La legislazione italiana sulle armi leggere e di piccolo calibro
La legislazione italiana individua due categorie di armi leggere e di piccolo calibro: le armi da guerra e le armi comuni da sparo.
In particolare, la Legge 110/75 definisce armi da guerra “le armi di ogni specie che, per la loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l'impiego bellico, nonché le bombe di qualsiasi tipo o parti di esse, gli aggressivi chimici, i congegni bellici micidiali di qualunque natura, le bottiglie o gli involucri esplosivi o incendiari.” (art.1) Le armi comuni da sparo, invece, includono essenzialmente pistole, revolver, fucili e carabine non automatiche, le armi denominate “da bersaglio da sala” (o ad emissione di gas), nonché quelle che, “presentino specifiche caratteristiche per l'effettivo impiego per uso di caccia o sportivo, abbiano limitato volume di fuoco e siano destinate ad utilizzare munizioni di tipo diverso da quelle militari”, comprese le loro parti di ricambio e munizioni (art. 2).
La Legge 110 del 18 aprile 1975, pur trattando in maniera limitata le armi da guerra, disciplina prevalentemente le armi comuni da sparo. Tale legge prevede una serie di disposizioni relative al porto d’armi, al controllo delle armi, alla loro registrazione e classificazione, nonché alla regolamentazione di una serie di processi che includono la fabbricazione, l’importazione e l’esportazione del materiale d’armamento. Poiché, tuttavia, lo scopo della Legge 110/75 è essenzialmente quello di tutelare l’ordine nazionale interno e ridurre le importazioni di armi, essa non introduce alcun controllo sulle sue esportazioni. In questo specifico settore, i dati forniti dal SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) per il 2023 segnalano l’Italia come il sesto Paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, per esportazioni di armi e munizione e loro parti ed accessori, per una quantità complessiva che rappresenta il 4,3% del totale delle esportazioni mondiali.
Diversamente da quanto accade per le armi comuni da sparo, la Legge 185 del 9 luglio 1990 ha introdotto nella legislazione italiana una serie di principi, vincoli e divieti a cui deve uniformarsi l’azione politica del Governo in materia di controllo delle operazioni di importazione, esportazione e transito dei materiali d’armamento militare (cd. armi da guerra). La legge, in particolare, pone il divieto di esportazione e transito sul territorio nazionale di materiali d’armamento (art 1, comma 6):
“a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite […];
b) verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione;
c) verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea (UE);
d) verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'UE o del Consiglio d'Europa; […]”.
La legge, inoltre, prevede che il Presidente del Consiglio riferisca annualmente in Parlamento sulle operazioni di vendita di armamenti italiani all’estero, specificando il numero e il tipo di autorizzazioni governative, i Paesi destinatari, il contenuto e l’ammontare della fornitura, nonché le transazioni bancarie in materia di esportazione, importazione e transito di materiali di armamento (artt. 5 e 27). Secondo i dati pubblicati nella “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, riferita all’anno 2022, in quell’anno sono state rilasciate 2.155 autorizzazioni (erano 2.189 nel 2021) per l’esportazione individuale di materiali di armamento, per un valore di circa 3,8 miliardi di euro. Nel complesso, specifica la Relazione, si riscontra un incremento del valore complessivo delle autorizzazioni in uscita, che, dai 4,6 miliardi di euro del 2021, sono passati a 5,2 miliardi. Inoltre, il documento enfatizza come la somma dei valori delle autorizzazioni nel quinquennio 2018-2022 (20,27 miliardi di euro complessivamente) sia stata in forte calo rispetto al quinquennio precedente (36,83 miliardi nel periodo 2013-2017), quest’ultimo dovuto soprattutto al picco di valori registrati nell’anno 2016.