Rafforzare la Democrazia: Il ruolo dell’Internazionalizzazione dell’Interpretazione Costituzionale in Africa
Sommario
1. Internazionalizzazione del Diritto Costituzionale Africano
Per definizione, il diritto costituzionale appartiene alla sfera d’influenza dello Stato. È la suprema legge del Paese, volta a regolare e bilanciare i poteri statali, all’interno di un territorio ben definito. Potrebbe quindi sembrare controintuitivo teorizzare un modello di sviluppo costituzionale che includa elementi di internazionalizzazione. Tuttavia, un numero sempre crescente di studiosi ha tentato di definire e comprendere quello che oggi è considerato una inevitabile evoluzione del diritto costituzionale. Per alcuni, le cause di tale processo sono principalmente da individuare nella globalizzazione e nell’ampia diffusione della dottrina dei diritti umani. Indipendentemente dalle motivazioni di fondo, sono stati comunque osservati due principali aspetti quando si parla di internazionalizzazione costituzionale: da un lato l'inclusione (più o meno) integrale dei principali trattati internazionali sui diritti umani nelle varie costituzioni, rendendole sempre più simili tra loro; dall'altro, il fatto che i giudici costituzionali fanno sempre più riferimento a sentenze straniere ai fini dell’interpretazione della costituzione. Il continente africano non fa eccezione di fronte a queste tendenze costituzionali e giudiziarie. Per quanto riguarda l'inclusione di elementi di diritto internazionale, la seguente tabella tenta di classificare i diversi gradi di assimilazione che possono essere riscontrati.
La maggior parte delle costituzioni africane, dunque, condivide un certo grado di integrazione del diritto internazionale. A questo fatto si aggiunge che anche il mutuo dialogo giudiziario sul piano internazionale – in inglese spesso riferito come “cross judicial fertilization" – è facilmente riscontrabile per quanto riguarda l’interpretazione del diritto costituzionale africano. Guardando ad alcune delle più rilevanti decisioni giudiziarie del continente, si nota in maniera evidente un uso sostanziale e significativo di fonti esterne per l'interpretazione della legislazione nazionale. Analizzando la giurisprudenza africana, molti sono gli esempi a questo riguardo. Tra i tanti spicca la decisione della corte suprema del Sudafrica State v. Makwanyane (sulla pena capitale), contenente l'impressionante numero di 220 riferimenti a leggi e sentenze straniere. Su questa linea, la decisione dello Zimbabwe in State v. Chokuramba (sulla legalità delle punizioni corporali inflitte ai minori) cita sentenze costituzionali provenienti dalla Namibia, dal Sudafrica e dagli Stati Uniti, oltre a una serie di decisioni di corti internazionali. Ad ulteriore rimostranza di questo fenomeno, uno studio recente mostra che il 93% delle sentenze della corte suprema della Namibia utilizza decisioni estere per formulare un'opinione. In sintesi, l'uso di sentenze giudiziarie esterne allo stato in qualità di fonti autorevoli di diritto per l’interpretazione della costituzione è osservabile in tutto il continente. L’africa non fa dunque eccezione ai recenti sviluppi di internazionalizzazione del diritto costituzionale.
2. Democrazia e Regressione Costituzionale
In che modo un approccio più internazionale all'interpretazione costituzionale può influire sulla forma di governo di uno Stato? Più nello specifico, il dialogo tra corti costituzionali può influenzare le istituzioni democratiche, rafforzandone la resistenza complessiva? Per comprendere meglio queste domande e i loro possibili esiti, è necessario considerare innanzitutto la delicata natura delle società pluralistiche. Le democrazie non sono un dato di fatto, ma il prodotto di secoli di evoluzione politica e sociale. Mai prima d'ora il mondo è stato composto da tante costituzioni democratiche, ma i progressi non sono irreversibili. Possono verificarsi delle battute d'arresto: i diritti possono essere revocati, gli equilibri distorti, le minoranze oppresse. E’ stato coniato il termine "declino democratico" (democratic decay) per descrivere questi processi di regressione costituzionale. Le democrazie possono cadere di fronte a un cambio di potere improvviso e violento, ma possono anche degenerare seguendo modalità più sottili e ambigue, tramite le quali l'essenza stessa della democrazia viene in qualche modo alterata. Quest'ultimo fenomeno, che più spesso avviene tramite canali costituzionalmente e legalmente legittimi, è stato definito “regressione costituzionale”. In quest’ottica il potere esecutivo potrebbe concentrare troppo potere, indebolire la magistratura, ledere, sminuire e non riconoscere diritti individuali, o demonizzare e opprimere gruppi sociali. Questi processi sono graduali ma nondimeno deteriorano gli apparati democratici dall’interno, minando progressivamente i loro principi fondamentali. In quanto principali custodi dei valori democratici, possono i giudici costituzionali fermare queste tendenze antipluralistiche, traendo da sentenze estere e internazionali l’ispirazione per una interpretazione più attiva della costituzione?
3. Uno studio comparato sul Dialogo trans-giudiziario
Per rispondere a questa domanda, è necessario analizzare la giurisprudenza africana in una prospettiva comparata. A questo scopo, è stata presa in considerazione una lista di decisioni giudiziarie che hanno affrontato specifiche problematiche. Il presupposto è che se le legislazioni sotto esame fossero state approvate avrebbero indebolito alcuni presupposti democratici fondamentali: la protezione dei diritti individuali o di gruppi sociali, una divisione bilanciata dei poteri dello Stato, la regolarità e la correttezza delle elezioni.
Per quello che riguarda i risultati elettorali, le elezioni presidenziali in Kenya del 2017 offrono un esempio significativo di intervento giudiziario in tal senso. Le accuse di brogli e irregolarità nel conteggio da parte dell'opposizione politica hanno portato il caso fino alla Corte Suprema (Raila Amolo Odinga v. IEBC e altri). La sentenza ha indubbiamente avuto un impatto considerevole, dato che il suo esito ha annullato i risultati e indetto una nuova votazione. I giudici costituzionali infatti, hanno riscontrato delle irregolarità nel processo di conteggio e deciso per l’annullamento dell’esito illegittimo. È interessante notare come, nel rifiutare il risultato popolare, essi abbiano fatto ampio uso di sentenze giuridiche esterne riguardanti simili dinamiche elettorali. In ciò la Corte non si limita ad adottare fonti straniere come elemento aggiuntivo o incidentale al suo ragionamento; costruisce piuttosto l'intera sentenza su opinioni provenienti da tutto il mondo. Per dare una panoramica generale, la decisione si basa sulla giurisprudenza di: Stati Uniti, Botswana, Uganda, Nigeria, Ghana, India, Regno Unito, Nuova Zelanda, Sudafrica, Mauritius, Tanzania, Seychelles e Australia. È quindi un chiaro esempio di come l'internazionalizzazione dell'interpretazione giudiziaria possa essere uno strumento significativo nelle mani dei giudici per difendere irregolarità e minacce all’ordine democratico.
Come anticipato, un altro attributo essenziale alla democrazia risiede nella separazione dei poteri all'interno dello Stato. A tal proposito, la sentenza della Corte Suprema dello Zimbabwe sul caso Kika v. Ministro della Giustizia Affari Legali e Parlamentari e altri 19 risulta essere esemplare. La decisione prende in considerazione alcuni emendamenti alla costituzione, volti a concentrare più potere decisionale nelle mani del presidente (tra gli altri, la possibilità di prolungare il mandato dei giudici costituzionali). La Corte, nell’emanare la propria decisione, ha preso interamente ispirazione dalla giurisprudenza del vicino stato del Sudafrica. Infatti, stabilendo come eventuali modifiche al potere giudiziario non possano in alcun modo favorire il presidente in carica, i giudici dello Zimbabwe non hanno fatto uso di precedenti nazionali, affidandosi quasi interamente a casi giudiziari sudafricani. Anche in questo caso sembra ragionevole presumere che se la Corte avesse adottato un approccio più chiuso, o quantomeno più prudente nei confronti die influenze e contaminazioni esterne, la decisione finale sarebbe stata significativamente diversa, sia nella struttura che nel risultato finale.
Dato che la qualità di una democrazia è anche determinata dal grado di libertà di cui godono i suoi componenti, l’ordine democratico può spesso venire minacciato da limitazioni, più o meno restrittive, sui diritti individuali e il sistema di garanzie applicabili a gruppi emarginati. Il caso sudafricano Mlungwana e altri v. S. e un altro descrive appunto il tentativo da parte della suprema Corte del Sudafrica di evitare un restringimento delle libertà democratiche. La questione riguardava espressamente la criminalizzazione per presunti motivi di sicurezza di manifestazioni pubbliche che non fossero riuscite a notificare con previo anticipo la municipalità locale. La Corte, ritenendo la legge incostituzionale, fa ampio uso di diverse sentenze di corti internazionali. Nello specifico, i giudici sudafricani si riferiscono al Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e dei Popoli e alla Corte Africana dei Diritti dell'Uomo, derivando la loro decisione interamente dalla giurisprudenza straniera. Numerose sono le sentenze africane che seguono questa tendenza, ovvero di difendere i diritti riconosciuti da alcun tipo di limitazione, alla luce della giurisprudenza internazionale. In alcuni casi i riferimenti esterni possono risultare efficaci anche nel riconoscere diritti non originariamente inclusi all’interno dei dettami costituzionali. È il caso della sentenza UOBU v. Attorney General dell'Uganda, nella quale si riconoscono una serie di diritti ai popoli indigeni, traendo legittimazione non dalla costituzione (che difatti non ne fa menzione) ma da una lunga serie di sentenze provenienti da diversi paesi (tra cui Regno Unito, Australia, Canada, Sudafrica, Botswana e la Commissione Africana sui Diritti dell'Uomo).
Le decisioni giudiziarie sopra riportate rappresentano meramente un piccolo campione, che illustra però efficacemente l'uso sistematico di opinioni esterne come fonti autorevoli di diritto per l'interpretazione costituzionale in Africa, in casi in cui le leggi esaminate avrebbero indebolito la democrazia e minacciato l'integrità dell’ordine pluralistico.
4. Conclusioni
Sembra esserci una correlazione tra l'uso di fonti esterne per la valutazione costituzionale e la resilienza dei sistemi democratici nei confronti di processi di regressione costituzionale. Naturalmente, i comportamenti interpretativi giudiziari e lo stato della democrazia di un determinato paese sono due aspetti fortemente influenzati da un gran numero di fattori esogeni ed endogeni, e potrebbero esserci eccezioni a questa regola. Tuttavia, una breve analisi della giurisprudenza africana, in particolare su temi impattanti la qualità di una società democratica, dimostra che il diritto internazionale e straniero non viene utilizzato solo per rafforzare le opinioni delle corti a difesa dei valori democratici. Al contrario, queste fonti rappresentano la struttura stessa di queste opinioni giudiziarie. Tanto che si potrebbe ragionevolmente presumere che, senza l'uso della giurisprudenza straniera, le decisioni sarebbero state sostanzialmente diverse.
Questi risultati sono ulteriormente corroborati dal fatto che, con poche eccezioni, le sentenze che adottano un approccio internazionale per contrastare i casi di regressione democratica provengono principalmente dai paesi africani di lingua inglese. Tale sproporzione potrebbe essere attribuita all'eredità costituzionale e giudiziaria, orientata verso l'esterno, che questi paesi hanno ereditato dal modello costituzionale del Commonwealth inglese. Al contrario, gli stati africani francofoni hanno seguito rigorosamente il modello costituzionale francese, espandendo raramente istanze di interferenza costituzionale e giudiziaria oltre l’orizzonte della Quinta Repubblica francese. Tale rigidità nella progettazione costituzionale e nell'interpretazione giudiziaria potrebbe essere una delle ragioni per cui l'Africa francofona sembra, in media, ottenere risultati peggiori in termini di qualità e resilienza dei suoi sistemi democratici.