La sentenza Torreggiani: una sentenza pilota contro il sovraffollamento delle carceri italiane
La II Camera della Corte europea dei diritti umani (CtEDU), con la sentenza nel caso Torreggiani e altri c. Italia (ricorsi nn. 4357/09, 46882/09, 55400/09; 57875/09, 61535/09, 35315/10, 37818/10), adottata l’8 gennaio 2013, ha condannato lo Stato italiano per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU). Il giudice italiano, Guido Raimondi, ha sostenuto la decisione, approvata all’unanimità. Il caso riguardava trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione. Ciò che appare particolarmente significativo è che la Corte ha qualificato tale decisione come “sentenza pilota”. Quanto riscontrato dalla Corte nella sentenza Torreggiani in relazione ai sette ricorrenti troverà pertanto applicazione in futuro in relazione alla generalità dei reclami pendenti davanti alla Corte e non ancora comunicati alle parti riguardanti l’Italia e aventi ad oggetto analoghe questioni di sovraffollamento carcerario, nonché a quelli che le saranno sottoposti nei prossimi tempi relativi allo steso problema. Questo è il principale elemento di distinzione tra questa sentenza e quella emessa il 16 luglio 2009 nel caso Sulejmanovic c. Italia (ric. n. 22635/03), che costituisce il suo precedente diretto. In Sulejmanovic, la maggioranza della Corte aveva accertato che la permanenza per circa due mesi e mezzo del ricorrente in una cella di Rebibbia di poco più di 16 metri quadri insieme ad altri cinque detenuti (2,70 metri quadri a testa), costituiva trattamento contrario all’art. 3 CEDU, anche se nel periodi considerato il carcere romano non conosceva una situazione di grave sovraffollamento. La situazione prospettata in Torreggiani e nella serie di altri casi analoghi che la CtEDU si trova a dover trattare riguarda invece carenza di spazio, aggravata da alcune disfunzioni nei servizi, in carceri che lo stesso governo italiano riconosce essere sovraffollate anche se – a suo dire – non in misura preoccupante (a Busto Arsizio, nel 2011, c’erano 439 detenuti per 297 posti previsti, a Piacenza 412 su una capacità massima di 346 – cfr. §§ 60-61).
La sentenza Torreggiani riguarda dunque sette ricorsi depositati tra il 2009 e il 2010 da altrettanti detenuti, tre italiani, due marocchini, uno ivoriano e uno albanese, che lamentavano di aver subito un trattamento inumano e degradante. Erano stati infatti detenuti in celle di nove metri quadrati, da condividere con altre due persone, per periodi che andavano da 14 a 54 mesi, tra il 2006 e il 2011. Lamentavano inoltre che le celle erano scarsamente illuminate e che l’accesso all’acqua calda per le docce era limitato. Nonostante tutti i ricorrenti meno uno fossero ormai liberi al momento in cui la Corte si pronunciava, essi non per questo hanno perso la qualità di “vittime” della presunta violazione dell’art. 3 CEDU (cfr. §§ 36-40).
Il governo italiano non contesta i dati forniti dai ricorrenti, limitandosi a dichiarare (senza tuttavia portare documentazione specifica a sostegno) che la dimensione delle celle del carcere di Piacenza destinate ad ospitare tre detenuti era di 11 metri quadri e non di nove. L’argomento principale su cui si incentra la difesa dello Stato consiste nell’affermare la inammissibilità del caso per mancato esaurimento dei ricorsi interni. La legge penitenziaria infatti (l. 354/1975), all’art. 35, prevede che i detenuti possano sottoporre reclami al giudice di sorveglianza territorialmente competente (oltre che alle autorità dell’amministrazione penitenziaria) in relazione al mancato rispetto delle norme della stessa legge penitenziaria relative alle condizioni di detenzione e di trattamento degli internati. Il giudice decide con ordinanza, la quale può disporre misure d’urgenza che l’amministrazione penitenziaria deve eseguire. Un reclamo di tal genere era stato presentato tuttavia da uno solo dei ricorrenti, il quale oltretutto aveva omesso di chiedere espressamente alla direzione del carcere di Piacenza l’esecuzione dell’ordinanza a lui favorevole emessa dal giudice di sorveglianza di Reggio Emilia. Tutti gli altri ricorrenti invece avevano del tutto trascurato tale procedura. Tutti i ricorsi pertanto dovevano ritenersi inammissibili.
La Corte riconosce che la normativa italiana mette a disposizione dei detenuti dei mezzi di ricorso accessibili con cui contestare le carenze nel trattamento. Essa tuttavia nega che tali ricorsi siano effettivi in pratica. Infatti la loro esecuzione è rimessa alla decisione delle autorità penitenziarie e, in definitiva, dipende dalla materiale disponibilità di celle libere. La situazione di sovraffollamento presente virtualmente in tutte le carceri italiane rende praticamente inefficaci le pronunce che accolgono le lagnanze dei detenuti. A conferma di ciò, l’unico ricorrente ad avere esperito queste misure dinanzi al giudice di sorveglianza, è stato trasferito in una cella doppia non prima di sei mesi dalla data dell’ordinanza che accoglieva la sua lamentela (cfr. §§ 12-16 e 52).
Dal 2010, in effetti, il governo italiano ha decretato l’esistenza di uno stato d’emergenze per quanto riguarda la situazione delle carceri. In conseguenza di ciò, esso ha adottato misure d’urgenza volte alla costruzione di nuovi penitenziari (cd. "piano carceri") e a favorire l’esecuzione delle condanne o porzioni di condanna inferiori a dodici mesi all’esterno degli istituti penitenziari (la misura per vale per un periodo limitato -non oltre la fine del 2013- e non riguarda le condanne per reati di particolare gravità).
La CtEDU osserva inoltre che i ricorsi previsti dalla legge italiana davanti al giudice di sorveglianza non permettono al ricorrente di ottenere alcuna forma di riparazione del danno esistenziale patito in ragione della permanenza in celle sovraffollate. Una apertura giurisprudenziale in tal senso (ordinanza del giudice di sorveglianza di Lecce n. 17 del 9 giugno 2011) è rimasta isolata (cfr. §§ 20-22).
Sgombrato il campo dall’eccezione di inammissibilità, la CtEDU, applicando la propria consolidata giurisprudenza in materia di trattamento inumano o degradante a danno di detenuti, assistita anche dagli standard in materia elaborati dal Comitato per le prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d’Europa, conclude che i ricorrenti sono stati oggetto di una violazione, da parte dell’Italia, dell’art. 3 CEDU. In particolare, la prassi del CPT individua in quattro metri quadri la misura accettabile di spazio libero a disposizione di un singolo detenuto. Al mancato rispetto di tale standard va aggiunta la situazione di sovraffollamento, che non consentiva alternative a tale situazione, nonché la presenza di altri significativi disagi quanto all’accesso all’acqua calda per l’igiene personale e ad un’illuminazione sufficiente. Pur riconoscendo che nulla lascia pensare che vi fosse da parte delle autorità italiane la volontà di umiliare o mortificare i ricorrenti, la Corte conclude che questi ultimi hanno subito un trattamento che eccedeva il livello inevitabile di sofferenza connesso alla detenzione penale e riscontra quindi una violazione dell’art. 3.
Come detto sopra, la CtEDU non si è limitata a decidere nel caso singolo, ma qualifica la giurisprudenza Torreggiani quale “sentenza pilota”. La procedura delle sentenze pilota, fondata sull’art. 46 CEDU, comma 1, è attualmente disciplinata dall’art. 61 del Regolamento della CtEDU, introdotto il 21 febbraio 2011. Si tratta di una procedura affermatasi nella prassi della CtEDU a partire dal noto caso Broniowski c. Polonia (Grand Chamber, ric. n. 31443/96, ECHR 2004-V). Essa può essere attivata d’ufficio o su richiesta del ricorrente quando il caso particolare evidenzia l’esistenza di un problema sistematico derivante da una prassi statale incompatibile con la CEDU suscettibile di interessare un vasto numero di persone. In Torreggiani i giudici osservano che sono oramai svariate centinaia i ricorsi simili a quello in esame pendenti presso la CtEDU, a riprova dell’esistenza in Italia di un problema strutturale o sistemico di sovraffollamento delle carceri. La gravità del problema è testimoniata dal fatto che, dopo la decretazione dello stato d’urgenza avvenuta nel 2010, il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane (rapporto tra capienza massima delle strutture e presenza effettiva) è passato dal 151% al 148%, con un calo quindi assolutamente insufficiente. Si deve ricordare inoltre che circa il 40% della popolazione carceraria italiana è costituita da detenuti in attesa di giudizio.
Affermata l’esistenza di un problema strutturale, la procedura delle sentenze pilota consente alla Corte di indicare le misure generali che lo Stato dovrebbe adottare per contrastare tale situazione incompatibile con la CEDU. In Torreggiani, la CtEDU incoraggia l’Italia ad agire per ridurre il numero dei detenuti prevedendo, in particolare, l’applicazione di misure punitive non privative della libertà personale in alternativa a quelle che prevedono il carcere e riducendo al minimo il ricorso alla custodia cautelare in carcere (§ 94). In questo senso sono richiamate anche le Raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (Rec(99)22 e Rec(2006)13), che invitano gli Stati a riorientare la loro politica penale per ridurre il ricorso a pene detentive e ad estendere i casi in cui queste possono essere sostituite da misure alternative al carcere. Inoltre la CtEDU ricorda che le procedure previste dalla legislazione italiana e che consentono ai detenuti di presentare dei reclami alle autorità amministrative o giudiziarie in caso di trattamenti che confliggono con l’art. 3 CEDU devono essere non solo accessibili ma anche effettive, ovvero condurre ad una rapida cessazione della violazione del diritto a non subire trattamenti inumani e, nel caso in cui la situazione fosse già cessata, ad ottenere una riparazione per la violazione subita.
Sempre in applicazione della procedura prevista per le sentenze pilota, la CtEDU decide di fissare in un anno il tempo entro il quale l’Italia dovrà provvedere ad adottare le misure raccomandate. In particolare, il dispositivo della sentenza chiede allo Stato di istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi tali da garantire forme di riparazione adeguate e sufficienti nei casi di sovraffollamento penitenziario che espongano l’individuo a trattamenti inumani. Tali misure devono garantire il rispetto degli standard e dei principi che guidano la giurisprudenza della CtEDU (compresi quindi gli standard elaborati e raccomandati dal CPT). Nel frattempo, le centinaia di ricorsi già presentati e non ancora comunicati al governo italiano per le sue considerazioni (ovvero quelli che sono ancora all’inizio dell’iter procedurale) e che sollevano il problema del sovraffollamento delle carceri rimangono “congelati”. L’auspicio infatti è che l’interesse degli individui alla prosecuzione del ricorso venga meno nel corso del 2013 in ragione delle riforme strutturali che lo Stato avrà intrapreso. Questo naturalmente non impedisce alla CtEDU di trattare ugualmente determinati casi di sovraffollamento quando ricorrano esigenze di giustizia o quando la situazione richieda un’azione urgente. Trattandosi infatti di un articolo che tutela un diritto particolarmente importante e protetto in modo assoluto dalla CEDU, l’eventualità che il “congelamento” operi in modo indiscriminato per tutti i casi di presunta violazione dell'art. 3 CEDU è decisamente da respingere. Inoltre, casi in materia di sovraffollamento carcerario e che però presentano anche altri profili di violazione dell’art. 3 (trattamento inumano dovuto anche a fattori quali carenza di cure mediche, maltrattamenti specifici, ecc.) non rientrano tra quelli a cui si estende il “congelamento”.
A favore dei ricorrenti è stato disposto un equo indennizzo pecuniario. In alcuni casi i giudici hanno accolto in toto le richieste dei ricorrenti o le hanno ridotte in misura modesta (indennizzi tra 10.600 euro e 15.000 euro); in altri casi hanno attribuito una certa somma a ricorrenti che si erano affidati alla valutazione dei giudici (23.000 euro per il ricorrente ivoriano); nel caso di uno dei ricorrenti che aveva chiesto un indennizzo di 30.000 euro per una permanenza in cella in condizioni di trattamento degradante di 17 mesi, la Corte ne ha attribuiti solo 12.500. Complessivamente lo Stato è tenuto a pagare circa 96.000 euro. Somme modeste (1.500 euro ciascuno) sono state attribuite a titolo di rimborso di spese legali solo ai ricorrenti che si sono avvalsi della rappresentanza di avvocati. I tre ricorrenti che erano stati autorizzati a difendersi da soli non hanno avuto alcun rimborso per spese legali.
Il caso Torreggiani esprime una linea intransigente da parte delle CtEDU nei confronti dell’Italia sul problema del sovraffollamento delle carceri e, più in generale, della condizione penitenziaria. L’altro paese per il quale la CtEDU ha adottato recentemente una sentenza pilota in relazione all’art. 3 e alla condizione delle prigioni è la Federazione Russa (Ananyev e altri c. Russia, ric. nn. 42525/07 e 60800/08, 10 gennaio 2012). Su tale scelta della Corte ha pesato probabilmente la mancanza di misure incisive adottate dal nostro paese per rendere più effettiva la procedura di reclamo esperibile dai detenuti, nonostante la condanna subita dallo Stato nel caso Sulejmanovic. Probabilmente ha inciso anche la constatazione che le misure adottate dopo il 2010 non sono state riforme strutturali del sistema penitenziario e penale, ma sono state intese come essenzialmente emergenziali e quindi inidonee ad operare efficacemente e in modo duraturo nella direzione suggerita dal Consiglio d’Europa di un progressivo contenimento del ricorso alla sanzione detentiva.