pace

Il diritto alla pace è un diritto fondamentale della persona e dei popoli

Sul palco nel piazzale della Basilica di San Francesco di Assisi, attorniati da 50 Sindaci, Milena Anzani e Oldian Metaj, due giovani in servizio civile presso l’Università di Padova, leggono il documento “Noi membri dell’unica famiglia umana dei popoli delle Nazioni Unite abbiamo diritto alla pace.

1. Anche Papa Francesco ha dunque raccolto il ‘bastone di pellegrino della pace’ che i Papi dell’ultimo secolo si trasmettono per alimentare il sillabario della pace, “un sillabario semplice da comprendere per chi ha l’animo ben disposto, ma al tempo stesso estremamente esigente per ogni persona sensibile alle sorti dell’umanità”, come ebbe a scrivere Giovanni Paolo II nel suo Messaggio per la Giornata mondiale del 1979 indirizzato “a voi tutti che desiderate la pace”.

Quarantasettesimo della serie iniziata da Paolo VI nel 1967 all’interno di un magistero sempre più marcatamente irenico - si pensi all’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII di cui abbiamo appena celebrato il 50° anniversario -, il primo Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale per la Pace era comprensibilmente molto atteso. La sorpresa è grande. Siamo in presenza quasi di un’enciclica, di un documento ricco di teologia cristocentrica e di affettuosa pastoralità che aiuta a superare la ‘cultura dello scarto’ e a sviluppare la ‘cultura dell’incontro’, a contrapporre alla globalizzazione dell’indifferenza la globalizzazione della fraternità, alla frammentazione dei nuclei familiari la loro ricomposizione su scala mondiale nell’unica e indissolubile ‘famiglia umana’.

Il Papa rivolge “a tutti, singoli e popoli” l’augurio di “un’esistenza colma di gioia e di speranza”, segnata da “un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere e abbracciare”.

2. Nei primi tre paragrafi del Messaggio si enuclea la parte più squisitamente teologica: “Una vera fraternità tra gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente…La radice della fraternità è contenuta nella paternità di Dio … La fraternità umana è rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione … La croce è il ‘luogo’ definitivo di fondazione della fraternità”.

Papa Francesco guarda alla famiglia naturale, come palestra dove si impara a esercitare la fraternità e che “dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore”, e alla “famiglia di Dio” dove tutti sono “figli nel Figlio e non ci sono ‘vite di scarto’.

Nel Messaggio c’è la denuncia di un lungo elenco di comportamenti illegali e immorali, dalla ‘povertà relativa’ alle guerre e al commercio d’armi, dalla prostituzione alla corruzione, dallo sfruttamento del lavoro al traffico di esseri umani e all’affollamento delle carceri.

La parte propositiva parte dal duplice assunto che “la fraternità genera pace sociale perchè crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune”, e che “il necessario realismo della politica e dell’economia non può ridursi ad un tecnicismo privo di idealità, che ignora la dimensione trascendente dell’uomo”.

Papa Francesco fa proprio l’accento forte delle encicliche Populorum Progressio di Paolo VI e Sollicitudo rei socialis diGiovanni Paolo II per ribadire che per chi opera nel campo della politica e dell’economia c’è il triplice dovere di solidarietà, di giustizia sociale e di carità universale, che lo sviluppo è il nome della pace e che questa è opera della solidarietà. Una comunità politica, scrive il Papa, “deve allora agire in modo trasparente e responsabile” adottando, tra le altre, misure “che servano ad attenuare una eccessiva sperequazione del reddito” e facciano sì che il succedersi delle crisi economiche porti “agli opportuni ripensamenti dei modelli di sviluppo economico e a un cambiamento negli stili di vita”.

3. “La fraternità spegne la guerra” è il significativo titolo del paragrafo dedicato a questo tema cruciale. “L’esperienza dilaniante della guerra costituisce una grave e profonda ferita inferta alla fraternità... Molti sono i conflitti che si consumano nell’indifferenza generale”. A quanti con le armi seminano violenza e morte il Papa ingiunge con forza: “fermate la vostra mano!” e riscoprite il fratello in chi considerate un nemico da abbattere. Poiché la grande quantità di armi in circolazione offre pretesti per usarle, occorre procedere “alla non proliferazione delle armi e al disarmo da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e chimico”. Sono certamente necessari, afferma Papa Francesco, gli accordi internazionali e le leggi nazionali che vanno in questa direzione, ma non bastano da soli a prevenire i conflitti violenti: occorre la conversione dei cuori: “E’ questo lo spirito che anima molte delle iniziative della società civile e di organizzazioni religiose in favore della pace”.

Partendo da questi assunti, Francesco si augura che “l’impegno quotidiano di tutti continui a portare frutto e che si possa anche giungere all’effettiva applicazione nel diritto internazionale del diritto alla pace, quale diritto umano fondamentale, pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti”.

E’, questo, un passaggio di altissimo rilievo politico e giuridico, oggetto di aspre contese teoriche e politiche. Per una certa cultura occidentale saremmo al limite dell’eresia: si argomenta infatti che non si può aspettare l’avvento della pace per mettere in opera i diritti umani. La tesi opposta ribatte che è lo stesso vigente diritto internazionale a smentire tale opinione dato che, pur se a titolo d’eccezione, prevede che nei casi di conflitti violenti molti diritti fondamentali possano essere ‘sospesi’ dagli stati. Ma è anche il buon senso comune a dire che in tali casi a essere messa a rischio è la vita delle persone e delle comunità, cioè la stessa premessa assiomatica dei diritti.

La tesi fatta propria da Papa Francesco trova un precedente autorevole nella Risoluzione 60/163 adottata il 2 marzo 2006 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite col titolo “Promozione della pace quale requisito vitale per il pieno godimento di tutti i diritti umani di tutti”. Nel documento si ricorda tra l’altro che “ognuno ha diritto a un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà fondamentali enunciati nella Dichiarazione universale dei diritti umani possono essere pienamente realizzati”, ci si dice convinti che “la vita senza la guerra è prerequisito internazionale primario per il benessere materiale, lo sviluppo e il progresso dei Paesi e per la piena attuazione dei diritti e delle libertà fondamentali proclamati dalle Nazioni Unite”, si sottolinea con forza che “la pace è un requisito vitale per la promozione e la protezione di tutti i diritti umani di tutti”, e si dichiara solennemente che “i popoli del nostro pianeta hanno un sacro diritto alla pace e la preservazione e la promozione della pace costituiscono un obbligo fondamentale di ciascun stato”.

L’affermazione di Francesco incoraggia quanti, in questi mesi, stanno operando affinchè si giunga rapidamente all’approvazione di una “Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto alla pace” finalizzata a introdurre nel vigente diritto internazionale appunto il diritto alla pace quale diritto della persona e dei popoli. La bozza di questo documento, in corso di discussione a Ginevra presso il Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite, presenta un contenuto molto corposo. E’ prevedibile che subisca modifiche prima di essere trasmesso all’Assemblea Generale per l’approvazione. Ma fin d’ora se ne può cogliere il senso fortemente innovativo guardando ai titoli dei vari articoli: Diritto alla pace-Principi, Sicurezza umana, Disarmo, Educazione e formazione alla pace, Diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, Imprese private militari e di sicurezza (è il tema di cosiddetti ‘contractors’), Resistenza e opposizione all’oppressione, Peacekeeping, Diritto allo sviluppo, Ambiente, Diritti delle vittime e dei gruppi vulnerabili, Rifugiati e migranti, Obblighi e implementazione.

L’articolo 1, nell’attuale (provvisoria) versione recita: “1. Gli individui e i popoli hanno diritto alla pace. Questo diritto deve essere realizzato senza alcuna distinzione o discriminazione...2. Gli Stati, individualmente o congiuntamente, o quali membri di organizzazioni multilaterali, sono controparte principale (portatori di obblighi) del diritto alla pace. 3. Il diritto alla pace è universale, indivisibile, interdipendente e interrelato. 4. Gli Stati sono tenuti per obbligo giuridico a rinunciare all’uso e alla minaccia della forza nelle relazioni internazionali. 5. Tutti gli Stati, in conformità ai principi della Carta delle Nazioni Unite, devono usare mezzi pacifici per risolvere qualsiasi controversia di cui siano parte. 6. Tutti gli Stati devono promuovere lo stabilimento, il mantenimento e il rafforzamento della pace interazionale in un sistema internazionale basato sul rispetto dei principi enunciati nella Carta delle Nazioni Unite e sulla promozione di tutti i diritti umani e libertà fondamentali, compreso il diritto allo sviluppo e il diritto dei popoli all’autodeterminazione”.

A sua volta, il primo comma dell’articolo 2 così proclama: “Ognuno ha diritto alla sicurezza umana, che comprende la libertà dalla paura e la libertà dal bisogno quali elementi costitutivi di pace positiva, nonchè la libertà di pensiero, conoscenza, opinione, espressione, credo o religione, in conformità al diritto internazionale dei diritti umani. La libertà dal bisogno implica il godimento del diritto allo sviluppo sostenibile e dei diritti economici, sociali e culturali. Il diritto alla pace è collegato a tutti i diritti umani, compresi i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali”. Il sesto comma di questo stesso articolo recita: “Ognuno ha il diritto di chiedere al proprio Governo l’effettiva osservanza delle norme del diritto internazionale, compresi il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto umanitario internazionale”.

Bastano questi pochi cenni per capire che il documento investe il modo di concepire l’ordine mondiale, sottolineando l’attualità di quanto proclamato nell’articolo 28 della Dichiarazione Universale: “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati nella presente Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”. C’è quì il concetto di opus iustitiae pax, pace positiva.

4. La messa a fuoco e il rilancio del modello di ordine mondiale fondato sui diritti umani attraverso una solenne Dichiarazione delle Nazioni Unite, spiega perchè il documento in discussione a Ginevra stia incontrando molti ostacoli soprattutto per la pregiudiziale opposizione degli Stati Uniti d’America e di altri stati, fra i quali i membri dell’Unione Europea. Questi adducono argomenti scandalosamente pretestuosi: tra l’altro, che si tratterebbe di una iniziativa di propaganda ideologica; che poichè non c‘è traccia di uno specifico ‘diritto umano alla pace’ nel vigente diritto internazionale (ma il citato articolo 28 lo enuncia implicitamente), sarebbe comunque inutile e velleitario procedere alla sua invenzione che se si procede al suo riconoscimento quale diritto fondamentale gli stati non potrebbero più usare le armi. In sostanza, questi oppositori vogliono salvaguardare il loro ius ad bellum, il diritto di fare la guerra, quale attributo irrinunciabile delle rispettive sovranità statuali. Implicitamente, essi si rifiutano di dare piena attuazione alla Carta delle Nazioni Unite per quanto attiene alla messa in opera del previsto sistema di sicurezza collettiva sotto la diretta autorità sopranazionale dell’ONU.

Numerose organizzazioni di società civile con status consultivo alle Nazioni Unite (tra le altre, l’Associazione Papa Giovanni XXIII e Franciscans International)), sono attivamente impegnate a che l’operazione in corso per la messa a punto definitiva dell’importante documento si concluda con l’approvazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

E’ dato prevedere che il riferimento che, con puntuale linguaggio tecnico-giuridico, il Papa fa a questa delicata materia renderà le organizzazioni non governative e i movimenti transnazionali di società civile globale ancora più determinate nel portare avanti la loro azione di proposta e di pressione in seno al Consiglio dei diritti umani.

5. In l’Italia, c’è un motivo di carattere anche politico-istituzionale che deve spingere il nostro Paese a schierarsi a favore del documento delle Nazioni Unite. A partire dalla legge della Regione Veneto del 1988 per la promozione della cultura della pace e dei diritti umani - la prima del genere in Italia -, in migliaia di Statuti di Comuni e Province e in numerose leggi di Regioni è inserita la cosiddetta ‘norma pace diritti umani’, il cui testo standard recita: “Il Comune X (la Provincia X, la Regione X), riconosce la pace quale diritto fondamentale della persona e dei popoli in coerenza con i principi della Costituzione italiana e del diritto internazionale che sanciscono la promozione dei diritti dell’uomo e dei popoli, delle libertà democratica e della cooperazione internazionale”.

Questo antesignano riconoscimento giuridico del diritto umano alla pace a livello di ordinamenti sub-nazionali candida gli enti di governo locali e regionali dell’Italia, a cominciare dalla Regione del Veneto, a far sentire la propria voce sia presso il Governo e il Parlamento sia, direttamente, presso il Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite facendo causa comune con le ONG e con l’Osservatore Permanente della Santa Sede a Ginevra.

In questo loro mobilitarsi sul terreno della ‘City diplomacy’, gli enti locali, poli primari della sussidiarietà nei processi di governance globale, possono utilmente avvalersi anche della legittimazione fornita dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite “sul diritto e la responsabilità di individui, gruppi e organi della società di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti”(1998).

L’articolo 1 così recita: “Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale”. Lo spazio d’azione per i diritti umani travalica dunque i confini degli stati.

Un altro articolo significativo è il n. 7: “Tutti hanno diritto, individualmente e in associazione con altri, di sviluppare e discutere nuove idee e principi sui diritti umani e di promuovere la loro accettazione”.

L’azione per il riconoscimento della pace quale diritto umano fondamentale rientra puntualmente nel tipo di ruoli previsti da questa disposizione. I soggetti cui la Dichiarazione delle Nazioni Unite fa riferimento sono ‘individui, gruppi e organi della società’: è il caso di far notare che, secondo la Costituzione, gli enti di governo locali fanno parte della Repubblica, non dello Stato. Come tali, rientrano a pieno titolo nella tipologia degli ‘organi della società, dotati di autonomia in via originaria.

6. L’affermazione di Papa Francesco che il rispetto del diritto alla pace è “pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti” è molto coraggiosa, al limite dell’eresia giuridica e filosofica secondo il tradizionale pensiero positivista e statocentrico dell’Occidente. Ma è in perfetta consonanza con il Sapere e il Diritto universale dei diritti che assume la vita dell’essere umano come valore supremo. E in ossequio alla verità ontologica dell’integrità dell’essere umano - fatto di spirito e di materia, di anima e di corpo -, la chiara presa di posizione di Papa Francesco è anche pienamente conforme al principio dell’interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti: civili, politici, economici, sociali culturali; individuali e collettivi. La pace, come lo sviluppo e l’ambiente, sono allo stesso tempo diritti individuali, come gli altri diritti, e diritti collettivi, cioè macro diritti-sintesi o macro diritti-strategia, che toccano l’essenza stessa della tradizionale forma-stato e ne esigono la trasformazione. In presenza del diritto alla pace, lo stato perde infatti lo ius ad bellum e viene investito dell’officium pacis quale suo attributo costitutivo.

In presenza del diritto umano fondamentale alla pace, l’elenco degli obblighi degli stati si rende visibile in tutta la sua impellenza, in particolare: obbligo di disarmare, obbligo di riformare in senso democratico e far funzionare i legittimi organismi internazionali di sicurezza collettiva a cominciare dalle Nazioni Unite, obbligo di conferire parte delle forze armate all’ONU come previsto dall’articolo 43 della Carta delle Nazioni Unite, obbligo di riconvertire e formare tali forze per l’esercizio di funzioni di polizia internazionale sotto comando sopranazionale, obbligo di introdurre nei programmi scolastici l’educazione ai diritti umani e alla pace, obbligo di sottoporsi alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale, obbligo di cooperare allo sviluppo dei paesi meno favoriti, obbligo di adottare misure concrete per la salvaguardia del creato, eccetera.

Con la proibizione della pena di morte, già entrata nel diritto internazionale in virtù del secondo Protocollo al Patto internazionale sui diritti civili e politici (finora ratificato da oltre settanta stati; ancor più assoluto è il divieto sancito nell’ordinamento dell’Unione Europea), lo stato perde lo ius necis ac vitae al proprio interno, il diritto di vita e di morte sui propri cittadini: gli rimane lo officium vitae, il dovere di garantire la loro vita. Con la proibizione della guerra, lo stato perde lo ius necis (il diritto di uccidere) al proprio esterno, nei confronti degli altrui cittadini, e anche in questo caso deve adempiere allo officium vitae ac pacis nei confronti di tutti i membri della famiglia umana.

Con questo passo avanti della civiltà del diritto, lo stato si depura di attributi negativi e si rinvigorisce di attributi virtuosi. Come prima accennato, i rappresentanti degli stati che si oppongono al riconoscimento della pace quale diritto umano fondamentale sono consapevoli della mutazione genetica della statualità cui vanno incontro: coerentemente, dal loro punto di vista, sono conservatori di status quo strutturalmente bellicistico, anzi reazionari; di fatto, persistono nel difendere e alimentare (sub)culture e prassi omicidarie, in flagrante stato di illegalità e di immoralità.

7. Il Messaggio di Papa Francesco offre ulteriori spunti per la riflessione orientata ad un’azione politica e legislativa che segni punti di non ritorno sulla via dell’universale rispetto della dignità umana: per esempio, in tema di famiglia che non ammette ‘vite di scarto’ fra i suoi membri. E’ il caso di ricordare che nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (la Pacem in Terris la colloca fra i segni dei tempi) si parla dello ‘spirito di fratellanza’ che deve caratterizzare i rapporti fra gli esseri umani, i quali tutti “nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” (articolo 1).

Nella città dell’uomo, la triade famiglia, fraternità e solidarietà evoca il tema della cittadinanza, che alla luce dei diritti umani riconosciuti dal vigente diritto internazionale dei diritti umani, non può essere discriminatoria, cioè condizionata dallo ius sanguinis (diritto del sangue) e da uno ius soli (diritto della terra) nazionalisticamente inteso. Urge che le tradizionali cittadinanze nazionali, concepite nell’ottica dell’esclusione e della discriminazione, siano trasformate in cittadinanze inclusive e plurali: come altrettanti rami di un albero, il cui tronco è la cittadinanza universale, speculare allo statuto di persona umana, e le cui radici sono i diritti fondamentali che il vigente diritto internazionale riconosce come inerenti alla dignità umana.

Guardando in particolare all’Unione Europea, è lecito chiedersi: perchè una moneta unica, e non anche una legge uniforme europea sulla cittadinanza che sia coerente con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e quindi superi le insostenibili differenze delle legislazioni nazionali in materia? A questa sfida si risponda partendo dai bambini figli degli immigrati, che nascono o comunque crescono e vanno a scuola in questa o quella parte dello spazio territoriale dell’Unione, uno spazio che è giuridicamente ed economicamente ben definito. Lo status di questi bambini costituisce tuttora una sorta di limbo della cittadinanza, con buona pace del ‘superiore interesse del bambino’ sancito dall’articolo 3 della Convenzione internazionale del 1989. Ai bambini immigrati deve essere riconosciuto lo status di cittadini dell’UE quale status di cittadinanza primaria, con riferimento al duplice parametro dello ‘ius humanae dignitatis’ (diritto della dignità umana) e dello ius soli ‘europeo’, con automatica acquisizione della cittadinanza negli stati di residenza. Si ricorda che l’attuale ‘cittadinanza dell’UE’ è una cittadinanza derivata, nel senso che la posseggono coloro che sono cittadini di uno stato membro dell’Unione: essa non si fonda direttamente sui diritti della persona ma su quelli di chi è già cittadino. I bambini immigrati forniscono l’occasione all’ordinamento dell’UE di uscire da questa patologica, contraddittoria situazione.

8. Fraternità e famiglia evocano anche il tema della casa, anzi delle case comuni nel mondo globalizzato, al cui interno tutti i membri della famiglia umana trovino protezione e possano esercitare la virtù della solidarietà e il servizio reciproco. Le grandi istituzioni multilaterali, deputate a presidiare la legalità e promuovere la cooperazione fra stati e fra popoli – dall’ONU all’Unione Africana, dall’Unione Europea alla Lega degli Stati Arabi, ecc. -, sono state create per essere altrettante case comuni.

Sul tema casa vale la pena citare una delle tante, stupefacenti allegoria costruite da S. Antonio da Padova nei suoi ‘Sermones’. Scrive Antonio: “la casa si chiama in latino domus, e viene dal greco dòma, che vuol dire anche tetto. Considera che la casa consta di tre parti: le fondamenta, le pareti e il tetto. Nelle fondamenta è raffigurata l’umiltà, nelle pareti l’insieme delle virtù e nel tetto la carità. Dove sono riunite queste tre ‘parti’, lì c’è il Signore che dice: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera”. Antonio prosegue: “La preghiera si chiama in latino oratio, come dire oris ratio, la ragione (il ragionamento) della Bocca” (da I Sermoni, trad. di Giordano Tellaro, Edizioni Messaggero Padova, 1966, p.588).

“Noi, Popoli delle Nazioni Unite, decisi a ...”: così comincia, con questa asserzione di democrazia cosmopolitica, la Carta delle Nazioni Unite. Volendo usare l’allegoria di Antonio pensando al carico di ideali e di valori universali di cui l’ONU è portatrice, potremmo dire che essa è la grande casa comune di tutti i membri della famiglia umana, a presidio di altissime virtù civili, e che l’attività normativa che essa porta avanti recependo principi di etica universale, è come una preghiera rivolta a chi ha potere perchè lo eserciti secondo legalità e in spirito di solidarietà con tutti i popoli della madre terra.

Senza istituzioni sopranazionali forti, in particolare senza una ONU debitamente democratizzata, manca l’humus globale nel quale sviluppare le garanzie dei diritti umani fondamentali e dare appropriato spazio e sostanza a quella preghiera laica collettiva che si chiama ‘cooperazione internazionale’.

 

Antonio Papisca
Professore Emerito dell’Università di Padova

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