Intervento del prof. Antonio Papisca alla audizione della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati sulla Corte penale internazionale, 5 maggio 1999

1. La costituzione di istituzioni giurisdizionali internazionali rappresenta un momento fondamentale nella progressione della Comunità internazionale verso lo “stato di diritto”, è una tappa essenziale della civilizzazione giuridica – ma anche politica e morale – del sistema delle relazioni fra stati e fra popoli.
2. Nell’era dell’interdipendenza globale, fatta di asimmetrie e vulnerabilità diseguali, che accentuano la conflittualità economica, sociale e politica, ma che tuttavia spingono a trovare appropriate forme di cooperazione e gestione comune, è importante e urgente accedere una volta per tutte al principio di autorità sopranazionale in particolare nei settori della sicurezza e della giustizia, che sono cruciali per la condizione umana alla soglia del terzo millennio.
3. La giurisdizione è la più alta forma di risoluzione pacifica delle controversie, così come stabilito dall’articolo 33 della Carta delle Nazioni Unite, ove, come noto, sono indicati anche la mediazione, la conciliazione, i buoni uffici, l’arbitrato. La civiltà del diritto si misura su questo terreno, non su quello dell’uso della forza.
4. La messa in funzione della Corte penale internazionale deve essere considerata come una pietra miliare nella costruzione di quell’ordine mondiale giusto, pacifico e democratico, che trova il suo fondamento giuridico nella Carta delle Nazioni Unite e nelle Convenzioni internazionali sui diritti umani. Il riferimento è alle fonti primarie (costituzionali) del nuovo diritto internazionale per la cui piena attuazione, finita l’ibernazione collegata all’ordine bipolare, non esistono più alibi.
5. Quanto posto, in termini giuridici e ideali, nel 1945, per ispirazione di leaders politici illuminati e lungimiranti, fermamente decisi a far fare un salto di qualità alla vita nel pianeta, costituisce un momento di creatività di valore e portata universali, dal quale non é lecito, nè conveniente, arretrare, nonostante i rigurgiti e le tentazioni di Realpolitik di cui si dimostrano preda taluni governanti privi di solida formazione morale e giuridica.
6. Al contrario, bisogna attingere a quel “crogiolo ardente e universale”, dal quale è scaturita anche la nostra Costituzione, per procedere speditamente sulla via della legalità e dello sviluppo umano per ogni comunità umana, in qualsiasi parte del mondo, consapevoli di ciò che significa e comporta, in termini di istituzioni e di politiche, il dettato dell’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
7. La Corte penale internazionale appartiene ad un modello di ordine internazionale che traduce l’articolo 28 della Dichiarazione Universale: “Ogni essere umano ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale tutti i diritti e le libertà enunciati nella presente Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”.
In quest’ordinamento, il principio fondante è “humana dignitas servanda est”. Ne discende che il principio di sovranità degli stati cede, o è comunque strumentale, al principio della eguale dignità delle persone umane, soggetti originari di diritti. Il principio della responsabilità personale per i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra ha la sua ratio sostanziale nel “diritto internazionale dei diritti umani”.
8. In questo quadro di civiltà giuridica, che ha come valori supremi la dignità umana, la vita, la pace, la democrazia, va collocato e interpretato il “diritto internazionale umanitario”, che ha le sue fonti nelle Convenzioni di Ginevra del 1949 e nei successivi Protocolli del 1977. Proiettare la luce dei diritti umani sullo ius in bello – tale è il diritto umanitario – significa cominciare a sottrarre quest’ultimo alla logica dello ius ad bellum quale attributo della tradizionale sovranità degli stati, significa contribuire a disinquinare la vita nel pianeta dalla guerra-istituzione e dalla guerra-sul campo, significa sostituire al vecchio adagio “si vis pacem para bellum” l’imperativo etico ( e giuridico, ai sensi del nuovo diritto internazionale ) “si vis pacem para pacem”.
9. La Corte penale internazionale, con raggio universale di competenze e poteri, non può validamente funzionare a prescindere da un corrispettivo sistema di sicurezza collettiva, che faccia leva su una forza di polizia internazionale – civile e militare. Il contesto istituzionale è quello delle Nazioni Unite. Occorre vedere la Corte saldamente ancorata a questo contesto, non già come ente sopranazionale a sè stante, in balia ai condizionamenti e alle riserve degli stati. La Corte – le juge – non può esistere a prescindere dal nuovo diritto internazionale – la loi – e dalla polizia internazionale sotto autorità delle Nazioni Unite – le gendarme. Orbene, la legge internazionale esiste, la Corte sta per esistere, bisogna rilanciare il sistema di sicurezza collettiva e in esso fare esistere la polizia delle Nazioni Unite. Occorre completare il quadro istituzionale e funzionale in modo coerente. A tutelare la legge dei diritti umani e a dar seguito alle pronuncie della Corte internazionale il gendarme – in corretto rapporto di scala e di qualità – non può essere uno stato o un gruppetto di stati. Il trinomio deve informarsi al medesimo principio di autorità “sopranazionale” e ciò è possibile soltanto dando voce e funzionalità alle Nazioni Unite.
10. Nel ratificare la Convenzione istitutiva della Corte penale internazionale, il Parlamento deve essere consapevole della necessità di questa visione complessiva di ordine mondiale e agire di conseguenza:
- riconoscendo il primato del diritto internazionale dei diritti umani su qualsiasi altro ordinamento o legge;
- riconoscendo la necessità del principio del multilateralismo nella cooperazione internazionale;
- dando contenuti al principio della sicurezza collettiva e multidimensionale su scala mondiale e continentale;
- dando risorse e consenso al sistema delle Nazioni Unite;
- operando per la democratizzazione del sistema delle Nazioni Unite.
11.Il movimento di società civile globale, che in Italia sta sviluppando una nuova cultura politica fortemente segnata dai diritti umani e dalla dimensione internazionale della “governance”, vuole interagire attivamente con le Istituzioni del nostro Paese nel perseguimento degli obiettivi di pace positiva e di democrazia dalla Città all’ONU. L’associazionismo italiano – organizzazioni non governative, gruppi di volontariato –, che ha maturato la scelta della via giuridica nonviolenta alla pace, è prezioso alleato di quanti, dall’interno delle Istituzioni perseguono la medesima via di legalità e di pacificazione dalla Città e dallo Stato all’ONU.
12. L’Italia può essere leader dei diritti umani in campo internazionale sia perchè è ricca di ‘società civile’ proiettata in azioni di promozione umana in ogni parte del mondo, sia perchè con il suo nome sono segnate alcune pietre miliari dello sviluppo del nuovo diritto internazionale. In particolare, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti della persona e delle libertà fondamentali del 1950, su cui poggia l’esemplare edificio del “sistema europeo dei diritti umani”, è conosciuta con il nome di Convenzione di Roma; con lo stesso nome passerà alla storia la Convenzione per l’istituzione appunto della Corte penale internazionale. L’Italia è tra i promotori, nel 1993, del Tribunale penale per la ex Jugoslavia. L’Italia sta dando vita alla gigantesca operazione di aiuto umanitario “Arcobaleno”. In Italia ha sede, a Venezia, dal 1997, il “Master Europeo in Diritti Umani e Democratizzazione”, il programma formativo dell’Unione Europea al quale partecipano 15 prestigiose università europee coordinate dal Centro di studi e di formazione sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova. Con questo programma si formano gli esperti di diritto internazionale dei diritti umani e di diritto internazionale umanitario, gli operatori del monitoraggio e dell’osservazione internazionale per gli stati e per le organizzazioni internazionali.
13. L’Italia deve rendere visibile questo patrimonio di risorse ideali e culturali in sede internazionale, in particolare nel sistema delle Nazioni Unite e in quello dell’Unione Europea. Il Governo Italiano deve spendere questo patrimonio, coerentemente, nel cantiere della costruzione di un ordine mondiale saldamente ancorato al diritto internazionale dei diritti umani e ai principi delle Nazioni Unite. E su questo terreno deve cercare alleati – e li troverà sicuramente – anche tra i paesi che non fanno parte nè dell’Unione Europea nè della Nato. Nello spendersi per l’effettività del nuovo diritto internazionale, l’Italia non deve esitare a prendere l’iniziativa, anche dissociandosi – su questioni di principio irrinunciabili – da alleati tradizionali. Non sarà sola sulla via della vera legalità internazionale.
14. Nel ratificare la Convenzione per la Corte penale internazionale, l’Italia dovrà fare una solenne dichiarazione con cui collegherà le attività e gli sviluppi della Corte al potenziamento delle Nazioni Unite. Questa dichiarazione conterrà anche l’impegno di non avvalersi della possibilità di sospendere o attenuare l’ordinaria funzionalità della Corte pur nei casi espressamente previsti. Il ‘minimo comun denominatore’, stipulato in sede diplomatica, deve essere integralmente applicato e costituire trampolino di lancio per il potenzialmente, in competenze e poteri, della Corte.