I concetti di femmicidio e femminicidio
Femmicidio e femminicidio sono due termini specifici che definiscono in maniera non neutra gli omicidi contro le donne, in tutte le loro manifestazioni, per motivi legati al genere. Questi tipi di uccisione che colpiscono la donna perché donna non costituiscono incidenti isolati, frutto di perdite improvvise di controllo o di patologie psichiatriche, ma si configurano come l’ultimo atto di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico, fisico o sessuale.
Le discriminazioni di genere, gli stereotipi sulle donne radicati nel substrato socio-culturale, la divisione di ruoli e l’esistenza di relazioni di potere disuguali tra donne e uomini sono fattori che costringono la donna a permanere in una condizione di subalternità in cui si alimenta il ciclo della violenza. I femmicidi/ femminicidi sono pertanto gesti estremi di violenza che sottendono una realtà complessa di oppressione, di disuguaglianze, di abusi, di violenza e di violazione sistematica dei diritti delle donne.
I due concetti si sono diffusi in Europa soltanto a partire dai primi anni del XXI secolo grazie da un lato alla divulgazione a livello mondiale dei gravi fatti di Ciudad Juárez, la città messicana divenuta dal 1993 teatro di innumerevoli sparizioni e uccisioni di donne, e dall'altro grazie alle lotte e alle proteste dei movimenti femministi, specialmente di quelli latino-americani, contro queste pratiche.
I primi riferimenti ufficiali dei termini “femmicidio”/“femminicidio” si ritrovano all’interno della Risoluzione del Parlamento europeo (PE) dell’11 ottobre 2007 sugli assassinii di donne (femmicidi) in Messico e America Centrale e sul ruolo dell’Unione Europea nella lotta contro questo fenomeno, nonché nel Rapporto annuale sui diritti umani presentato dal PE nel 2010, in cui se ne ribadisce la condanna. Di femmicidio/femminicidio si discute poi nelle linee guida dell’Unione Europea sulla violenza contro le donne adottate dal Consiglio dell’UE nel 2008 e nel giugno 2010 l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, Catherine Ashton, esprimendo le proprie preoccupazioni sui femminicidi in America Latina, ha definito “tutte le forme di violenza di genere come aberranti crimini di femminicidio”.
Entrati ormai a far parte del linguaggio comune e mediatico come alternativa alla natura neutra della parola omicidio, i termini femmicidio e femminicidio si riferiscono in realtà a due concetti tendenzialmente simili ma con sfumature di significato diverse, che l'informazione tende a confondere, distorcere o a equiparare.
Il femmicidio, dall'inglese femicide, è un termine criminologico introdotto per la prima volta dalla criminologa femminista Diana H. Russell all'interno di un articolo del 1992 per indicare le uccisioni delle donne da parte degli uomini per il fatto di essere donne (a). Secondo quanto formulato da Diana Russell “il concetto di femmicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio e include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”.
Forma estrema di violenza, il femmicidio trova pertanto il suo fondamento nella violenza misogina e sessista dell'uomo radicata nelle nostre società. Questo tipo di omicidio rappresenta un problema sociale che attiene alla dimensione dell'oppressione e della disuguaglianza tra uomini e donne, rilevando la complessa relazione tra la violenza e la discriminazione sessuale. Di fatto parlare oggi di femmicidio significa parlare di una questione legata alla nozione di genere (b), poiché si tratta di un omicidio diretto contro una donna in quanto tale.
Da quanto emerge dal primo Rapporto mondiale sul tema, redatto nel 2012 da Rashida Manjoo, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne le sue cause e le sue conseguenze, gli omicidi basati sul genere, nelle loro diverse forme e manifestazioni, continuano a essere socialmente accettati, tollerati e giustificati, raggiungendo proporzioni allarmanti a livello mondiale.
Diversamente, il termine femminicidio, dallo spagnolo feminicidio, racchiude un significato molto più complesso che supera la definizione ristretta di femmicidio, focalizzandosi soprattutto sugli aspetti sociologici della violenza e sulle implicazioni politico-sociali del fenomeno.
Utilizzato nel 2004 dall'antropologa messicana Marcela Lagarde con lo scopo di attirare l'attenzione politica sulla drammatica situazione vissuta dalle donne in Messico, in particolare nella zona di Ciudad Juárez, il concetto di femminicidio è diventato oggetto di studio anche di altre attiviste dell'America Centrale come Julia Monárrez, Ana Carcedo e Monserrat Sagot, acquisendo ben presto una diffusione globale (c).
Per Marcela Lagarde il femminicidio esprime “la forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotto dalla violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato attraverso varie condotte misogine, quali i maltrattamenti, la violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale, che comportano l'impunità delle condotte poste in essere, tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una condizione indifesa e di rischio, possono culminare con l'uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all'insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e all'esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”.
Il femminicidio, a differenza da quanto si possa comunemente ritenere, non si configura pertanto come un fatto isolato che accade all'improvviso, ma costituisce l'ultimo atto all'interno di un ciclo della violenza. In questo senso, il femminicidio individua una responsabilità sociale nel persistere, ancora oggi, di un modello socio-culturale patriarcale, in cui la donna occupa una posizione di subordinazione, divenendo soggetto discriminabile, violabile, uccidibile. Sul piano dei comportamenti individuali, il femminicidio può essere visto come la massima espressione del potere e del controllo dell'uomo sulla donna, l'estremizzazione di condotte misogine e discriminatorie fondate sulla disuguaglianza di genere.
Grazie alle lotte dei movimenti femministi e al lavoro della ricerca scientifica, il termine femminicidio ha acquisito una forte connotazione politica, al punto che in numerosi Paesi latino-americani le istituzioni hanno introdotto la categoria del femminicidio all'interno delle legislazioni penali, avviando un dibattito tutt'altro che lineare sul significato di questo vocabolo. Se da un lato infatti l'utilizzo a livello formale del termine femminicidio ha permesso di accrescere consapevolezza nella società civile sulla dimensione strutturale della violenza di genere e sulla conseguente necessità di un approccio integrato e multidimensionale per prevenirla e combatterla, dall'altro la trasposizione del concetto sociologico di femminicidio in una fattispecie penale ha posto il problema dell'individuazione della condotta punibile, diversa rispetto ad altre forme di violenza di genere già tipizzate.
Diversamente dal femmicidio, il femminicidio comprende un'ampia gamma di atteggiamenti violenti e discriminatori diretti contro la donna in quanto donna che rappresentano una violazione dei suoi diritti e delle sue libertà fondamentali. Sorge pertanto la difficoltà nel definire il contenuto in ambito penale secondo il principio di tassatività (d).
Le sfide giuridiche legate all'identificazione delle condotte da incriminare hanno contribuito a generare confusione nel dibattito pubblico, dove cose diverse si chiamano con lo stesso nome e cose identiche con nomi diversi (e). Nel frattempo le femministe e gli studiosi hanno semplicemente superato la questione e adottato uno o entrambi i termini a seconda del Paese, del contesto, degli obiettivi delle campagne e delle attività di lobbying.
In Italia il concetto di femmicidio, nel significato delineato da Diana Russel, viene utilizzato a livello teorico dalla ricerca sociologica e criminologica (f), mentre il termine di femminicidio, così come definito da Marcela Lagarde, è preferito sul piano politico e dalla comunicazione mediatica per ricostruire fatti di cronaca riguardanti le uccisioni di donne da parte di uomini e ricomprende tutte le violenze e le discriminazioni legate al genere, che colpiscono la donna nella sua sfera fisica, psicologica e sociale (g).
(a): Per essere precisi la parola femminicidio era già in uso nell’Ottocento per indicare l’assassinio di una donna in quanto tale. E in tal senso era contemplato nel law lexicon del 1848 come crimine perseguibile. Il termine viene ripreso da Diana Russel durante le sue conferenze nel 1976 e solo nel 1992 la criminologa fornisce un’ulteriore precisazione del concetto in un articolo contenuto nel libro “Femicide: the politics of women killings” scritto insieme a Jill Radford
(b): Con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini (art 3. Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Istanbul 2011)
(c): Cfr. Emanuele Corn, “Il femmicidio come reato. Spunti per un dibattito italiano alla luce dell’esperienza cilena”, diritto penale contemporaneo, 2013
(d): Cfr. Barbara Spinelli, “Il riconoscimento giuridico dei concetti femmicidio e femminicidio”, pubblicato in AA.VV., “Femicidio: dati e riflessioni intorno ai delitti per violenza di genere” Regione Emilia Romagna – Assessorato Promozione Politiche Sociali, A cura di C. Karadole e A. Pramstrahler, 2011, pp.125-142
(e): Cfr. Emanuele Corn, “Il femmicidio come reato. Spunti per un dibattito italiano alla luce dell’esperienza cilena”, diritto penale contemporaneo, 2013
(f): Cfr. Barbara Spinelli, “Femicide in Europe”, Rapporto “Femicide: a global issue that demands action”, ACUNS Vienna Liaison Office, Vienna, 2013
(g): Cfr. Paola Degani, Roberto della Rocca, “Verso la fine del silenzio. Recenti sviluppi in tema di violenza maschile contro le donne, diritti umani e prassi operative”, Cleup, Padova, dicembre 2014