Corte europea dei diritti umani

Il conflitto in Cecenia davanti alla Corte europea dei diritti umani. La sentenza Mussayev (2007) e gli altri casi di violazione del diritto alla vita

Foto panoramica della sede del Palazzo dei diritti umani che ospita la Corte europea dei diritti umani, Strasburgo.
© Consiglio d'Europa

La Corte europea dei diritti dell’uomo, a partire dai casi Khaisheva e Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva, e Isayeva, decisi nel 2005, si è a più riprese pronunciata condannando la Russia per le violazioni dell'art. 2 commesse nel quadro del conflitto con la Cecenia negli anni 90 (in particolare nella seconda fase del conflitto, quella iniziata da Putin nel 1999).

I casi riguardano la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani), 5 (arresti arbitrari), 13 (accesso alla giustizia), e in alcuni casi alla Federazione Russa è ascritta anche la violazione dell'art. 38, quello che impone agli stati di collaborare pienamente con la Corte per fare chiarezza intorno alle circostanze che la Corte intende accertare. Una delle situazioni più frequentemente portate davanti alla Corte europea è quella delle sparizioni forzate (v. nel 2009 i casi Asadulayeva, Magomadova, Zabiyeva)

Il Caso Musayeva ed altri c. Russia è esemplificativo di vari altri casi trattati dalla Corte. Nella sentenza del 26 luglio 2007 la Camera I della Corte dichiara – all’unanimità – che vi è stata violazione:

* dell’articolo 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (diritto alla vita) relativamente al decesso di Ali e Umar Musayev;
* dell’articolo 2 in ragione della mancata promozione da parte delle autorità russe di un’inchiesta adeguata ed efficace sulle circostanze relative alla morte di Ali e Umar Musayev;
* dell’articolo 3 (proibizione dei trattamenti inumani e degradanti), relativamente alle violenze subite da Umar Musayev;
* dell’articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) per ciò che concerne i fatti connessi all’arresto di Ali e Umar Musayev;

La Corte ha inoltre stabilito che vi è stata violazione dell’articolo 13 (diritto ad un ricorso effettivo) relativamente alle presunte violazioni dell’articolo 2 e dell’articolo 3 ai danni di Umar Musayev, dichiarando inoltre il mancato rispetto da parte della Federazione russa dell’articolo 38 paragrafo 1 (a) della Convenzione in ragione del rifiuto di produrre tutti i documenti richiesti dalla Corte. Quest’ultima ha invece ritenuto che non vi sia stata violazione dell’articolo 3 (proibizione dei trattamenti inumani e degradanti) relativamente ai trattamenti subiti da Ali Musayev. In applicazione dell’articolo 41 della Convenzione, la Corte ha condannato la Russia al pagamento ai ricorrenti – i familiari di Ali e Umar Musayev - di 130.000 euro quale risarcimento del danno morale e 285 euro per tasse e spese.

Il caso riguarda i fatti successivi all’arresto dei fratelli Ali e Umar Musayev(nati rispettivamente nel 1972 e nel 1977) l’8 agosto 2000, il giorno seguente l’esplosione di un blindato che trasportava un gruppo di soldati russi, nei pressi del villaggio di Gekhi nella Repubblica cecena. Nel corso dell’operazione, a Gekhi fu imposto un copri-fuoco totale di due giorni, trascorsi i quali la madre dei due ragazzi, Aminat Dautovna Musayeva, si recò anzitutto presso il capo dell’amministrazione locale a Urus-Martan per segnalare il fatto che i due figli si trovassero in stato di detenzione e quindi presso il comando militare della regione, dove le venne comunicato che nessuna informazione riguardante Ali e Oumar fosse in loro possesso; i militari invitarono quindi la donna a ripresentarsi dopo due giorni: nella stessa occasione la signora Musayeva riconobbe l’automobile di Ali che stazionava nel cortile della caserma. L’11 ed il 12 agosto seguenti, la madre si reca nuovamente presso il comando militare, dove le viene comunicato per la seconda volta che nessuno era in grado di sapere dove si trovassero i suoi figli: un’identica risposta le viene fornita anche da altre autorità a cui la famiglia si rivolge successivamente. Il 13 settembre il padre di Ali e Oumar riesuma i resti di quattro corpi – recanti tracce evidenti di violenze fisiche - poco lontano dal cimitero di Gekhi, alla presenza di un poliziotto e di agenti dell’amministrazione locale: due dei corpi risulteranno essere quelli di Ali e Umar Musayev.

Un procedimento penale riguardante il decesso dei fratelli Musayev verrà successivamente avviato; esso sarà tuttavia sospeso a più riprese, nella constatazione dell’impossibilità di risalire ai responsabili dell’esecuzione; anche le istanze civili attraverso cui si richiedevano forme di riparazione per la detenzione illegale dei due figli furono rigettate. Da cui l’introduzione di un ricorso presso la Corte europea dei diritti umani il 20 settembre 2001, cui segue la decisione – il 29 agosto 2004 – da parte della Camera incaricata del caso, di accordare alla trattazione di quest’ultimo un’alta priorità (secondo quanto previsto dall’articolo 41 del regolamento della Corte) e la decisione del 1°giugno 2006, in cui si dichiara infine il ricorso parzialmente ricevibile.

Collegamenti

Strumenti internazionali

Parole chiave

Corte europea dei diritti umani vita sparizioni forzate Federazione Russa