“Prima fase” del Sistema europeo comune di asilo (1999-2005) - un breve excursus della normativa europea in materia d’asilo
Direttiva 2001/55/CE sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea
La direttiva istituisce la protezione temporanea, una procedura di carattere eccezionale e temporaneo che garantisce una forma di tutela immediata, applicabile nei casi di afflusso massiccio di sfollati. La ratio che sottende l'istituzione della protezione temporanea è quella di non sovraccaricare il sistema d'asilo nelle situazioni di emergenza. La protezione temporanea non pregiudica tuttavia il riconoscimento dello status di rifugiato. Essa garantisce una rosa di diritti, tra cui il diritto al lavoro e all'istruzione (art. 12), all'alloggio (art.13) ed estende il diritto al ricongiungimento familiare, oltre che ai coniugi e ai figli, anche ad eventuali altri parenti stretti (art. 15). La protezione temporanea ha durata di un anno con possibilità di proroga per un altro anno, salvo proroghe ulteriori, qualora persistano le condizioni che hanno determinato la concessione della tutela temporanea. La concessione della protezione temporanea è subordinata all'adozione del Consiglio di una decisione a maggioranza qualificata su proposta della Commissione circa l'esistenza di un afflusso massiccio di sfollati (art. 5), in seguito alle richieste degli Stati membri in tal senso. La procedura prevista dalla direttiva non era mai stata attivata prima della Decisione del Consiglio 2022/382, in vigore dal 4 marzo dello stesso anno, in risposta all’afflusso straordinario di sfollati a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Secondo le stime di UNHCR, dal 24 febbraio al 17 agosto 2022, si contano 6.394.834 milioni di profughi ucraini sul territorio dell’Unione, cifra enorme se comparata ai 2,6 milioni di profughi afghani presenti nel mondo nel 2020.
Regolamento (EC) 343/2003 - Regolamento Dublino II
Il Regolamento di Dublino, applicato in tutti i Paesi dell'Unione Europea, sostituisce ed integra le disposizioni contenute nella Convenzione di Dublino (1990), che costituiva un accordo tra Stati e non era pertanto uno strumento comunitario.
L'obiettivo principale del Regolamento è quello di individuare il più rapidamente possibile e sulla base di criteri obiettivi lo Stato competente per l'esame della domanda di asilo, nonché di fissare dei tempi ragionevoli per l'espletamento di tale procedura. Tra i criteri previsti (Capo III) per individuare lo Stato competente all'esame delle domande figurano:
- il principio dell'unità familiare per i minori non accompagnati: è competente lo Stato nel quale si trova un familiare, purchè ciò sia nel miglior interesse del minore
- i legami familiari: è competente lo Stato in cui risiede regolarmente o è stato riconosciuto rifugiato un familiare del richiedente asilo
- il possesso di permessi di soggiorno o visti: è competente lo Stato che ha rilasciato tali titoli
- il soggiorno o l'ingresso irregolare: è responsabile lo Stato attraverso le cui frontiere il richiedente asilo ha varcato illegalmente i confini dell'Unione
Il Regolamento, come la precedente Convenzione di Dublino, definisce in linea generale che, quando nessuno Stato membro può essere designato come competente per l'esame della richiesta di asilo sulla base dei criteri precedentemente menzionati, si considera competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata. Il Regolamento prevede inoltre l'eventuale trasferimento del richiedente asilo nello Stato membro competente ad esaminarne la domanda, una volta individuato.
La concreta applicazione del Regolamento Dublino si è rivelata piuttosto difficile e controversa. I problemi nascono in particolare a causa della notevole differenziazione di metodi e risultati tra i diversi Stati membri dell'Unione nel campo dell'accoglienza ai richiedenti asilo e ai rifugiati.
Il Sistema di Dublino, inoltre, di fatto penalizza gli Stati membri di frontiera, essendo ormai evidente che l'ingresso dei richiedenti asilo senza documenti è prassi prevalente, per cui si applica sempre più frequentemente il criterio generale per cui è competente ad esaminare la domanda il primo paese d'ingresso.
Direttiva 2003/9/CE (Direttiva accoglienza), recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri
La direttiva accoglienza è stata adottata allo scopo di assicurare un livello di vita dignitoso ai richiedenti asilo, nonché di limitare movimenti secondari all'interno dell'Unione, offrendo pari condizioni di trattamento nei diversi Stati membri. L'ambito di applicazione della direttiva è limitato ai cittadini di paesi terzi e agli apolidi che presentano domanda di asilo alla frontiera o nel territorio di uno Stato membro (art. 3.1), escludendo tutti coloro che richiedono una protezione diversa dall'asilo (artt. 3.2 e 3.3). Ai richiedenti asilo è accordato in via generale il diritto alla libera circolazione nel territorio dello Stato membro ospitante o nell'area loro assegnata da tale Stato, ma prevede la possibilità di confinamento in determinati luogo per motivi legali o di ordine pubblico (art. 7). La direttiva contiene dettami specifici circa le condizioni materiali di accoglienza, tra cui l'alloggio e l'assistenza sanitaria.
Dopo la normazione dell'individuazione dello Stato membro competente e dei titoli minimi di accoglienza dei richiedenti asilo, si apre il dibattito circa le condizioni giuridiche che fanno capo all'ampia definizione di “protezione internazionale”. Tali situazioni giuridiche che, sebbene con variazioni e aggiornamenti, tuttora costituiscono il cuore dell'ampio ombrello della protezione internazionale, sono: lo status di rifugiato e quello di “persona ammissibile di protezione sussidiaria”.
La Convenzione sullo statuto dei rifugiati, conclusa a Ginevra il 28 luglio 1951, dà una definizione e circoscrive diritti e obblighi derivanti dal riconoscimento dello status di rifugiato, ma non contiene alcuna disposizione di carattere procedurale volta a regolare le modalità di accertamento della relativa condizione giuridica. Lo strumento convenzionale rispondeva infatti alla necessità del tempo di individuare e garantire tale condizione giuridica certa a sfollati e fuggitivi, vittime della contrapposizione militare, politica ed ideologica della Guerra Fredda, senza però prevedere un'interpretazione e un'integrazione adeguata alla tutela concreta nei singoli Stati. Si apre così una riflessione che in ambito europeo porta all'elaborazione di una forma di protezione più ampia rispetto al solo status di rifugiato: la protezione internazionale.
Direttiva 2004/83/CE (Direttiva qualifiche), recante norme minime sull'attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale
La direttiva 2004/83/CE (cosiddetta direttiva Qualifiche) inserisce infatti nell'ordinamento giuridico dell'Unione Europea il concetto di protezione internazionale, facendo propria la definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione di Ginevra e tipizzando una nuova forma di protezione, complementare allo status di rifugiato e denominata appunto protezione sussidiaria.
Una persona ammissibile alla protezione sussidiaria è dunque un cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che se ritornasse nel paese di origine correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, e il quale non può o non vuole avvalersi della protezione di detto paese (art. 2e).
Direttiva 2005/85/CE (Direttiva Procedure), recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato
La direttiva procedure ha come obiettivo quello di garantire che le domande di asilo vengano esaminate secondo un criterio di coerenza in tutti i Paesi dell'Unione. La direttiva prevede che non venga stabilito alcun limite temporale per la presentazione della domanda e riconosce il diritto del richiedente di rimanere sul territorio dello Stato membro durante l'esame della domanda. Una recente ricerca dell'UNHCR ha tuttavia evidenziato che l'applicazione della Direttiva negli Stati membri avviene spesso in maniera eterogenea con chiare disparità di trattamento e che, in alcuni casi, i bisogni di protezione non vengono identificati in maniera adeguata esponendo i richiedenti protezione internazionale a rischi ed ingiustizie.