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Le più importanti civiltà della storia si sono sviluppate intorno ad aree climatiche temperate e in vicinanza di corsi d'acqua. L'equilibrio tra gli elementi naturali è sempre stato un fattore essenziale per lo sviluppo culturale ed economico delle nostre società: la mancanza d'acqua e di piogge provoca siccità e terreni aridi, improduttivi, mentre un eccesso di piogge provoca inondazioni e disastri. Le piogge favoriscono il manto forestale, essenziale per l'equilibrio atmosferico, ma una foresta eccessivamente sviluppata impedisce le comunicazioni, le attività agricole e commerciali.
Queste considerazioni sono alla base dei fatti che caratterizzano le politiche e le scelte degli esseri umani. Dagli anni '70 in poi alcuni avvenimenti renderanno evidente all'opinione pubblica che ambiente, economia, sviluppo e diritti umani hanno un denominatore comune.
E' negli anni '70 che ha inizio la messa in opera del progetto per la realizzazione della Transamazzonica, un sistema stradale che si snoda per circa 5.000 Km attraverso la foresta amazzonica. Il progetto viene ideato allo scopo di rendere possibile l'accesso alle immense risorse della foresta: legno, petrolio, coltan, bauxite, stagno, rame, etc... Attraverso questo progetto sarebbe stato possibile avviare la creazione di nuovi insediamenti in aree forestali scarsamente abitate in modo da creare uno sfogo alla pressione demografica che pesava sulle grandi città brasiliane.
Insieme con i lavori, però, iniziarono anche le proteste sia degli ambientalisti, preoccupati della rovina del 'polmone verde' della Terra, sia degli antropologi. Le popolazioni indigene che vivevano lungo il percorso previsto per la Transamazzonica, infatti, vennero cacciate con la forza dai numerosi minatori, taglialegna, coltivatori, arrivati da ogni dove in cerca di fortuna. Nel folto della foresta e lontano dalla società 'civilizzata' si perpetrarono veri e propri crimini ai danni di popoli indigeni e tribali.
Negli anni del regime militare, alla Transamazzonica seguirono altri progetti stradali, la costruzione di dighe e l'introduzione della coltivazione intensiva di soia e di altre monocolture, che ebbero l'effetto di alterare la biodiversità e di sottrarre ai popoli indigeni territori occupati da sempre.
In quegli anni la parola d'ordine era 'troppa terra per poche persone'. Questo slogan ha accompagnato gravissimi abusi e violazioni in America Latina: l'uccisione e la riduzione in schiavitù di interi gruppi umani insieme alla massiccia deforestazione di territori a loro appartenenti da secoli. Non si tratta certo di un caso isolato: anche altre regioni del mondo, importanti per la ricchezza e la biodiversità del suolo e del sottosuolo, sono state e sono ancora teatro di drammatici conflitti sociali. E' il caso delle foreste congolesi o di quelle asiatiche.
Dagli anni '70 ad oggi non è cambiato molto: le foreste primarie ancora esistenti sono spesso teatro di massacri e di gravi violazioni dei diritti umani. Tuttavia, nei consessi internazionali si sono fatti importanti passi avanti per il riconoscimento dei diritti. Negli ultimi anni, il momento più significativo è l'adozione, nel 2007, della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni che riconosce, finalmente, che quella dei popoli indigeni non è mera materia per antropologi, ma investe anche altri settori scientifici. Fondamentale è stato il riconoscimento dei diritti collettivi dei popoli indigeni, essenziale per una effettiva tutela della cultura indigena. Altro importante passo avanti è stata l’adozione della Convenzione n.169 dell’Organizzazione internazionale per il lavoro (ILO) sui diritti dei popoli indigeni e tribali, che rappresenta al momento l’unico strumento internazionale vincolante in materia.
Tuttavia, permane il problema dell'impatto negativo sui diritti umani dei popoli indigeni generato dagli investimenti internazionali di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale a favore di grandi interventi infrastrutturali. Una questione che nasce negli anni '70, durante la crisi del petrolio. E' in quel periodo che inizia la politica della 'crescita attraverso l'indebitamento'. L'idea era che rifornendo di ingenti quantità di denaro paesi che avevano grosse potenzialità di sviluppo, per gli enormi giacimenti e risorse inutilizzate, sarebbe stato possibile favorire la crescita di tali paesi e rimettere in moto l'economia mondiale. In realtà, molte di queste politiche hanno contribuito a produrre, in pochi anni, un vertiginoso aumento del debito estero di tali paesi, con conseguente tracollo dell'economia nazionale ed un'impennata della disoccupazione e della povertà estrema.
Le conseguenze dei grandi interventi infrastrutturali sono particolarmente gravi per i popoli indigeni che vivono in ecosistemi estremamente fragili. Una volta alterati non si ripristinano. Si calcola che il terreno forestale, raso al suolo per promuovere l'agricoltura, rimane produttivo per un massimo di 3 anni. Dopo, è necessario continuare a deforestare altre aree. Le aree abbandonate dai piccoli agricoltori vengono occupate dai grandi proprietari terrieri che, per migliorarne la produttività, usano ingenti quantità di pesticidi. Questo crea danni anche a quelle porzioni di foresta rimaste ancora 'intatte'. Piante e animali iniziano a scarseggiare, la falda acquifera rimane avvelenata e, alla fine, proprio quei popoli che vivono nell'ambiente naturale in maniera sostenibile diventano le vittime dello sviluppo.
Per far fronte a tale situazione, i popoli indigeni hanno sentito l'esigenza di un coordinamento sul piano internazionale, da realizzarsi, in particolare, attraverso le Nazioni Unite. A tal fine è stato creato, alla fine degli anni '80, il Forum permanente delle Nazioni Unite sulle questioni indigene, che si riunisce annualmente nella sede delle Nazioni Unite di New York o Ginevra. Il Forum ha prodotto, nel corso degli anni, almeno tre risultati fondamentali:
Nonostante tali successi, i popoli indigeni rappresentano ancora oggi una categoria particolarmente vulnerabile, poichè continuano a subire gravi violazioni dei diritti umani e forme di discriminazione ed esclusione dalle decisioni politiche ed economiche. I popoli indigeni sono spesso vittime delle guerre e dei disastri ambientali; le armi dell'abuso e dell'umiliazione sessuale sono spesso usate contro le donne indigene, fino ad arrivare a forme di pulizia etnica. Sono tra i più vulnerabili ai cambiamenti climatici, nonostante abbiano contribuito di meno al loro incremento. Ai popoli indigeni vengono, inoltre, sistematicamente sottratte le terre ancestrali e, con esse, le risorse necessarie alla loro sopravvivenza fisica e culturale. Dall'introduzione di “aree protette” per la conservazione della biodiversità, all’estrazione di risorse come petrolio e minerali, alla creazione di piantagioni e allevamenti, fino alla costruzione di impianti idroelettrici ed eolici, sono diversi gli utilizzi delle terre espropriate ma hanno come denominatore comune la violazione dei diritti dei popoli indigeni.
Il Dossier intende proporre le tappe più importanti che la comunità internazionale ha percorso sulla via della consapevolezza del ruolo che l'ambiente svolge per le nostre società, delle capacità che i popoli indigeni della terra hanno di conservare e usare in maniera sostenibile l'ambiente e del diritto che questi popoli hanno di mantenere le loro tradizioni e i loro territori ancestrali. A questo scopo, la Scheda 1 offre una visione generale del problema indigeno e ambientale; la Scheda 2 presenta la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (2007), attesa da oltre un ventennio, e ripercorre i diritti specifici dei popoli autoctoni; la Scheda 3 indaga la Convenzione 169 dell'ILO - l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (1989) conosciuta anche come 'Convenzione sui diritti dei popoli indigeni e tribali'; le Schede 4 e 5 presentano gli esiti della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo - Unced - (1992), importante momento di svolta nel riconoscimento dell'ambiente come diritto dell'umanità; la Scheda 6 introduce i meccanismi istituiti dalle Nazioni Unite per il riconoscimento e la tutela dei diritti dei popoli indigeni; la Scheda 7 fa riferimento alla relazione del Segretariato del Forum permanente delle Nazioni Unite sulle questioni indigene sul tema "La condizione dei popoli indigeni nel mondo" (2010), che rivela statistiche allarmanti sulla povertà, l'educazione, il lavoro e il diritto all'ambiente dei popoli indigeni; la Scheda 8 presenta il Rapporto annuale dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani sulle relazioni tra cambiamenti climatici e diritti umani, il primo documento redatto dall'Alto Commissario in tema di cambiamenti climatici; la Scheda 9 descrive gli effetti delle politiche di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale su ambiente e popoli indigeni; infine la Scheda 10 affronta il tema delle conoscenze tradizionali, della biodiversità e della protezione dei diritti intellettuali nei confronti delle multinazionali farmaceutiche.
14/3/2024