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Introduzione alla pubblicazione “Come promuovere i diritti umani nel mondo. La Dichiarazione di Vienna e il Programma d’Azione”, Perugia, Tavola della Pace, 1998

Logo Centro di Ateneo per i Diritti Umani "Antonio Papisca", Università di Padova

La Conferenza mondiale sui diritti umani, svoltasi a Vienna dal 14 al 25 giugno 1993, costituisce un evento di portata maggiore nella storia delle Nazioni Unite e del mondo, sia per il numero e la varietà dei soggetti partecipanti sia, ancor più, per il contenuto dei documenti finali: la “Dichiarazione di Vienna” e il collegato “Programma d’Azione”. 

Alla Conferenza hanno preso parte 171 Stati, 2 Movimenti di liberazione nazionale, 15 Organi dell’Onu, 10 Agenzie specializzate delle Nazioni Unite (dall’Unesco all’Organizzazione Internazionale del Lavoro), 18 Organizzazioni Intergovernative (dal Consiglio d’Europa all’Organizzazione degli Stati Americani), 24 Istituzioni nazionali per i diritti umani e 6 Difensori civici, 248 Organizzazioni Non Governative dotate di status consultivo presso l’Ecosoc (Consiglio economico e sociale delle NU) e altre 593 Organizzazioni Non Governative.

Dunque, pur se a titolo consultivo, le ONG, espressioni della società civile attive per via transnazionale a fini di promozione umana, hanno dato il loro contributo di idee, proposte e testimonianze all’interno stesso dei lavori della Conferenza degli Stati. Ma già alla vigilia di quest’ultima, dal 10 al 12 luglio 1993, un ancor più rilevante numero di ONG – oltre 1000, con 2000 delegati provenienti da 145 paesi di ogni parte del mondo – hanno dato vita al “Forum mondiale degli Organismi Non Governativi”, all’insegna di: “Tutti i diritti umani per tutti”. 

Ambedue gli eventi hanno avuto luogo nella stessa sede, lo “International Austria Centre”: il Foro di società civile si è svolto, fisicamente, al “piano di sotto” rispetto a quello della riunione dei rappresentani degli Stati. Questa circostanza logistica può essere utilmente interpretata non come un declassamento delle ONG (parenti poveri dei Governi, adoratrici di utopia...), bensì come un forte segnale di democrazia internazionale: la società civile quale terreno fertile, base fondativa e legittimante, radice di una nuova cooperazione internazionale ancorata al paradigma etico di quei valori umani universali che, oggi, anche sul piano internazionale sono giuridicamente riconosciuti come diritti umani.

E infatti il Forum delle ONG è stato vivacissimo e propositivo, oltre che genuinamente rappresentativo di popoli, minoranze e gruppi etnici di ogni continente. Al suo interno non si è registrata alcuna contrapposizione tra Nord e Sud, com’è invece avvenuto, senza peraltro pregiudicare il consenso sui documenti finali, nella Conferenza intergovernativa.

Le ONG hanno discusso, denunciato, progettato e proposto. Soprattutto in questa occasione, i più convinti assertori dei diritti umani sono stati i rappresentanti delle società civili del Sud. Un altro dato rilevante riguarda la leadership del Forum: essa è stata gestita dalle donne, le quali l’hanno esercitata efficacemente anche nei confronti delle delegazioni governative. Insomma, per capire l’importanza dell’assise di Vienna bisogna tenere conto di questo “piano di sotto” che ha contribuito, in maniera determinante, ad assicurare il successo del “piano di sopra”. 

Con questo sigillo di partecipazione politica popolare, la Dichiarazione e il Programma d’Azione di Vienna segnano il grado più elevato di condivisione, a raggio mondiale, dei principi che informano il diritto internazionale dei diritti umani, ovvero quel nuovo diritto o diritto dell’umanità che si è venuto sviluppando, a partire dalla Dichiarazione Universale del 1948, attraverso le varie Convenzioni giuridiche internazionali in materia: in particolare, i due Patti internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali e, da ultimo, la Convenzione internazionale sui diritti dei bambini del 1989, ratificata da ben 191 Stati. La Dichiarazione Universale ha dimostrato di essere veramente universale e feconda, poichè ha generato un corpo organico di norme internazionali che si propone quale “linguaggio comune dell’umanità”, necessario per alimentare il dialogo interculturale e costruire la pace positiva nell’era dell’interdipendenza mondiale.

Tenuto conto, da un lato, dell’esperienza e delle difficoltà incontrate sulla via della promozione e della protezione internazionale dei diritti umani nell’arco di mezzo secolo, dall’altro, delle nuove sfide derivanti dalla fine dei ‘blocchi’ e dai complessi e conflittuali processi di mondializzazione operanti in ogni campo della vita umana, la Conferenza di Vienna si è innanzitutto fatta carico di elucidare i principi fondamentali in materia, nell’intento di offrire una chiara e solida piattaforma di consenso e di impegno sui programmi operativi. Tra i principi solennemente enunciati o ribaditi dalla Dichiarazione di Vienna si segnalano in particolare: 1) l’universalità, l’interdipendenza e l’indivisibilità di tutti i diritti umani (civili, politici, economici, sociali, culturali, individuali e collettivi, di solidarietà); 2) la dignità della persona umana, la eguale dignità di tutte le persone umane, quale fondamento dei diritti umani, per cui questi sono da considerare innati e quindi inviolabili e inalienabili; 3) l’interdipendenza tra diritti umani, sviluppo e democrazia; 4) l’asserzione che i “diritti fondamentali delle donne fanno parte inalienabilmente, integralmente e indissociabilmente dei diritti universali della persona”; 5) l’autodeterminazione dei popoli in quanto diritto umano, con particolare riferimento alle situazioni coloniali o di dominazione straniera.

Appellandosi a questi principi, la Conferenza riafferma “il solenne impegno di tutti gli Stati ad adempiere ai loro obblighi intesi a promuovere il rispetto, l’osservanza e la protezione di tutti i diritti umani per tutti”, con l’avvertenza che la loro “natura universale è fuori discussione”.

Quali dunque gli impegni specifici? Dichiarazione e Programma d’Azione indicano innanzitutto una scala di priorità, con riferimento alle urgenze esistenziali di categorie di soggetti ancora troppo deboli e discriminati: donne, bambini, poveri, minoranze, lavoratori migranti, popoli indigeni, disabili, “scomparsi”. Le piste operative del Programma possono così riassumersi: una “nuova” cooperazione allo sviluppo coi paesi ad economia povera, che li metta in grado di soddisfare tutti i diritti umani dei loro abitanti; l’alleviamento del debito esterno dei paesi ad economia povera; la lotta contro il razzismo, la discriminazione, la xenofobia; la creazione e lo sviluppo di apposite “istituzioni nazionali dei diritti umani”, in particolare di una Commissione nazionale indipendente e del Difensore civico; il rafforzamento degli organismi e delle procedure di garanzia internazionale operanti all’interno del sistema delle Nazioni Unite e dei sistemi regionali; la valorizzazione del ruolo delle ONG; la diffusione e il potenziamento dei programmi di educazione, con l’avvertenza che gli stati sono obbligati ad assicurare che l’educazione miri a rafforzare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Di altissimo rilievo ‘costituzionale’ è l’invito che la Conferenza rivolge agli Stati perchè incorporino i principi e le norme internazionali dei diritti umani nei loro ordinamenti interni. A questo proposito, giova segnalare che la dottrina internazionalistica in materia reputa che il diritto internazionale dei diritti umani contiene principi di ius cogens, cioè principi che vincolano gli stati e qualunque altro soggetto a prescindere dalla loro esplicita accettazione. Ne discende che questo nuovo diritto internazionale deve avere il primato su qualsiasi altro ordinamento e su qualsiasi altra legge, come espressamente proclamano gli Accordi di Dayton del 1995 per la pace in Bosnia e Erzegovina. 

La Conferenza raccomanda che la “dimensione diritti umani” diventi una componente essenziale delle operazioni di pace (peace-keeping) e degli interventi ai sensi del diritto internazionale umanitario. L’attrazione di questi due campi nella sfera dei diritti umani dà forza allo speculare principio, inerente al nuovo diritto internazionale, della proibizione della guerra e della pace positiva. Il Programma d’Azione termina con l’impegno a verificare nel 1998, in occasione del 50° anniversario della Dichiarazione Universale, con ampia partecipazione di soggetti governativi e non governativi, lo stato di attuazione degli obblighi assunti a Vienna. 

La presente pubblicazione vede la luce proprio in questo contesto e intende fornire la necessaria informazione “alla fonte” perchè tutti – istituzioni nazionali, enti di governo locale e regionale, associazioni e gruppi di volontariato, studenti e insegnanti –, possano partecipare alla verifica. Alcuni risultati ci sono già. L’Alto Commissario è stato istituito nel dicembre 1993 e la Conferenza internazionale per la creazione della Corte penale internazionale permanente è stata convocata a Roma dal 15 giugno al 17 luglio 1998. Molto altro resta da fare. Gli impegni scaturiti da Vienna sono tessere importanti del mosaico di un nuovo ordine mondiale più umano, giusto, pacifico e democratico che noi tutti dobbiamo contribuire a costruire. Vale la pena di conoscerli, considerarli e farli valere.

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