L’azione del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze nazionali
Cosa si intende per “minoranza nazionale”?
A livello internazionale la definizione di minoranza più accreditata in sede ufficiale è quella contenuta nel Rapporto speciale della Commissione delle Nazioni Unite per la lotta contro la discriminazione e la protezione delle minoranze intitolato “Etude des droits des personnes appartenant aux minorités ethniques, religieuses et linguistiques” elaborato da Francesco Capotorti nel l977.
Col termine minoranza viene designato un gruppo che è “numericamente inferiore al resto della popolazione di uno stato, in una posizione non-dominante, i cui membri - essendo cittadini dello stato - posseggono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono da quelle del resto della popolazione e mostrano, quanto meno implicitamente, un senso di solidarietà inteso a preservare la loro cultura, tradizioni, religione o lingua” (par. 568).
Stando a questa accezione, è possibile affermare che la maggior parte degli Stati europei ha al proprio interno una o più minoranze nazionali: dalla Spagna alle Repubbliche baltiche (con le numerose comunità di lingua russa), dal Regno Unito (con la questione nord-irlandese) al Belgio (fiamminghi e valloni) alla Polonia (con almeno sei minoranze riconosciute: tedesca, ucraina, lituana, ceca, slovacca e bielorussa), e ancora Ungheria (circa 500.000 persone appartenenti alla comunità Rom),Bulgaria, (minoranze turca e macedone, e con oltre 600.000 Rom), Romania (circa un milione di Rom) ecc.
Per quel che riguarda la situazione italiana, l’art. 6 della Costituzione prevede che la Repubblica tuteli con apposite norme le “minoranze linguistiche”.
La legge n. 482 del 1999 ha dato attuazione a tale disposizione costituzionale, riconoscendo le minoranze di lingua albanese (presente nell'area lucana e molisana, nel catanzarese, nel crotonese, nel cosentino, in Puglia e in Sicilia), catalana (Alghero), germanica (Bolzano), greca (Aspromontae e Salento), slovena (Trieste, Gorizia e Udine), croata (zona del Biferno, Molise), francese e franco-provenzale (Valle d'Aosta, Torino e Cuneo), friulana (Friuli), ladina (Bolzano, Trento e Belluno), occitana (cosentino) e sarda (Sardegna).
Il quadro normativo è stato completato con la legge n. 38 del 2001 recante “Norme a favore della minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia”. Inoltre, secondo stime non ufficiali, il numero di persone appartenenti alle popolazioni Rom e Sinti in Ialia oscilla tra i 120.000 e i 150.000, di cui circa la metà sono cittadini italiani (fonte: M. Cermel (a cura di), Le minoranze etnico-linguistiche in Europa. Tra stato nazionale e cittadinanza democratica, Padova 2009).
La Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali
Il Consiglio d’Europa, sin dalla sua istituzione, ha sempre prestato attenzione alla protezione delle minoranze nazionali; tale tematica, tuttavia, è diventata prioritaria per l’agenda politica dell’Organizzazione a partire dal collasso del blocco comunista e dalla diffusione, in alcune aree d’Europa, di nuovi nazionalismi e di attitudini intolleranti. La violenza inter-etnica e le ostilità scoppiate nella ex Jugoslavia e nell’ex Unione Sovietica hanno dimostrato (in maniera fin troppo drammatica) che la protezione delle minoranze nazionali rappresenta non solo un elemento cardine nel sistema di protezione internazionale dei diritti umani, ma anche una componente essenziale per il mantenimento della stabilità, della sicurezza e della pace in Europa.
Sulla base di tali presupposti, il Consiglio d’Europa ha progressivamente provveduto a istituire al riguardo un quadro giuridico coerente con un efficace meccanismo di monitoraggio, nonché a promuovere forme di dialogo e adeguate attività di cooperazione, coinvolgendo sia gli Stati membri che i gruppi di minoranze interessati.
A comporre il quadro normativo contribuisce innanzitutto la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ed in particolare il suo Protocollo Addizionale n. 12 (entrato in vigore nel 2005) che espande la portata delle garanzie contro ogni forma di discriminazione (inclusa l’appartenenza ad una minoranza nazionale) contenute nell’art. 14 della Convenzione. La stessa Corte europea dei diritti umani si è espressa su numerosi casi che vedevano coinvolti Rom o persone appartenenti ad altre minoranze nazionali. Tali casi non riguardavano soltanto presunte discriminazioni, ma anche altri diritti sanciti nella Convenzione, come il diritto d’associazione ed il rispetto della vita privata.
Il trattato multilaterale più comprensivo in materia è la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali. Adottata dal Comitato dei Ministri nel 1994, dopo vari anni di intense discussioni, è entrata in vigore nel 1998. Attualmente conta 38 Stati parte (sui 46 che compongono il Consiglio d’Europa). L’Italia ha ratificato in data 3 novembre 1997.
La Convenzione è il primo strumento multilaterale giuridicamente vincolante che si occupa della protezione delle minoranze nazionali in generale. Il suo obiettivo è quello di proteggere l'esistenza delle minoranze nazionali nei rispettivi territori degli Stati parte. La Convenzione cerca di promuovere la piena ed effettiva uguaglianza delle minoranze nazionali creando condizioni adeguate che consentano loro di preservare e sviluppare la propria cultura e di mantenere la propria identità.
La Convenzione tratta numerosi aspetti essenziali per un’effettiva promozione e protezione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, raggruppabili in cinque “aree” principali:
- diritti di base, relativi alla non-discriminazione e alla protezione dell’identità culturale, linguistica, religiosa delle persone appartenenti a tali comunità (artt. 4-6);
- questioni collegate ai diritti linguistici e, in particolare, all’uso della lingua in situazioni pubbliche e private, nel settore educativo, mediatico, nella cultura e nelle relazioni ufficiali (artt. 10 e 11);
- diritti nella sfera educativa (artt. 12-14);
- diritti relativi alla effettiva partecipazione nella sfera decisionale, a tutti i livelli dell’amministrazione (art. 15);
- questioni relative alla cooperazione trans-frontaliera finalizzata alla promozione dei diritti sanciti nella Convenzione (art.18).
E’ opportuno menzionare, tuttavia, due aspetti problematici che caratterizzano il contenuto della Convenzione quadro.
Innanzitutto, essa non contiene alcuna definizione di “minoranza nazionale”. Questa lacuna ha permesso ad alcuni Stati di depositare, all’atto della ratifica, delle dichiarazioni che introducono definizioni più o meno restrittive del concetto di “minoranza nazionale” (si vedano, ad esempio, le dichiarazioni di Bulgaria, Danimarca, Estonia, Germania, Svizzera e altri). Diversamente dall’interpretazione di questi Stati, la dottrina prevalente in materia, che risale ai alla Lega delle Nazioni, stabilisce che l’esistenza di una minoranza è una questione di fatto, non di diritto. Tale impostazione è stata confermata dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti umani nel Commento generale all’art. 27 (diritti delle minoranze) del Patto internazionale sui diritti civili e politici (CCPR/C/21/Rev.1/Add.5, General Comment No. 23, 08/04/94, para. 5.2). Dunque, alla luce degli artt. 2 e 3 della Convenzione quadro, nonché dell’esistenza di specifici parametri e criteri oggettivi di appartenenza individuati dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti umani (essenzialmente lingua, cultura e / o religione condivise), la dottrina è orientata ad applicare tale interpretazione prevalente anche alla Convenzione quadro del Consiglio d’Europa.
In secondo luogo, la maggior parte delle previsioni riguardanti i diritti delle persone appartenenti a minoranze contenute nella Convenzione quadro sono di natura programmatica: in questo modo, gli Stati hanno un significativo margine di discrezionalità nell’implementare gli obiettivi indicati, a cui normalmente ricorrono attraverso la legislazione nazionale e le politiche governative. In tal modo, si può affermare che l’efficacia della Convenzione dipenda in gran parte da un meccanismo di monitoraggio adeguatamente funzionante. A tal proposito, la Convenzione (artt. 24-26) prevede che spetti al Comitato dei Ministri, il principale organo decisionale del Consiglio d’Europa (composto dai Ministri per gli Affari Esteri dei 46 Paesi membri), il compito di monitorare l’implementazione della Convenzione, con l’assistenza di un Comitato consultivo, composto da un minimo di 12 a un massimo di 18 esperti indipendenti di chiara fama nel campo della protezione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali.
Il processo di monitoraggio si sviluppa in cinque fasi principali:
- Ai sensi dell’art 25 della Convenzione, gli Stati sono tenuti a presentare ogni 5 anni un rapporto contenente informazioni sulle misure legislative e di altro tipo adottate per conformarsi ai principi della Convenzione quadro. Questo rapporto viene esaminato dal Comitato consultivo. Se gli Stati non presentano i loro rapporti, il Comitato dei Ministri può autorizzare il Comitato consultivo ad avviare comunque il processo di monitoraggio.
- Il Comitato consultivo effettua visite nei Paesi per incontrare le organizzazioni delle minoranze, altri rappresentanti della società civile e le autorità locali e nazionali.
- Il Comitato consultivo adotta quindi un parere contenente raccomandazioni concrete per l'azione degli Stati. In questo processo, il Comitato consultivo intrattiene un dialogo confidenziale che dà agli Stati la possibilità di proporre eventuali correzioni. Il Comitato consultivo è libero di accettare o rifiutare le modifiche proposte.
- Una volta adottato il parere, gli Stati hanno l'opportunità di presentare commenti su questo parere entro 4 mesi, dopodiché i commenti e il parere vengono pubblicati.
- Sulla base del parere del Comitato consultivo, il Comitato dei ministri adotta una risoluzione con conclusioni e raccomandazioni nei confronti dello Stato interessato.
L'attuazione delle raccomandazioni viene promossa attraverso attività di follow-up nello Stato interessato. Queste attività consentono al Comitato consultivo di illustrare le proprie conclusioni in modo più dettagliato, di condividere esempi di buone pratiche e di contribuire al dialogo tra le minoranze e lo Stato.
Per quanto riguarda l’italia, nel 2012 il Comitato dei ministri ha pubblicato una risoluzione (Risoluzione ResCMN(2012)10): in essa, il Comitato, dopo aver rilevato le azioni positive intraprese dall’Italia al fine di migliorare la realizzazione della Convenzione quadro, ha espresso seri motivi di preoccupazione, sopratutto in riferimento all’assenza di un quadro legislativo nazionale per la protezione dei Rom e Sinti che vivono in Italia; al gap crescente causato dalle misure di austerità tra i bisogni delle minoranze linguistiche e le risorse effettivamente allocate per la loro tutela e promozione; all'aumento dei casi di discriminazione nei confronti dei Rom e dei migranti ed alla diffusione di attitudini razziste nei media, nei discorsi pubblici, nei partiti; all’aumento di manifestazioni di ostilità anche da parte delle forze di polizia.
Il Comitato ha raccomandato all’Italia di considerare l’adozione di un quadro legislativo nazionale specifico per la protezione e l’integrazione dei Rom e Sinti; di accrescere la consapevolezza per prevenire e sanzionare efficacemente tutte le forme di discriminazione, intolleranza e razzismo, compresa la diffusione di discorsi razzisti nei media, negli eventi sportivi e su internet.
Il 12 marzo 2014 l’Italia ha inoltrato al Comitato Consultivo il rapporto sull’implementazione della Convenzione inaugurando così il suo quarto ciclo di monitoraggio. L’8 aprile 2019 l’Italia ha inoltrato al Comitato Consultivo il rapporto sull’implementazione della Convenzione inaugurando così il quinto ciclo di monitoraggio; il Comitato ha raccomandato nuovamente all’Italia di considerare l’adozione di un quadro legislativo nazionale specifico per la protezione e l’integrazione dei Rom e Sinti.
Il 14 marzo 2024 si è aperto il sesto ciclo di monitoraggio.
L’importanza del diritto all’educazione per la protezione delle minoranze nazionali
La protezione delle minoranze nazionali e i diritti e le libertà delle persone appartenenti a tali minoranze costituiscono parte integrante del sistema di protezione internazionale dei diritti umani, così come stabilito dall’art. 1 della stessa Convenzione quadro. Ne consegue che anche il diritto all’educazione delle minoranze, garantito dalla Convenzione quadro, è parte integrante dei diritti della sfera educativa sanciti in diversi strumenti internazionali in materia di diritti umani, come la Dichiarazione Universale dei diritti umani (preambolo e art. 26), il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (artt. 13 e 14), la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (artt. 28 e 29), la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (art. 10), la Convenzione dell’UNESCO contro la discriminazione nell’educazione ecc.
In tutti questi strumenti internazionali, il diritto all’educazione viene considerato non solo un diritto in sé, ma anche una precondizione e un mezzo per assicurare il pieno godimento di molti altri diritti, come il diritto alla partecipazione, la libertà di espressione, di associazione ecc. Da qui, l’ampio spazio riservato a questa tematica nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa: ben tre articoli (sui sedici operativi) contengono previsioni specifiche in tema di educazione, mentre espliciti riferimenti sono presenti negli articoli riguardanti il principio di uguaglianza ed il dialogo interculturale.
In particolare, gli artt. 12-14 sanciscono, tra gli altri:
- il diritto alla conoscenza della cultura, della storia, della lingua e della religione delle minoranze nazionali e della maggioranza (art. 12);
- il diritto all’eguaglianza di opportunità per le persone appartenenti alle minoranze nazionali per quanto attiene all’accesso all’istruzione a tutti i livelli (art. 12);
- il diritto, per le persone appartenenti ad una minoranza nazionale, di creare e gestire i propri istituti privati d’insegnamento e di formazione (art. 13);
- il diritto proprio di ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale all’apprendimento della sua lingua minoritaria, senza, tuttavia, pregiudizio dell’apprendimento della lingua ufficiale (art. 14).
Dalla lettura di questi articoli, è possibile evincere che la Convenzione quadro tenta di bilanciare la necessità di preservare e sviluppare la cultura e gli altri elementi essenziali che compongono l’identità delle persone appartenenti ad una minoranza nazionale, da un lato, e la loro libera partecipazione e integrazione nelle società in cui vivono, dall’altro.
Le disposizioni della Convenzione quadro riguardano l'insegnamento delle lingue minoritarie, sia nelle scuole pubbliche che in quelle private, e a tutti i livelli. Questi obblighi sono complementari a quelli previsti dalla Carta europea delle lingue regionali o minoritarie. Gli Stati hanno anche l'obbligo di perseguire l'educazione interculturale nei programmi di studio, comprese materie come l'educazione civica e l'insegnamento del contributo storico e attuale delle minoranze nazionali alla società nel suo complesso. Ciò dovrebbe aumentare la conoscenza, la tolleranza e mostrare che la società è uno spazio condiviso per tutti i gruppi, favorendo il dialogo interculturale.
Ad arricchire ulteriormente il quadro contribuisce l’art. 6, che identifica l’educazione come un’area di importanza specifica in relazione alla necessità di promuovere uno spirito di tolleranza ed il dialogo interculturale: “1. Le Parti incoraggeranno lo spirito di tolleranza ed un dialogo inter-culturale, ed adotteranno misure effettive per promuovere il rispetto e la comprensione reciproca, nonché la cooperazione tra tutte le persone che vivono sul loro territorio, a prescindere dalla loro identità etnica, culturale, linguistica o religiosa, in particolare nel settore dell’istruzione, della cultura e dei mezzi d’informazione. 2. Le Parti s’impegnano ad adottare ogni misura appropriata per proteggere le persone che potrebbero essere vittime di minacce o di atti di discriminazione, di ostilità o di violenza in ragione della loro identità etnica, culturale, linguistica o religiosa”.
In conclusione, dunque, la Convenzione quadro richiede agli Stati parte di incoraggiare, attraverso il sistema educativo, la tolleranza, il dialogo, la coesione sociale e la comprensione reciproca tra tutti i gruppi e le comunità presenti nel proprio territorio. Del resto, tale è (o dovrebbe essere) il fine ultimo del processo educativo: “L’educazione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace” (Dichiarazione Universale dei diritti umani, art. 26).