La protezione internazionale e il sistema di asilo italiano: analisi dei Decreti Sicurezza
Sommario
- Obiettivo
- Il percorso dei migranti attraverso l’asilo: la richiesta di protezione internazionale
- L’intervento della Commissione Europea in materia di asilo
- L’asilo in Italia: Commissioni Territoriali e protezione speciale
- L’impatto del Decreto Sicurezza del 2018 sulle Commissioni Territoriali: dati dalla Commissione di Padova
- Il dibattito sul Decreto Salvini
- Conclusioni
Obiettivo
L'obiettivo di questo lavoro è analizzare il riconoscimento della protezione internazionale, un diritto concesso dagli Stati per proteggere le persone in fuga dal proprio paese, e l'impatto che le politiche migratorie hanno avuto e continuano ad avere sugli enti responsabili del riconoscimento della protezione internazionale in Italia, le Commissioni Territoriali. I riferimenti numerici, raccolti presso la Commissione di Padova e sul portale del Ministero dell'Interno, sono approssimativi e servono come indicazione generale.
Il percorso dei migranti attraverso l’asilo: la richiesta di protezione internazionale
I movimenti migratori caratterizzano le civiltà da millenni sotto diverse forme. Mentre i flussi si modificano nei modi e nelle peculiarità nel corso del tempo, i dati attestano che la tendenza è in continuo e lento aumento a partire dalla fine degli anni ’90.
Tra i numerosi migranti, vi sono persone che lasciano il proprio paese (per scelta personale o costrizione) per fuggire da situazioni che metterebbero in pericolo le loro incolumità e sicurezza e, dunque, una volta giunti a destinazione, presentano domanda di protezione internazionale. Il concetto di asilo ha radici di natura religiosa: rappresentava una zona franca, un luogo sacro cui si poteva fare riferimento per ottenere tutela e protezione. Da allora, si è sviluppato assecondando l’evoluzione del pensiero e della cultura antropologica, fino ad arrivare, supportato dagli ideali rivoluzionari e di libertà, a svincolarsi da uno spazio fisico e assumere una vera e propria connotazione personalistica e giuridica: oggi, l’asilo è uno status, un diritto riconosciuto dagli Stati al fine di proteggere quanti fuggono da contesti oppressivi e pericolosi. La giurisdizione in materia spetta al paese ospitante che interviene nel processo di valutazione e riconoscimento di tale diritto.
A livello europeo, una volta effettuata la richiesta di protezione, l’iter specifico da percorrere varia da uno Stato a un altro, sia nei tempi sia nelle modalità di applicazione. La cosiddetta “protezione internazionale” offre due alternative: lo status di rifugiato, coniato dalla Convenzione di Ginevra, nel contesto ONU, e la protezione sussidiaria, istituita dalla Commissione Europea. In aggiunta, ogni paese che ha aderito all’istituto protezione internazionale ha la facoltà di introdurre un’ulteriore forma di protezione e stabilire l’organo o la figura cui compete la valutazione.
Nella Carta Fondamentale dei Diritti dell’UE, si afferma che il diritto di asilo (art. 18):
è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
Attualmente, il termine asilo è spesso confuso con lo status di rifugiato. Quest’ultimo è invece solo una delle alternative previste quando si richiede protezione internazionale ed è regolato dalla Convenzione di Ginevra del 1951 che definisce “rifugiato” colui che:
A causa di un fondato timore di essere perseguitati per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale e opinione politica, si trova fuori dal proprio paese di nazionalità e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione del suo paese; o chi, apolide e essendo al di fuori dal paese di residenza abituale in seguito a tali eventi, non può o, a causa di tale timore, non vuole ritornarvi.
Il termine rifugio fa quindi riferimento ai casi in cui sussiste una persecuzione e quando questa è esclusivamente connessa alle sopracitate ragioni, ossia razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale, opinione politica.
L’intervento della Commissione Europea in materia di asilo
Rispetto alle situazioni indicate dalla Convenzione di Ginevra, l’asilo è invece un istituto più ampio, poiché include altre condizioni di rischio per una persona, che prescindono dalle persecuzioni per i già menzionati motivi. A livello regionale, nel 2004 la Commissione Europea ha deciso di approvare una Direttiva, la numero 83, conosciuta anche come Direttiva Qualifiche, allo scopo di colmare le lacune lasciate dalla Convenzione del 1951. L’articolo 15 della Direttiva indica come presupposto per riconoscere la cosiddetta “protezione sussidiaria” la presenza di un grave danno in caso di rientro nel proprio paese di origine. Tale “grave danno” può essere: condanna o pena di morte, tortura o altro trattamento disumano e degradante, una grave minaccia alla vita o alla persona a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato.
In aggiunta, nel 2001 con la Direttiva 55, la Commissione Europea ha introdotto la “protezione temporanea”, con lo scopo di gestire “ingenti flussi di persone sfollate” e per bilanciare gli sforzi profusi dai paesi impegnati nell’accoglienza. Tale forma di protezione non era mai stata applicata, fino ai recenti eventi in Ucraina: a marzo 2022, il Consiglio dell’Unione Europea ha attivato la protezione temporanea, a fronte degli elevati numeri di cittadini ucraini sfollati.
L’asilo in Italia: Commissioni Territoriali e protezione speciale
In Italia, il diritto di asilo è riconosciuto all’articolo 10 della Costituzione. Nel 2002 la legge Bossi-Fini istituì degli organi del Ministero dell’Interno, le Commissioni Territoriali, competenti di valutazione e riconoscimento della protezione internazionale. In aggiunta allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria, nel 1998 il Testo Unico Immigrazione (TUI), introdotto da Napolitano e Turco, creò una forma di protezione per ragioni umanitarie, affermando che “situazioni personali oggettive e gravi” non dovrebbero “consentire la rimozione di uno straniero dal territorio nazionale”. La cosiddetta “protezione umanitaria” era un’ampia forma di inclusione, poiché considerava una vasta gamma di opzioni: “serie ragioni, in particolare di natura umanitaria o risultanti da obblighi nazionali e internazionali”. I dati in effetti mostrano che era riconosciuta per il 20-25% tra gli esiti positivi delle richieste di protezione internazionale. Quando le situazioni non rientravano nei requisiti per lo status di rifugiato o protezione sussidiaria, le predette condizioni potevano portare al riconoscimento delle ragioni umanitarie.
A ottobre 2018, il Decreto Sicurezza dell'allora Ministro dell’Interno Salvini cambiò repentinamente la direzione del sistema nazionale di protezione, in particolar modo ebbe l’effetto di ridurre immediatamente l’accesso alle possibilità di inclusione. La protezione umanitaria venne abrogata e sostituita dal termine “permesso di soggiorno per casi speciali”. Il problema fu l’ambiguità e la vaghezza del Decreto che lo rese inapplicabile e creò un vuoto normativo. La nuova tipologia di permesso riconosciuto fu ridotta al solo articolo 19 del TUI (che vieta respingimento o espulsione a chi rischia persecuzione o tortura, ai minori di 18 anni, a chi dispone di permesso di soggiorno, a conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, a donne in stato di gravidanza o nei sei mei successivi al parto), eliminando invece molte delle condizioni che precedentemente garantivano la protezione. I “casi speciali” di Salvini provocarono un drammatico crollo nei numeri di inclusione dei richiedenti asilo, dal 20/25% degli esiti positivi tra le richieste durante la protezione umanitaria al solo 1%. I danni furono perlomeno limitati grazie all’intervento della Corte di Cassazione, la quale stabilì che le richieste fatte prima dell’entrata in vigore del Decreto Salvini sarebbero state valutate sulla base della precedente forma di protezione.
A ottobre 2020, due anni dopo il primo Decreto Sicurezza, la nuova Ministra dell’Interno Lamorgese emanò un nuovo Decreto che ampliò le possibilità di inclusione. La cosiddetta “protezione speciale”, tutt’ora in vigore, ha il principale scopo di salvaguardare la vita privata e familiare: quando si valuta la richiesta di asilo e si escludono le due forme di protezione internazionale, la protezione speciale può essere considerata se sono dimostrati effettivi legami familiari sul territorio, integrazione sociale che include un buon livello di lingua italiana e/o un lavoro, durata del soggiorno in Italia, non presenza di legami familiari, sociali, culturali nel paese di origine. La nuova situazione ha immediatamente portato a un aumento nei numeri dell’inclusione, dall’1 al 2%, calcolato a inizio 2021: considerata l’introduzione del primo Decreto a ottobre 2020, la speranza è che l’impatto sarà maggiormente apprezzabile nei prossimi anni.
Ad oggi, dunque, quando viene fatta richiesta di protezione internazionale, la Commissione Territoriale competente per area geografica valuta lo status di rifugiato; in caso di non sussistenza dei requisiti, ipotizza la protezione sussidiaria; se l’esito è negativo, il funzionario della Commissione può proporre la protezione speciale come forma residuale. In alternativa alla Commissione Territoriale, anche le Questure sono autorizzate a riconoscere la protezione speciale previa opinione favorevole della Commissione.
L’impatto del Decreto Sicurezza del 2018 sulle Commissioni Territoriali: dati dalla Commissione di Padova
In occasione di un tirocinio curriculare svolto presso la Commissione Territoriale di Padova da aprile a giugno 2021, ho realizzato quanto la migrazione e la vita delle persone siano strettamente connesse alla politica: un responso dipende dalle regole normative stabilite dai governi.
Analizzando i dati, l’impatto del Decreto Sicurezza del 2018 sull’operato delle Commissioni Territoriali e sui conseguenti responsi fu rilevante. Innanzitutto, in termini di ritardo di audizioni e risposte, dal momento che la modifica delle politiche migratorie provocò rallentamenti nelle procedure. Si rivelò poi complesso applicare una legge non chiara e che si prestava a diverse interpretazioni quale quella introdotta dal Decreto Salvini, sia per i funzionari delle Commissioni che per i richiedenti le cui domande venivano improvvisamente negate nonostante le loro storie fossero simili a quelle che, durante la fase della protezione umanitaria, garantivano esiti positivi. La situazione poi causò un aumento dei numeri di appello con conseguenti pressioni sul sistema giudiziario.
Un altro ambito che merita essere analizzato è il meccanismo del rinnovo, ossia la conferma o revoca del precedente riconoscimento di protezione. Avviene in maniera automatica per lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria (eccetto i casi in cui vi sono cambiamenti significativi). Sia la protezione umanitaria che l’attuale protezione speciale hanno durata di due anni; i casi speciali di Salvini scadevano dopo un solo anno: queste incongruenze temporali causarono ulteriori problemi nei processi burocratici.
Presso la Commissione di Padova, il 65% delle richieste di rinnovo per casi speciali (Decreto Salvini) venne negato, dal momento che le numerose possibilità di inclusione garantite dalla protezione umanitaria non soddisfacevano le stringenti maglie dei casi speciali. Solo il 20% delle opinioni furono invece negative in ordine ai rinnovi della protezione speciale di Lamorgese, a dimostrazione del fatto che le maglie vennero nuovamente ampliate.
Il dibattito sul Decreto Salvini
Una nota dell'ASGI (Associazione sugli Studi Giuridici sull’Immigrazione) aveva sollevato perplessità sul Decreto Salvini, la cui bozza presentava già elementi di incostituzionalità: l’associazione dichiarò che l'abrogazione dell'articolo 5.6 del TUI (che vieta l'espulsione di chi incorre in pericoli nel paese d'origine) è un atto incostituzionale di fronte agli articoli 2, 10 e 117 della Costituzione (sui diritti umani inviolabili, sul diritto d'asilo, sulla competenza dello Stato in materia di immigrazione). Un altro elemento di incostituzionalità riguardava la detenzione dei richiedenti dopo l'identificazione, una violazione degli articoli 2, 3, 13.3, 117.1 (sui diritti umani inviolabili, uguaglianza di fronte alla legge, libertà personale, giurisdizione dello Stato in materia di immigrazione e asilo) e dell'articolo 31 della Convenzione di Ginevra (sul non punire chi entra illegalmente se si rivolge alle autorità e/o cerca protezione) perché sanziona con la privazione della libertà lo straniero non munito di documenti di viaggio.
La Corte di Cassazione affermò che il diritto d'asilo costituzionale era interamente esaurito dalle protezioni internazionali e dalla protezione umanitaria. Il Decreto Salvini, eliminando la protezione umanitaria, lasciò un vuoto, che è stato solo parzialmente colmato da Lamorgese. In ogni caso, le incertezze e l'incapacità di perseguire una linea chiara nel corso degli anni hanno lasciato falle nel sistema normativo e trascinato problemi che sono ben lontani dall'essere risolti in modo definitivo. La soluzione migliore sarebbe quella di riformare completamente la legislazione.
Conclusioni
Il tirocinio in Commissione Territoriale a Padova mi ha permesso di assistere al complicato percorso cui i migranti devono sottostare una volta effettuata la richiesta. Ho rilevato numerosi paradossi nel sistema di asilo e ostacoli al suo stesso riconoscimento; in effetti, la maggior parte delle volte i migranti optano per questa soluzione, nonostante la loro condizione non rientri tra quelle richieste dalla protezione internazionale, essendo questo l’unico e più rapido modo di avere garantita la regolarità. Tale sconfortante realtà mi ha consentito di constatare l’incoerenza del sistema di asilo in Italia e realizzare che coloro che giungono nel paese non hanno alternative se non confrontarsi con tale istituto.