Una democrazia prosciugata: Lo scontro tra sicurezza nazionale e libertà di espressione a Hong Kong
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Sommario
- Introduzione
- Decolonizzazione senza indipendenza
- Libertà di espressione sotto pressione
- Il crollo della società civile a seguito la legge sulla sicurezza nazionale del 2020
- L'Ordinanza del 2024 sulla Salvaguardia della Sicurezza Nazionale
- Una deriva globale di regressione democratica
- Conclusione
Introduzione
Storicamente considerata un baluardo dei valori democratici in Asia, Hong Kong ha mantenuto il suo status unico anche dopo il trasferimento di sovranità alla Cina, avvenuto nel 1997 nell'ambito del sistema “Una Cina, due sistemi”. Negli ultimi anni, tuttavia, è diventata un potente simbolo della tensione globale tra sicurezza nazionale e libertà individuali.
La promulgazione nel 2020 della Legge della Repubblica Popolare Cinese sulla salvaguardia della sicurezza nazionale a Hong Kong (NSL) ha segnato un punto di svolta, suscitando una diffusa preoccupazione per il suo impatto sui diritti umani. Questa legislazione ha segnato l'inizio di una significativa e continua erosione dei valori democratici, culminata nel marzo 2024 con l'introduzione dell'Ordinanza locale sulla Salvaguardia della Sicurezza Nazionale (SNSO). Attraverso una combinazione di disposizioni legali vaghe, ampi poteri di applicazione e crescenti pressioni sulla società civile, il governo centrale cinese ha rimodellato il panorama politico, legale e sociale di Hong Kong con il pretesto di salvaguardare la sicurezza nazionale.
Dal momento che i governi di tutto il mondo si trovano ad affrontare sfide analoghe, non è mai stato così urgente trovare un delicato equilibrio tra la protezione della sicurezza nazionale e la difesa dei valori democratici che sono alla base delle società libere, come la libertà di espressione.
Decolonizzazione senza indipendenza
Per comprendere l'attuale situazione di Hong Kong è necessario ripercorrere la sua complessa storia coloniale e post-coloniale. In quanto colonia britannica dal 1842 al 1997, Hong Kong ha sviluppato un sistema giuridico di common law e una cultura civica attiva, in netto contrasto con la struttura politica e giuridica della Cina continentale.
La Dichiarazione Congiunta Sino-Britannica (Sino-British Joint Declaration) del 1984 e la Legge Fondamentale (Basic Law) del 1990 hanno creato le basi giuridiche per il ritorno di Hong Kong alla sovranità cinese secondo il modello “Una Cina, due sistemi”(“One country, Two systems”). Questo accordo è stato concepito per salvaguardare l'economia capitalista, l'indipendenza del sistema giudiziario e le libertà civili della città, compresa la libertà di espressione, per cinquant'anni dopo il passaggio di sovranità.
Tuttavia, nella pratica, la struttura dualistica è diventata sempre più squilibrata. Negli ultimi due decenni, il principio di “Una Cina” ha progressivamente messo in ombra l'autonomia prevista dal modello dei “due sistemi”. Questo cambiamento è stato contestato in modo particolarmente evidente in tre grandi ondate di proteste di massa: le manifestazioni del 2003 contro la proposta di una legislazione sulla sicurezza nazionale ai sensi dell'articolo 23, la Rivoluzione degli Ombrelli (Umbrella Movement) del 2014 che chiedeva il suffragio universale e le proteste contro l'estradizione del 2019 che si opponevano all'integrazione giuridica con la Cina continentale. Ognuno di questi episodi è stato accolto con la repressione piuttosto che con la riforma, rivelando sia la persistenza delle richieste popolari di maggiore responsabilità democratica sia la crescente determinazione del governo cinese ad affermare il proprio controllo politico. Insieme, essi segnano un punto di svolta nel declino democratico di Hong Kong e nell'erosione della sua distinta identità politico-giuridica.
Libertà di espressione sotto pressione
La libertà di espressione è una pietra miliare della democrazia, in quanto consente agli individui di esprimere opinioni, accedere alle informazioni e partecipare in modo significativo alla vita pubblica. Riconoscendone la sua natura fondamentale, la giurisprudenza internazionale sui diritti umani tutela questo diritto all'articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR). A Hong Kong, questo diritto è protetto dall'articolo 27 della Legge fondamentale e dalla Carta dei Diritti di Hong Kong (Hong Kong Bill of Rights), che incorpora disposizioni dell'ICCPR.
Il diritto internazionale consente limitazioni alla libertà di espressione per motivi di sicurezza nazionale, ma solo a condizioni rigorose. Secondo il Commento generale n. 34 del Comitato per i Diritti Umani sull'articolo 19 dell'ICCPR, tali restrizioni devono essere chiaramente definite, necessarie e proporzionate allo scopo legittimo perseguito. Non devono essere utilizzate per mettere a tacere le critiche, reprimere il dissenso o proteggere i governi dalle loro responsabilità.
Nel caso di Hong Kong, l'invocazione della sicurezza nazionale ha chiaramente virato verso territori inammissibili, poiché queste garanzie sono sempre più in conflitto con l'interpretazione estensiva della sicurezza nazionale data dal governo. Questa strumentalizzazione dei principi di sicurezza ha trasformato il panorama giuridico, limitando le libertà e favorendo un clima pervasivo di paura e autocensura.
Il crollo della società civile a seguito la legge sulla sicurezza nazionale del 2020
In seguito ai disordini sociali del 2014 e del 2019, le autorità hanno adottato una posizione progressivamente restrittiva nei confronti del dissenso. In risposta a queste ondate di manifestazioni di massa, nel 2020 Pechino ha imposto la Legge sulla sicurezza nazionale (NSL), una normativa che ha rimodellato radicalmente il panorama giuridico e politico di Hong Kong, segnando il primo passo significativo verso la creazione di un regime di sicurezza per la regione.
La Legge criminalizza atti di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze straniere – termini lasciati deliberatamente vasti per silenziare l'opposizione e rafforzare il controllo come mai prima d'ora. Nonostante le autorità locali abbiano assicurato che la legge sulla sicurezza avrebbe avuto un impatto solo su una piccola minoranza, essa ha colpito in modo significativo la società civile di Hong Kong, che in precedenza era molto vivace, lasciando indenni poche aree del tessuto sociale e politico della città.
In seguito all'attuazione della Legge, il governo centrale cinese ha modificato il sistema elettorale di Hong Kong per assicurare il governo esclusivamente a individui considerati “patrioti”. Il sistema elettorale riformato ha limitato in modo significativo la rappresentanza democratica, escludendo di fatto la fazione pro-democrazia di Hong Kong dalla partecipazione al processo elettorale. Questa situazione è esemplificata dal caso noto come “Hong Kong 47”, che riguarda l'arresto di un gruppo di attivisti e politici pro-democrazia con l'accusa di “cospirazione per commettere atti di sovversione”.
La diminuzione delle libertà non riguarda solo le manifestazioni pubbliche e un'opposizione politica attiva e democraticamente eletta, ma anche giornali, trasmissioni e libri. L'erosione dell'autonomia di autoregolamentazione all'interno di vari consigli e collegi professionali ha ulteriormente aggravato il deterioramento della società civile.
L'applicazione della Legge da parte degli organi di governo è stata utilizzata come meccanismo per criminalizzare il dissenso e riformare il quadro giuridico, portando di conseguenza alla trasformazione di Hong Kong in una “città della paura”, progressivamente priva della capacità di opporsi a ulteriori misure di sicurezza nazionale.
L'Ordinanza del 2024 sulla Salvaguardia della Sicurezza Nazionale
Hong Kong ha l'obbligo costituzionale di proteggere la sicurezza nazionale. Ai sensi dell'articolo 23 della Legge fondamentale, il governo di Hong Kong è tenuto a legiferare in modo indipendente per vietare gli atti che minacciano la sicurezza nazionale. Dal trasferimento di sovranità del 1997, le amministrazioni che si sono succedute sono state incaricate di emanare una legge sulla sicurezza nazionale locale, ma hanno sempre incontrato notevoli difficoltà nella sua attuazione. Tuttavia, il 23 marzo 2024, il governo di Hong Kong ha promulgato l'Ordinanza sulla Salvaguardia della Sicurezza Nazionale (SNSO), adempiendo all'obbligo costituzionale a lungo rimandato.
Diversi analisti hanno affermato che la motivazione principale della promulgazione di una legge sulla sicurezza locale è l'indicazione politica della sottomissione di Hong Kong alla visione di Pechino di uno Stato di sicurezza globale e alla supervisione politica della società civile, come è stato stabilito in tutta la Cina continentale.
L’Ordinanza, pur essendo presentato come un completamento nazionale della Legge del 2020, intensifica la repressione della società civile, della stampa e dell'opposizione politica. Rafforzando ulteriormente il controllo statale, introduce una serie di nuovi reati e pene più severe, criminalizza l'intento di sedizione, espande i poteri di sorveglianza e aumenta il rischio di detenzione arbitraria.
La promulgazione dell'ordinanza ha suscitato ampie critiche a livello internazionale e ha dato vita a discussioni sul suo impatto sulla democrazia, sulle libertà e sulla posizione globale di Hong Kong. Le organizzazioni per i diritti umani, gli Stati occidentali e le Nazioni Unite hanno condannato il linguaggio ambiguo, la portata espansiva e la natura regressiva della legge.
Un’analisi critica dell'ordinanza ha rivelato quattro principali aree di conflitto con la giurisprudenza consolidata in materia di diritti umani. La criticità principale riguarda l'ampia e ambigua definizione di “sicurezza nazionale”, in quanto l'ordinanza allinea la definizione di sicurezza nazionale di Hong Kong a quella della Cina continentale. Questa convergenza dissolve di fatto la distinzione tra gli approcci di gestione della sicurezza nazionale di Hong Kong e della Cina continentale, armonizzando così le politiche di sicurezza in un quadro unificato. In particolare, la definizione di sicurezza nazionale cinese è eccessivamente ampia e applicabile praticamente a tutti gli aspetti della società. Questa vaghezza consente alle autorità di prendere di mira un'ampia gamma di attività, minacciando la libertà di espressione e l'impegno civico.
La seconda criticità è l'espansione delle leggi sulla sedizione. L'Ordinanza criminalizza le espressioni critiche nei confronti dello Stato, abbassando la soglia per l'incriminazione, rimuovendo la necessità di dimostrare l'incitamento alla violenza. A livello globale, le leggi sulla sedizione sono state contestate e abrogate in numerosi Paesi a causa della loro portata indefinita ed estensiva. Queste leggi sono state spesso applicate in modo improprio per reprimere il dissenso, dando luogo a procedimenti politici contro attivisti, sostenitori dei diritti umani, giornalisti, autori, accademici e studenti. Questa regressione contraddice direttamente le raccomandazioni delle Nazioni Unite di abrogare le leggi sulla sedizione e costituisce una grave minaccia per la libertà di espressione e di stampa a Hong Kong.
La terza criticità è la classificazione troppo ampia dei segreti di Stato e dello spionaggio. L'ordinanza espande la definizione di segreto di Stato per includere lo sviluppo economico, la ricerca scientifica e le relazioni internazionali, consentendo alle autorità di classificare come segrete vaste quantità di informazioni. Inoltre, un concetto ampliato di “spionaggio” punisce la “collusione con forze esterne”, mettendo in pericolo il giornalismo, la libertà accademica e la cooperazione globale. Queste definizioni imprecise e ampie e la loro enfasi predominante sulla sicurezza nazionale sono destinate a soffocare la società di Hong Kong. Giornalisti, accademici, ricercatori potrebbero essere scoraggiati dall'intraprendere indagini legittime.
La criticità finale è costituita dalla criminalizzazione dell'ingerenza esterna. L'ordinanza vieta di fatto la collaborazione con entità straniere, comprese le ONG e le organizzazioni internazionali, concedendo al governo il potere incontrollato di bandire le organizzazioni ritenute una minaccia per la sicurezza nazionale. Inoltre, è plausibile che questo reato possa essere esteso anche alle raccomandazioni avanzate dagli organismi delle Nazioni Unite e da altre organizzazioni internazionali neutrali, esacerbando così le preoccupazioni di una ritorsione legale per la partecipazione a iniziative legittime di advocacy e di tutela dei diritti umani.
A gennaio 2025, almeno 316 persone sono state arrestate sotto l'accusa di minaccia alla sicurezza nazionale. L'Ordinanza ha aggravato un'atmosfera di paura già pervasiva, spingendo Hong Kong sempre più lontano dalle norme democratiche e verso un modello di governance radicato nel controllo e nella sorveglianza.
Una deriva globale di regressione democratica
L'esperienza di Hong Kong non è un caso isolato. In tutto il mondo i governi fanno leva sulla retorica della sicurezza nazionale per espandere il potere esecutivo e limitare le libertà civili. In Paesi come la Bielorussia, il Myanmar, l'Iran e il Venezuela, i regimi autoritari hanno adottato strategie simili, evocando minacce alla sicurezza per giustificare restrizioni all'espressione, criminalizzare le proteste e neutralizzare l'opposizione.
Questi parallelismi sottolineano un modello globale di arretramento democratico, che solleva interrogativi pressanti sul futuro stesso della democrazia. Nell'ultimo decennio, la governance democratica globale ha subito un netto declino, con la libertà di espressione che è risultata uno dei pilastri più colpiti.
L'erosione della libertà di espressione, un tempo considerata un segnale di allerta, è diventata una tattica di governo. Mentre gli Stati invocano quadri giuridici per ridurre lo spazio civico, la legittimità del diritto internazionale dei diritti umani è sempre più a rischio.
Conclusione
La trasformazione di Hong Kong attraverso il pretesto della sicurezza nazionale rivela la vulnerabilità delle istituzioni democratiche di fronte a un potere statale privo di controllo. La Legge sulla Sicurezza Nazionale del 2020 e l'Ordinanza sulla Salvaguardia della Sicurezza Nazionale del 2024 non solo hanno limitato le libertà, ma hanno ridefinito l'architettura giuridica della città in un modo fondamentalmente incompatibile con la governance democratica. Lo stato di diritto a Hong Kong appare come un pezzo di vetro con una crepa: può rimanere intatto finché queste leggi sono confinate nel quadro della sicurezza nazionale, ma rischia di frantumarsi se la crepa continua ad allargarsi.
Hong Kong è diventata un laboratorio di repressione autoritaria, dove la narrazione della sicurezza nazionale è manipolata per giustificare la soppressione delle libertà civili. La comunità internazionale deve rispondere con trasparenza, responsabilità e impegno costante a difesa dei diritti fondamentali. Soprattutto, non bisogna sottovalutare la resilienza della società civile. La lotta di Hong Kong non è solo una questione regionale, ma un appello universale per chiunque creda nei principi della democrazia e dei diritti umani.