unite, occorre rilanciare l’istituto della cittadinanza intesa, questa, come lo statuto giuridico originario della persona umana nella comunità politica, uno statuto che non discende dalla potestà anagrafica di uno stato e neppure di una Regione o di un Comune, ma dal fatto che la persona è portatrice di un corredo di diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti. Il soggetto della cittadinanza è la “persona” in quanto tale, non lo “appartenente” ad uno stato o ad altra entità politica. La persona è cittadino per ascrizione in qualsiasi luogo si trovi a vivere. E poichè il corredo genetico dei diritti fondamentali è identico per ogni persona, la cittadinanza primaria è quella planetaria o universale,o ‘cittadinanza comune’ che dir si voglia. Lo spazio costituzionale entro cui prende forma lo statuto giuridico di persona umana, e quindi di cittadino planetario, è lo spazio del mondo disciplinato da quel nuovo e innovativo ius positum che è il Diritto internazionale dei diritti umani e la cui massima istituzione di riferimento sono le Nazioni Unite. Sullo statuto giuridico di persona umana si innestano per così dire le cittadinanze anagrafiche o cittadinanze amministrative: cittadinanza italiana, cittadinanza toscana o veneta o umbra o siciliana, cittadinanza comunale fiorentina o assisate o patavina, cittadinanza dell’Unione Europea. Nell’era dell’interdipendenza e dei diritti umani internazionalmente riconosciuti, la cittadinanza è un albero di cittadinanze, come dire la cittadinanza è multipla o multidimensionale. La lotta per i diritti di cittadinanza – i quali significano sia per i cittadini anagrafici italiani sia per i cittadini anagrafici di altri stati, non soltanto il diritto di elettorato attivo e passivo, ma anche il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto alla pace, il diritto all’educazione, ecc..–, nel suo significato profondo mira a rendere coerenti le varie cittadinanze anagrafiche, a partire da quella statuale, con la cittadinanza universale che inerisce allo statuto giuridico di persona umana. 

Per le Regioni in quanto comunità autonome si prospetta un ruolo fondamentale da giocare subito nel cammino di avanzamento della civiltà del diritto e del buon governo. Insieme con il ruolo di enti di governo, le Regioni sono infatti chiamate a sviluppare, in stretta collaborazione con i Comuni, il ruolo di garanti istituzionali della democrazia e dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli. Perchè possano efficacemente realizzare questo ruolo, le Regioni devono stabilire un patto di alleanza con le formazioni di società civile operanti sul loro territorio, in particolare con quelle che si propongono obiettivi di promozione umana al di là e al di sopra delle frontiere. E devono naturalmente dotare il rispettivo apparato organizzativo di strutture che siano coerenti con la loro identità di garanti primarie dei diritti umani e dei principi democratici. Tra le strutture che più visibilmente sono deputate a fare questa identità sono il Difensore Civico Regionale, il Tutore Pubblico dei Minori Regionale, i Dipartimenti per i Diritti Umani, per le Pari Opportunità, per la Cooperazione e la Solidarietà Internazionale, per gli Affari Comunitari Europei.

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