Marcia PerugiAssisi

Perché marciamo per la pace. Perchè diciamo: cessate il fuoco, subito

(per «Avvenire», 14/05/1999)
Logo Centro di Ateneo per i Diritti Umani "Antonio Papisca", Università di Padova

Diversamente dal passato, la nostra epoca ci offre un ventaglio di strumenti idonei a risolvere pacificamente i conflitti e a prevenire la guerra, qualsiasi guerra. La loro efficacia dipende dalla conoscenza e dalla volontà politica di farli rendere. Nel 1963, la Pacem in Terris indicava la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e le Nazioni Unite tra i «segni dei tempi». Poichè ci si può difendere e fare giustizia con mezzi diversi dalla guerra, questa è, oggi, non soltanto giuridicamente illegittima, ma anche moralmente non giustificabile neppure come ultima ratio o male minore. La Marcia straordinaria Perugia-Assisi di domenica 16 maggio vuole innanzitutto ricordare questa verità, questa conquista di civiltà giuridica e morale, e spronare perchè tutti ci si impegni a dar voce alla retta coscienza, a far prevalere il diritto sulla legge della giungla, a far funzionare gli organismi internazionali perchè perseguano i fini di un ordine internazionale basato sul riconoscimento dei diritti fondamentali della persona e dei popoli. 

Siamo in tanti a domandarci, non da ieri, perchè, nonostante le risorse pacificatrici ‘istituzionali’ di cui la Provvidenza ha dotato il mondo, soprattutto a partire dalla metà di questo secolo, ci si ostini a non utilizzarle, a non fare rendere questi talenti della storia. È un interrogativo che si fa incalzante in presenza di situazioni tragicamente abnormi come quelle della violenza bellica nei Balcani, nel Corno d’Africa, nel Sudan, in Sierra Leone e in tante altre parti del mondo, un mondo che è sempre più piccolo, interdipendente, trasparente tanto nei suoi squilibri e nelle sue ingiustizie quanto nelle sue potenzialità di cooperazione e pacificazione. La ragione e il nuovo diritto internazionale, quello che si fonda sulla Carta delle Nazioni Unite e sulle Convenzioni giuridiche dei diritti umani, ci dicono che bisogna dialogare, che bisogna comporre pacificamente le divergenze, che ci sono sopraordinate istituzioni in sede mondiale, prima fra tutte l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che sono deputate al bene comune mondiale e che bisogna far funzionare per obbligo giuridico oltre che per razionale convenienza. Perchè allora la guerra, ancora la guerra? Forse non è buono, giusto, necessario il diritto, forse non è idonea l’organizzazione internazionale? Cos’altro? Certamente si può disquisire sulla natura umana, debole e fallibile. Ma è altrettanto certo che il diritto e le istituzioni, così come la fede e la grazia di Dio, esistono per supplire alla istintualità negativa degli esseri umani. Coloro che sono preposti alle istituzioni devono avere la coscienza, oltre che la conoscenza, delle conquiste della civiltà del diritto.

Quella del 16 maggio è una Marcia straordinaria, indetta dalla Tavola della Pace, l’organismo che coordina centinaia di associazioni, gruppi di volontariato ed enti locali. Lungo la strada da Perugia ad Assisi ci sarà il popolo della pace, fatto di gente comune, di migliaia di giovani e meno giovani. Ci saranno centinaia di Gonfaloni di Comuni, Regioni, Province: insieme con i loro cittadini, dunque, gli amministratori locali, coloro che ogni giorno devono affrontare, «sul posto», l’impatto di ogni genere di mondializzazione. Orbene, il popolo della pace è la radice genuina di quel principio di sussidiarietà che recita: le decisioni vanno prese quanto più vicino possibile ai cittadini. La guerra, le guerre di questo tempo, la doppia guerra nella Repubblica Federale di Jugoslavia sono, esse, talmente «vicine ai cittadini», che li uccidono indiscriminatamente. E sono più vicine ai ‘civili’ che ai militari. Non altrettanto lo sono le decisioni che scatenano la guerra: Milosevic è un dittatore efferato, ma la NATO opera, non democraticamente nè legalmente, sulla testa dei cittadini e degli stessi parlamenti nazionali. In questo momento, che senso hanno la legalità, la vantata democraticità dell’Occidente? Con quale coerenza l’Occidente impartisce lezioni di ‘stato di diritto’ a destra e a manca e non è capace di impiegare una parte almeno del suo strapotere per fare funzionare, tempestivamente ed efficacemente, le Nazioni Unite e realizzare programmi di solidarietà economica e sociale con le comunità umane dei paesi dell’Europa centrale e orientale e degli altri paesi ad economia povera nel resto del mondo?

Chi pilota il gruppo oligarchico della NATO – un gruppo che è gerarchizzato al suo stesso interno – ha abboccato all’astuto, criminale tranello del dittatore jugoslavo e aggiunge danni ai danni, distruggendo interi territori, uccidendo civili inermi, aggiungendo la punizione della guerra all’umiliazione della dittatura, mettendo in fibrillazione il mondo intero. La guerra, a prescindere dalla sua illegalità, non è una marachella che si fa a cuor leggero. La guerra nei Balcani sta destabilizzando l’Europa, sta rendendo ancor più insicura la Russia, sta fornendo alibi alla Cina per non continuare a «negoziare sui diritti umani», sta rilanciando la corsa al riarmo, sta umiliando le Nazioni Unite, sta creando problemi alla ripresa economica, con le sue immagini sta facendo violenza alla mente dei bambini in ogni parte del mondo, e chi più ne ha più ne metta. Doppia guerra, doppia barbarie.

Il popolo della pace non si arresta però alla pur legittima denuncia. Il pacificismo, così come si è venuto evolvendo a partire dal crollo dei muri, è un pacifismo istituzionale, che ha scelto e persegue tenacemente la «via giuridica e nonviolenta alla pace». È un movimento progettuale, creativo, costruttivo, educativo. È un movimento politico, e sempre più sarà tale: per l’effettività del diritto internazionale dei diritti della persona e dei popoli, per la cultura della «governabilità globale democratica» che deve pervadere le istituzioni a tutti i livelli, dalla Città all’ONU, per il principio di sussidiarietà da giocarsi partendo dalla Città, per la riforma democratica e il potenziamento delle Nazioni Unite, per la solidarietà e la sicurezza di tutti i popoli europei dentro una medesima casa comune, per la sincera e fattiva solidarietà con i popoli dei paesi ad economia povera, per il disarmo – che parte dal controllo della produzione di armi –, per la rapida creazione di un corpo di polizia internazionale sotto la diretta autorità delle Nazioni Unite, per l’orientamento sociale dell’economia mondiale dando congrui poteri al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, per la rapida messa in funzione della Corte penale internazionale, per l’esercizio di efficaci controlli internazionali sulla salute ambientale del pianeta, per la liberalizzazione della comunicazione e dell’informazione nel mondo, per un ruolo attivo degli enti locali nelle politiche internazionali di pace e solidarietà.

Per il perseguimento di questi obiettivi, in particolare per la riforma e il rilancio delle Nazioni Unite, il pacifismo istituzionale ha elaborato proposte puntuali, all’interno di una organica strategia di nuovo ordine mondiale pacifico, democratico e solidale.

Il messaggio del popolo della pace può così riassumersi. Non possiamo più oltre legittimare governanti che commettono la ‘marachella della guerra’, i quali, più o meno consapevolmente, si prestano al gioco di chi vuole dividere un mondo che, legalmente e ragionevolmente, non sopporta più la divisione, nè quella delle armi nè quella della speculazione economica e finanziaria. Vogliamo stare, attivamente, dentro quelle istituzioni internazionali multilaterali in cui ci stanno anche gli altri, tutti gli altri, i concittadini del pianeta terra, i nostri fratelli e le nostre sorelle di ogni paese e continente.

Quindi, giù le mani dalla Carta delle Nazioni Unite, in particolare da quella parte che attiene a valori e fini di bene comune e che ha aperto nuovi orizzonti di civiltà universale. Se dall’attuale ceto politico non emergeranno, subito, uomini e donne che dimostrino, in parole ed opere, di operare in questa direzione, formeremo ed esprimeremo noi nuovi governanti, che abbiano la mente e il cuore dei diritti umani e della pace positiva, che nei momenti cruciali siano saldi nella difesa di valori umani irrinunciabili, costi quel che costi.

Ci sentiamo umiliati dalla condizione di gregaria, di portatrice d’acqua, dell’Italia. Un nuovo, sano, libero, coraggioso ceto politico faccia alzare la testa dell’Italia contro il business che unisce potenza economica e strapotere militare a disprezzo del diritto ed esaltazione dei disvalori. Questa alzata di testa, in Europa e alle Nazioni Unite, non sarà senza seguito, ne siamo certi, poichè ci saranno tanti paesi, tanti popoli, tante organizzazioni non governative, tante società civili in ogni parte del mondo, che l’accoglieranno per ciò che essa intende essere: gesto liberatorio, impegno di legalità e di fratellanza, voglia di futuro umano.

Per la messa in opera di questi propositi, il popolo della pace, cattolici e laici, attingerà ulteriore ispirazione e forza dall’esempio universale di Francesco d’Assisi.

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