Federazione Russa

La Russia si ritira formalmente dal Protocollo per l’eliminazione di plutonio militare

© Cornelius Bartke

Lo scorso 8 ottobre la camera bassa del parlamento russo (Duma) ha approvato il ritiro dallo  storico accordo con gli Stati Uniti sulla gestione e lo smaltimento del plutonio (Plutonium  Management and Disposition Agreement, PMDA), un patto in vigore dal luglio 2011 per  eliminare 34 tonnellate di plutonio di qualità militare dagli arsenali di ciascun paese (una  quantità sufficiente per circa 17 mila armi nucleari). Dopo la ratificata della Duma, la  denuncia russa del PMDA passa al voto del Consiglio della Federazione prima di essere  promulgata in legge dal presidente Vladimir Putin. 

Prima del voto della Duma, il vice ministro degli esteri Sergei Ryabkov ha sostenuto che  “gli Stati Uniti hanno intrapreso una serie di nuove misure anti-russe che cambiano  fondamentalmente l’equilibrio strategico esistente al momento della firma dell’Accordo e  creano ulteriori minacce alla stabilità strategica”, per cui “nessuna delle condizioni previste può essere soddisfatta”. 

In realtà, la Russia aveva già sospeso l'attuazione del patto nel 2016, sostenendo che gli  Stati Uniti avessero violato i termini originari per lo smaltimento del plutonio, in una fase di  deterioramento dei rapporti fra i due stati a seguito dell'occupazione della Crimea. 

L'attuale ritiro formale segnala una nuova erosione del controllo degli armamenti,  indebolendo ulteriormente la già fragile rete di accordi nucleari tra Stati Uniti e Russia, in un  contesto di continue tensioni, e ripropone con urgenza la delicata questione dell'enorme  disponibilità di plutonio nei vari paesi. 

Il problema: la distruzione delle armi nucleari 

La firma del trattato START I (31 luglio 1991) fra la Russia e gli Stati Uniti e le contemporanee  Presidential Nuclear Iniatives imposero drastiche riduzioni (per decine di migliaia) delle armi  nucleari dei due paesi, con il conseguente aumento per centinaia di tonnellate delle già  enormi scorte di materiali fissili, uranio fortemente arricchito nella componente uranio-235  (attorno al 93%, HEU) e plutonio di qualità militare (oltre il 90% di plutonio-239). Era  necessario evitare il re-impiego dei materiali fissili per nuove armi (vanificando così gli  accordi raggiunti) e prevenire rischi di proliferazione e di terrorismo nucleare; l'Accademia  nazionale delle scienze americana e la controparte russa iniziarono nel 1992 ricerche  congiunte per individuare metodi per rendere definitivamente inutilizzabili a scopi militari  tali materiali. 

Mentre è facile eliminare i componenti convenzionali degli ordigni, l’HEU e il plutonio  non si degradano naturalmente a elementi non fissili, ma richiedono specifiche procedure  per impedirne la valenza militare. 

Per l’eliminazione dell’HEU esiste un metodo pressoché immediato: la sua riduzione a  basso arricchimento (inferiore al 5%, LEU) mediante miscelamento con uranio a basso tenore di uranio-235. Il LEU così prodotto può venir utilizzato quale combustibile negli impianti elettronucleari, recuperandolo in questo modo per un impiego economicamente utile.  

Particolarmente importante è stato l’accordo-quadro intergovernativo Russian-U.S. Agreement concerning the disposition of highly enriched uranium extracted from nuclear weapons (“Megatons to Megawatts”) del febbraio 1993, che nel corso di 18 anni ha convertito in LEU circa 500 t di HEU proveniente da 20.000 bombe nucleari russe, con la produzione di oltre 14.000 t di LEU per le centrali elettronucleari degli USA, coprendo dagli  anni 2000 circa il 45% delle loro necessità di combustibile nucleare, e al contempo  garantendo lavoro a decine di migliaia di tecnici nucleari russi.  

Il plutonio presenta problematiche maggiori dell’HEU per quanto riguarda  l’abbattimento delle sue potenzialità militari, dato che, a differenza dell’HEU, non può venir diluito con suoi isotopi non fissili, dato che praticamente tutti i suoi isotopi sono in grado di produrre una reazione a catena esplosiva.  

Gli studi compiuti nel 1997 da uno specifico gruppo di lavoro russo-americano (co diretto da John P. Holdren e Evgeny P. Velikhov) hanno individuato come obiettivo per la  messa in sicurezza del plutonio militare “la sua trasformazione in una forma che presenti la  stessa inaccessibilità del plutonio presente nel combustibile esausto dei reattori  commerciali”, ossia fortemente contaminato da materiale altamente radioattivo. In pratica sono stati considerati possibili solo tre metodi: 

  • immagazzinare definitivamente il plutonio in strutture di massima sicurezza sotto continua  sorveglianza; 
  • mescolare il plutonio con uranio naturale o impoverito e fabbricare combustibile MOX  (Mixed-Oxide) da utilizzare in reattori elettronucleari moderati ad acqua; 
  • immobilizzare il plutonio con scorie altamente radioattive. 

Il primo metodo apparve subito inadeguato, richiedendo sistemi di controllo e di  garanzie praticamente improponibili. Sia il plutonio irradiato come MOX, sia quello  immobilizzato finiscono mescolati in modo praticamente inestricabile con materiali  altamente radioattivi e finiscono in depositi geologici. 

Nel rapporto non veniva considerata l'opzione di produrre combustibile costituito da  plutonio quasi puro per reattori nucleari operanti con neutroni non moderati (“reattori  veloci”), viste le negative esperienze dei reattori Phenix e Superphenix francesi e i loro rischi  di sicurezza e ambientali. 

Per la produzione di MOX, si inizia col separare il nucleo di plutonio metallico dagli altri  componenti dell’arma nucleare, lo si polverizzaza e riduce a ossido PuO2, che viene quindi miscelato con ossido di uranio UO2; la miscela viene cotta a formare pastiglie ceramiche  cilindriche per gli elementi di combustibile, che contengono 7-11% di plutonio (impiegando  il plutonio delle armi nucleari è sufficiente un 5% di plutonio nella miscela).  

La velocità di eliminazione del plutonio come combustibile MOX per reattori ad acqua  leggera è più lenta di quella dell’HEU, poiché per ragioni di sicurezza solo un terzo del  combustibile di tali reattori può essere MOX; tipicamente un impianto da 1 GWe impiega tre  anni a eliminare 1 t di plutonio, mentre consuma LEU equivalente a circa 1 t di HEU all'anno. 

Molti esperti erano scettici riguardo all’opzione MOX, anche perché essa avrebbe  fornito un notevole impulso all’economia del plutonio, portando alla fine a una più ampia  accettazione del plutonio nell’industria nucleare civile. Inoltre, era più costosa, complessa e  potenzialmente meno sicura rispetto all’immobilizzazione. 

Nel metodo d’immobilizzazione, l’ossido di plutonio viene vetrificato o reso in forma  ceramica insieme a prodotti di fissione altamente radioattivi. La vetrificazione è una  tecnologia già sviluppata per il trattamento delle scorie altamente radioattive e  correntemente impiegata in vari paesi, ma presenta limiti per l’applicazione al plutonio,  poiché il vetro è instabile dal punto di vista termodinamico e su tempi geologici può  cristallizzare, perdendo le capacità di contenimento. La ceramizzazione sembra più stabile 

chimicamente su tempi lunghi e permette l’immagazzinamento di una maggiore quantità di  materiali altamente radioattivi.  

La tormentata storia del PMDA 

L’accordo bilaterale russo-americano Concerning the Management and Disposition of  Plutonium Designated as No Longer Required for Defense Purposes and Related Cooperation (PMDA) venne firmato nel 2000 ed emendato nel 2006; finalmente, col Plutonium  Disposition Protocol dell’aprile 2010, entrò in vigore nel luglio 2011. 

Gli USA avevano una riserva di circa 92 t di plutonio separato, 61,5 t dichiarate in  eccesso rispetto alle loro esigenze militari. La Russia dichiarò di avere 50 t di plutonio di  qualità militare in eccesso rispetto alle proprie necessità, mentre la scorta totale era stimata  a 128 t. 

L’accordo prevedeva che ciascuna parte eliminasse almeno 34 t di plutonio di qualità  militare (al ritmo di almeno 1,3 t annue) e collaborasse all’eliminazione di quantità ulteriori,  o come combustibile MOX o altri metodi concordati, sotto controllo reciproco e ispezioni  coinvolgenti la IAEA, garantendo la sicurezza sanitaria e il rispetto dell’ambiente.  

L’accordo del 2000 prevedeva la riduzione del plutonio in MOX da utilizzare in reattori  con neutroni moderati secondo un preciso programma ventennale a partire dal 2002. Il  piano iniziale si rivelò irrealizzabile, sia per ritardi nella realizzazione delle strutture per la  produzione di MOX, sia per l’insufficienza dei contributi americani a sostegno del  programma russo.  

La Russia nel 2007 cancellò il progetto di impiego di MOX in reattori moderati ad acqua,  avendo deciso di privilegiare l’impiego del plutonio nei reattori a neutroni veloci BN-600 e  BN-800 (allora in costruzione). Nello stesso anno gli USA iniziarono la costruzione di un  impianto per la produzione di MOX presso il Savannah River Site del Dipartimento  dell'energia, che subito si rivelò problematico. A seguito di queste difficoltà, nel corso del  2008 iniziarono negoziati per rivedere il PMDA adattandolo alla nuova situazione, giungendo  alla redazione del protocollo definitivo del 2010.  

Il nuovo protocollo permetteva alla Russia di utilizzare solo reattori veloci,  introducendo specifiche condizioni sul loro modo di operare e sul riprocessamento del  combustibile esausto di tutti i reattori russi, sia quelli veloci che quelli moderati ad acqua;  vennero definite forme di controllo più stringenti; i due paesi si impegnarono a iniziare  l’effettiva eliminazione del plutonio entro il 2018; gli USA prevedevano un contributo  finanziario di 400 M$ alla Russia, distribuito nel corso degli anni, a fronte dei risultati via via  raggiunti dai russi. 

Il protocollo riconfermava anche il coinvolgimento della IAEA per il monitoraggio e la  verifica internazionali del processo di smaltimento.  

Il programma americano della “via del MOX” trovò seri problemi tecnici e organizzativi  oltre a notevoli aumenti dei costi stimati (da qualche miliardo a molte decine di miliadi di  dollari), per cui l’amministrazione Obama nel gennaio 2016 decise di terminare il progetto e  perseguire un approccio alternativo di “diluizione e smaltimento”. 

Il metodo individuato consiste nel miscelare il plutonio con un materiale inerte non  radioattivo per il suo smaltimento diretto nel deposito sotterraneo WIPP (Waste Isolation  Pilot Plant) nel New Mexico, – un deposito geologico sperimentale profondo 500 m,  autorizzato a conservare rifiuti radioattivi transuranici per 10.000 anni. Tale approccio  veniva stimato attuabile decenni prima della produzione del MOX, a un costo molto  inferiore e con rischi minori.

La Russia sostenne che il nuovo piano statunitense non rispettava i termini dell’accordo  perché non cambiava la composizione del plutonio da qualità per armi a qualità per reattori.  L’accordo originale consentiva modifiche nel metodo di smaltimento, previo accordo di  entrambe le parti, ma gli Stati Uniti non avevano ancora iniziato colloqui formali con la Russia sull’approccio alternativo statunitense. 

Così il 3 ottobre 2016, il presidente russo Vladimir Putin ordinò la sospensione  dell'accordo perché con il nuovo approccio, gli Stati Uniti avrebbero potuto “recuperare il  plutonio, riprocessarlo e riconvertirlo a qualità militare”. Da allora non ci sono stati tentativi  di negoziati per rivitalizzare l'accordo o comunque affrontare il problema dell'eliminazione  di plutonio di qualità militare. 

Sviluppi attuali 

La Russia continua a ritenere il plutonio una risorsa energetica fondamentale. Ha sviluppato  la produzione di MOX, impiegando plutonio di qualità sia militare che da reattore, per il  reattore veloce BN-800, in pieno funzionamento dal 2020. Per l'impianto autofertilizzante  veloce Brest 300 in avanzata fase di realizzazione è stato sviluppato come combustibile un  materiale ceramico composto da nitruro di uranio e plutonio, con il 13,2% di plutonio,  offrendo maggiore stabilità termica e resistenza alle radiazioni rispetto ai tradizionali  combustibili a base di ossido. 

Negli USA, la strategia di diluizione e smaltimento andò incontro a notevoli problemi  tecnici e organizzativi, nonché riguardanti la sicurezza e il controllo dell'impatto ambientale.  Solo nel gennaio 2024 la National Nuclear Security Administration rilasciò il suo rapporto  con la definizione operativa del metodo, precisando il ruolo dei vari laboratori del  Dipartimento dell'energia coinvolti: il plutonio va convertito in ossido, miscelato con un  adulterante, compresso e incapsulato in contenitori per lo smaltimento finale nel deposito  sotterraneo del WIPP. Si stima che nel WIPP vi siano attualmente disposti 400 kg di plutonio  militare. 

Il 23 maggio 2025 con quattro ordini esecutivi il presidente Donald Trump ha  completamente rovesciato la posizione americana sul plutonio, riconoscendolo come risorsa  energetica fondamentale. 

L'ordine esecutivo Deploying Advanced Nuclear Reactor Technologies for National  Security, incarica il Dipartimento dell’Energia (DOE) di “identificare tutto l’uranio e il  plutonio utili presenti negli inventari del DOE che possano essere riciclati o trasformati in  combustibile nucleare per reattori negli Stati Uniti”, mentre l’ordine esecutivo  Reinvigorating the Nuclear Industrial Base ordina: “il Segretario dell'Energia sospenderà il  programma di diluizione e smaltimento del plutonio in eccesso. Al posto di tale programma,  il Segretario dell'Energia istituirà un programma per lo smaltimento del plutonio in eccesso  mediante la sua lavorazione e la sua messa a disposizione dell'industria in una forma che  possa essere utilizzata per la fabbricazione di combustibile per tecnologie nucleari  avanzate.” 

Il 21 ottobre scorso, il Dipartimento dell'Energia ha effettivamente pubblicato il piano  per “smaltire il plutonio in eccedenza” – circa 19,7 tonnellate sia in forma di ossido che di  metallo. Una richiesta di candidature di aziende private descrive il plutonio offerto e le “soglie” che i potenziali candidati devono soddisfare. Il DOE richiede candidature “con piani  dettagliati di riciclaggio e lavorazione, compresi gli impegni di finanziamento e il calendario  per l'utilizzo dei materiali di plutonio per il combustibile nucleare destinato ai reattori negli  Stati Uniti”.

Le candidature devono essere presentate entro il 21 novembre e la selezione iniziale è  prevista entro la fine dell'anno. Già quattro compagnie hanno espresso interesse per  l'acquisizione di tale plutonio. 

Secondo l'International Panel on Fissile Materials, nel 2024 le scorte mondiali di  plutonio separato hanno raggiunto 565 tonnellate. Di questo materiale, 425 t sono state  prodotte al di fuori di programmi bellici, sono coperte da obblighi a non usarle in armi o non  sono direttamente idonee all'impiego militare. Gli stati non dotati di armi nucleari possiedono globalmente 46,08 tonnellate di plutonio separato, quasi tutto del Giappone  (45,1 t di cui 9,2 t in loco). Spagna, Svizzera e i Paesi Bassi detengono plutonio civile tutto  immagazzinato all’estero. Il 26 febbraio scorso le 1,58 t di plutonio italiano depositate in  Inghilterra sono passate in possesso del Regno Unito. 

Restano circa 140 tonnellate di plutonio presenti in armi o disponibili per tale utilizzo,  sufficienti per 35 mila armi, in assenza di alcuna forma di controllo internazionale, dato che i  lavori lanciati dall'ONU per “un trattato multilaterale non discriminatorio e verificabile  internazionalmente in modo efficace che bandisca la produzione di materiale fissile per armi  nucleari o altri ordigni esplosivi nucleari” (Fissile Material Cutoff Treaty, FMCT) sono arenati  da decenni nella Conferenza per il disarmo a Ginevra.  

La necessità di un bando viene regolarmente riproposta nelle Conferenze di revisione  del Trattato di non-proliferazione, finora senza alcun progresso: saprà la prossima  conferenza, prevista il prossimo anno, sbloccare la situazione o stiamo definitivamente  entrando in una “civiltà del plutonio”?  

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