La persecuzione di Raja Eghbaria: Un caso studio sulla repressione sistemica dei palestinesi in Israele
Sommario
- Il caso di Raja Eghbaria
- Procedimento giudiziario ai sensi della Legge antiterrorismo
- Detenzione amministrativa nel 2025
- Salute in deterioramento e preoccupazioni per i diritti umani
- Tortura e trattamenti disumani
- Il più ampio contesto politico
Introduzione
Sebbene la storia di Raja Eghbaria possa sembrare un caso individuale di persecuzione, essa testimonia in modo potente pratiche sistemiche subite da migliaia di palestinesi. La detenzione amministrativa e i procedimenti giudiziari motivati politicamente sono diventati politiche statali di routine, mirate non solo ai palestinesi che vivono nei Territori Palestinesi Occupati (oPt), ma anche a quelli residenti nei territori del ’48 e titolari di cittadinanza israeliana.
Oltre alle condizioni di detenzione stesse - ampiamente documentate negli anni attraverso testimonianze e prove recenti di punizioni collettive dopo ottobre 2023 - il processo spesso inizia senza alcuna prova concreta. La maggior parte dei casi si basa su prove circostanziali o speculative presentate ai tribunali. Le accuse si fondano frequentemente sul mero sospetto che un individuo possa compiere o abbia compiuto atti ritenuti minacciosi, in assenza di prove sostanziali.
Questo meccanismo di detenzione amministrativa si estende a coloro che vengono arrestati per aver espresso opinioni politiche o religiose legate alla causa palestinese, partecipato a proteste o manifestato dissenso. Negli ultimi anni, le forze di sicurezza israeliane hanno considerato sempre più le comunità palestinesi all’interno dei territori del ’48 come potenziali minacce alla sicurezza, intensificando la repressione dell’espressione politica. Dopo l’escalation della guerra a Gaza nel 2023, questo approccio si è ampliato fino a includere interrogatori e detenzioni di massa innescate da espressioni di identità palestinese o da critiche alle politiche statali.
Una volta detenuti, gli individui vengono trattenuti senza processo e senza accusa, con la motivazione che rappresenterebbero un rischio futuro per la sicurezza. Poiché si tratta di una misura preventiva, non ha un limite di tempo definito. I detenuti vengono imprigionati in base a ordini emessi da comandanti militari regionali, fondati su prove segrete non rivelate. Ciò li lascia indifesi, di fronte ad accuse ignote, impossibilitati a confutarle, incerti sul rilascio e privati del giusto processo, in violazione dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 9 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dall’articolo 9 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, secondo cui “nessuno può essere arbitrariamente arrestato o detenuto”.
Questa pratica, radicata nel periodo del Mandato Britannico e applicata continuativamente da Israele, ha a lungo preso di mira i palestinesi sia nei Territori Occupati sia all’interno dei territori del ’48. Sotto l’attuale governo israeliano di destra e i tentativi di ristrutturazione del potere giudiziario, lo stato di diritto è diventato sempre più incerto, soprattutto per i palestinesi.
Il caso di Raja Eghbaria
Raja Eghbaria (o Eghbarieh) è un cittadino palestinese di Israele originario di Umm al-Fahem e una figura storica dell’organizzazione politica palestinese all’interno di Israele. Nato nel 1952, è attivo dagli anni ’70 e in seguito è diventato Segretario Generale di Abnaa al-Balad (“Figli della Terra”), un movimento nazionalista laico che sostiene l’unità palestinese, l’autodeterminazione e la resistenza alla normalizzazione con le istituzioni sioniste.
Ex membro del Comitato di Coordinamento Supremo per i Cittadini Arabi Palestinesi di Israele, Eghbaria è sorvegliato dalle autorità sin dagli anni ’70 a causa del suo impegno politico. Nel corso dei decenni ha subito arresti ripetuti, pene detentive e arresti domiciliari con ordini amministrativi, senza che siano mai state presentate prove credibili a sostegno delle accuse. Le sue prime attività politiche comprendono la partecipazione alle mobilitazioni del Giorno della Terra del 1976 e un ruolo di leadership nell’organizzazione dello sciopero del “Giorno della Palestina” del 1987 in solidarietà con la Prima Intifada.
Il suo incarico di insegnante è stato revocato per motivi politici, e due giornali in lingua araba da lui fondati (Al-Raya e Al-Midan) sono stati chiusi per ordine amministrativo, nonostante l’assenza di prove che li collegassero a incitamento o terrorismo. Le restrizioni al suo lavoro di educatore e giornalista illustrano i limiti più ampi imposti all’espressione intellettuale e politica palestinese in Israele.
Procedimento ai sensi della Legge Antiterrorismo del 2016
I recenti problemi giudiziari di Eghbaria derivano dalla Legge Antiterrorismo israeliana del 2016, che ha consolidato i poteri d’emergenza e ampliato la responsabilità penale per l’espressione politica. Nel 2018, l’accusa lo ha incriminato per “incitamento al terrorismo” e “identificazione con un’organizzazione terroristica” (il FPLP), basandosi su dieci post sui social media del 2017-2018.
La sua difesa, guidata dal dott. Hassan Jabareen e dall’avv. Hadeel Abu Salih di Adalah - Il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele - ha sostenuto che il caso fosse motivato politicamente, incostituzionale e in violazione della libertà di espressione. È stato inoltre dimostrato che diversi post in arabo erano stati tradotti erroneamente in ebraico. Ad esempio, l’espressione taqdim wajb al-ʿazāʾ (“porgere le condoglianze”) è stata resa come “identificarsi con”, trasformando un’espressione di solidarietà in presunto sostegno al terrorismo.
Adalah ha inoltre fornito prove statistiche che mostrano come oltre il 95% dei procedimenti per incitamento dal 2016 al 2022 abbia preso di mira cittadini palestinesi di Israele, suggerendo un’applicazione discriminatoria della legge.
Il ruolo dello Shabak nella sorveglianza politica
Lo Shabak (Shin Bet), il servizio di sicurezza interna israeliano, utilizza la sorveglianza, prove segrete e interrogatori prolungati giustificati con motivazioni di sicurezza. Organizzazioni per i diritti umani, tra cui Adalah e vari osservatori internazionali, riportano che lo Shabak ha convocato cittadini arabi per “colloqui di avvertimento”, ha monitorato i social media e ha esercitato pressioni su attivisti per discorsi o attività di protesta filo-palestinesi. Queste pratiche sono ampiamente considerate lesive delle libertà di espressione, di riunione e di privacy, e parte di un più ampio schema di trattamento diseguale nei confronti della minoranza araba in Israele.
Il crescente coinvolgimento dello Shabak nel controllo della criminalità all’interno delle comunità arabe offusca inoltre il confine tra polizia civile e sicurezza nazionale, rappresentando i cittadini come potenziali rischi per la sicurezza piuttosto che come membri eguali della società. Questo spostamento mina le garanzie del giusto processo, alimenta la sfiducia nelle istituzioni statali e solleva preoccupazioni riguardo al profiling e alla punizione collettiva. Nel complesso, le operazioni dello Shabak nei confronti dei palestinesi con cittadinanza israeliana mettono in luce una persistente tensione tra le politiche di sicurezza e la tutela dei diritti secondo la legge israeliana.
Dati sulle comunicazioni e legge sulla sorveglianza
Per “dati sulle comunicazioni” si intende l’insieme di informazioni ottenute dal Servizio di Sicurezza Israeliano (ISA), noto anche come Servizio di Sicurezza Generale, Shin Bet o Shabak, dai fornitori di servizi di telecomunicazione. Con le tecnologie attuali, tali dati possono mappare aspetti altamente sensibili della vita di una persona, tra cui spostamenti e contatti sociali.
La consapevolezza pubblica di questo programma è aumentata durante la pandemia di COVID-19, quando il governo ne ha autorizzato l’uso per il tracciamento dei contatti. Successivamente, il programma ha ricevuto un’approvazione formale attraverso una procedura accelerata e difettosa che, rispetto ad altre democrazie, manca di garanzie di base contro l’abuso.
In seguito, il governo ha annunciato l’intenzione di pubblicare un memorandum legale che propone la prima grande modifica alla Legge sul Servizio di Sicurezza Generale in oltre due decenni, includendo disposizioni riguardanti il database delle comunicazioni. I funzionari hanno promesso di rendere pubblico il memorandum per i commenti della società civile, di rispondere alle critiche e di condurre un processo legislativo trasparente.
Detenzione amministrativa nel 2025
Mentre il procedimento penale era ancora in corso, Eghbaria è stato nuovamente arrestato il 9 aprile 2025 dallo Shabak e dalla Yasam (in ebraico: יס"מ) e posto in detenzione amministrativa in base a un ordine di quattro mesi emesso dal Ministro della Difesa, fondato interamente su prove segrete che lo accusavano di “contatti con un agente straniero”. Il 3 luglio 2025, il Tribunale distrettuale di Haifa ha confermato la detenzione, nonostante l’Ufficio del Procuratore di Stato avesse dichiarato di non voler chiedere un’estensione oltre agosto.
Adalah ha condannato la decisione come emblematica dell’uso draconiano della detenzione amministrativa da parte di Israele, affermando che serve a silenziare i leader politici palestinesi senza accusa né processo, in violazione del diritto internazionale dei diritti umani. Secondo i suoi avvocati e la famiglia, Eghbaria, 73 anni, avrebbe subito abusi fisici e maltrattamenti durante la detenzione.
Salute in deterioramento e preoccupazioni per i diritti umani
Nel maggio 2025 sono sorte serie preoccupazioni per la salute e la sicurezza di Eghbaria durante la sua detenzione. Secondo il Samidoun Palestinian Prisoner Solidarity Network (2025), è stato trasferito dalla prigione di Megiddo a quella di Ramon e non è stato condotto all'udienza prevista per l’8 maggio 2025. Le autorità carcerarie avrebbero rifiutato la documentazione fotografica o video delle sue condizioni, invocando un presunto focolaio di scabbia come giustificazione per negare le visite.
Testimonianze di altri detenuti indicano che Eghbaria sarebbe stato picchiato durante il trasferimento, privato di cure mediche e avrebbe riportato una frattura a una gamba. In risposta, il movimento Abnaa al-Balad ha lanciato un appello urgente per un intervento internazionale, avvertendo che la sua vita era “in pericolo di assassinio” e ritenendo le autorità carcerarie e d’intelligence israeliane pienamente responsabili della sua sicurezza.
Il movimento ha collegato la sua detenzione alla più ampia ondata repressiva contro i palestinesi successiva a ottobre 2023, caratterizzata da arresti di massa, torture e repressione del dissenso politico critico verso le azioni militari di Israele a Gaza. Queste affermazioni sottolineano come la repressione politica all’interno dei territori del 1948 faccia parte di una più ampia campagna volta a sopprimere l’opposizione alla guerra di Gaza.
Tortura e trattamenti disumani
Israele ha ratificato nel 1991 la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, con riserva sull’Articolo 20, che conferisce al Comitato contro la Tortura il potere di indagare su pratiche di tortura sistematica. Tuttavia, Israele non ha ratificato il Protocollo Opzionale alla Convenzione contro la Tortura (OPCAT). Di conseguenza, non è obbligato a istituire un Meccanismo Nazionale di Prevenzione (NPM) né a consentire ispezioni internazionali da parte del Sottocomitato ONU per la Prevenzione della Tortura (SPT), come richiesto dal Protocollo.
Sono stati ripetutamente rivolti appelli a Israele affinché ratifichi l’OPCAT, specialmente alla luce delle continue preoccupazioni riguardanti i maltrattamenti dei detenuti nelle strutture israeliane. Le denunce di tortura e violenza sessuale nella prigione israeliana di Sde Teiman sono state descritte da esperti indipendenti delle Nazioni Unite come “gravemente illegali e ripugnanti”, rappresentando “solo la punta dell’iceberg”.
“L’abuso diffuso e sistematico dei palestinesi in detenzione e le pratiche di arresto arbitrario da parte di Israele per decenni, unite all’assenza di qualsiasi restrizione da parte dello Stato israeliano dopo il 7 ottobre 2023, delineano un quadro scioccante reso possibile da un’impunità assoluta”, hanno dichiarato gli esperti.
Attualmente, circa 9.500 palestinesi, tra cui centinaia di donne e bambini, sono detenuti, e circa un terzo di essi è trattenuto senza accusa né processo. Un numero imprecisato è detenuto arbitrariamente in strutture e campi militari improvvisati, a seguito di campagne di arresti e rapimenti su vasta scala nei territori palestinesi dal mese di ottobre 2023.
Gli esperti hanno ricevuto rapporti comprovati su abusi diffusi, torture, aggressioni sessuali e stupri in condizioni atroci e disumane, con almeno 53 palestinesi morti in custodia nell’arco di dieci mesi.
A sostegno di tali conclusioni, il rapporto di B’Tselem del 2024, Welcome to Hell, documenta abusi sistematici, negligenza e torture dei prigionieri palestinesi detenuti dal Servizio Carcerario Israeliano (IPS) dall’inizio della guerra del 7 ottobre 2023. Basandosi su 55 testimonianze di ex detenuti — provenienti da Gaza, Cisgiordania (inclusa Gerusalemme Est) e cittadini israeliani — B’Tselem conclude che il sistema carcerario israeliano è diventato di fatto una rete di campi di tortura, parte integrante dell’apparato più ampio di occupazione e apartheid. Il rapporto chiede un’azione immediata di rimedio, responsabilità per gli abusi e il rispetto degli standard internazionali sui diritti umani.
Analogamente, Human Rights Watch osserva che le autorità israeliane non hanno pubblicamente condannato i maltrattamenti dei detenuti, sebbene alcuni soldati siano stati sanzionati per aver diffuso immagini abusive online. HRW avverte che i comandanti militari e i funzionari di alto livello potrebbero essere penalmente responsabili per aver ordinato o non impedito tali abusi.
Il più ampio contesto politico
L’uso della detenzione amministrativa e della legislazione antiterrorismo contro i cittadini palestinesi di Israele, esemplificato dal caso di Raja Eghbaria, riflette una più ampia strategia statale volta a criminalizzare l’impegno civile e politico palestinese. Risorse apparentemente destinate alla lotta contro la criminalità vengono sempre più utilizzate per colpire coloro che vi si oppongono attivamente: la detenzione di Eghbaria e la proibizione del Comitato per la diffusione della pace ne sono chiari esempi, mostrando come il discorso sulla sicurezza venga strumentalizzato per delegittimare l’attivismo palestinese.
Nel loro insieme, le prove fornite da organismi internazionali e gruppi per i diritti umani rivelano un modello sistemico e persistente: l’impiego di meccanismi legali, amministrativi e finanziari non solo per limitare la partecipazione politica dei palestinesi in Israele, ma anche per imporre un controllo sociale e politico.
La persecuzione prolungata di Raja Eghbaria — che copre cinque decenni di sorveglianza, arresti e detenzione — mostra come le leggi antiterrorismo e di emergenza si siano evolute oltre la mera funzione di sicurezza, diventando strumenti di soppressione politica e intimidazione sociale, deliberatamente concepiti per ostacolare la mobilitazione e l’espressione collettiva palestinese.
Il 13 novembre 2025, il tribunale di Haifa ha emesso un'altra sentenza in un caso pendente dal 2018. Il giudice ha ritenuto Eghbaria colpevole di 10 capi d'accusa di “istigazione alla violenza e al terrorismo” per alcuni post sui social media. Il 22 dicembre si terrà un'altra udienza, durante la quale ogni capo d'accusa sarà riesaminato per determinare la fondatezza della presunta colpevolezza.È necessaria l'attenzione e la pressione della comunità internazionale per affrontare la pratica della detenzione amministrativa, non solo in relazione a Raja Eghbaria, ma per tutti i palestinesi, sia in Israele che nei Territori palestinesi occupati. Tale azione è necessaria per rendere Israele responsabile.