Incostituzionale la legge sulla cittadinanza italiana nella parte in cui non esonera dalla prova della conoscenza della lingua italiana il richiedente con disabilità

La legislazione sulla cittadinanza italiana è al centro del dibattito politico più recente, con iniziative referendarie e di riforma legislativa. Da ultimo, però, è stata oggetto anche di una pronuncia della Consulta che interessa le persone con disabilità.
La Corte costituzionale con la sentenza 7 marzo 2025, n. 25 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (“Nuove norme sulla cittadinanza”) nella parte in cui non esonera dalla prova della conoscenza della lingua italiana il richiedente con gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti dall’età, da patologie o da disabilità, attestate mediante certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica.
A rimettere la questione di costituzionalità era stato il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna che dubitava della legittimità costituzionale della legge sulla cittadinanza, come modificata dal decreto-legge n. 113 del 2018, là dove imponeva il requisito linguistico anche a quelle persone che, in ragione della impossibilità di apprendere l’italiano per gravi disabilità e certificati deficit cognitivi, non siano in condizione di documentarne la conoscenza.
Una donna che attestava di essere nella oggettiva incapacità di conseguire la conoscenza linguistica per deficit cognitivo, derivante da numerose patologie, oltre che dall’età, aveva impugnato davanti al giudice amministrativo il provvedimento prefettizio in forza del quale era stata dichiarata inammissibile la sua istanza di concessione della cittadinanza italiana. In buona sostanza, lamentava l’incostituzionalità della norma che imponeva il possesso della certificazione linguistica e su cui si basava l’atto amministrativo a lei sfavorevole.
L’art. 9, comma 1, della legge n. 91 del 1992 – ha osservato la Corte costituzionale - impone la verifica della padronanza linguistica a livello B1 senza prevedere un’altra norma che, restringendone la portata soggettiva, esoneri dalla prova del requisito le persone che siano oggettivamente impossibilitate ad apprendere la lingua italiana, a causa di una infermità o di una menomazione di natura fisica o psichica, al contrario di quanto, invece, previsto per lo straniero cui sia richiesto di sottoscrivere l’accordo di integrazione o per lo straniero che faccia istanza di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
La Corte costituzionale ha ritenuto violato il principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., perché la norma censurata tratta, ingiustificatamente e irragionevolmente, in modo uguale situazioni diverse. La disposizione detta, infatti, una disciplina uniforme – la prova del possesso della competenza linguistica – valida anche per le persone che, in ragione della loro disabilità, versano in situazione oggettivamente diversa dalla generalità dei richiedenti la cittadinanza.
Il principio di eguaglianza richiede, invece, che per tale specifica categoria di stranieri il riscontro dell’integrazione avvenga con requisiti commisurati, e quindi proporzionati, alle relative capacità e, dunque, esige una disciplina differenziata con dispensa dalla prova del requisito linguistico.
Risulta, dunque, vulnerato il principio di eguaglianza formale, di cui al comma 1 dell’art. 3 (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”), con riferimento alle “condizioni personali”, tra le quali si colloca indubbiamente – da costante giurisprudenza – la condizione di disabilità, espressamente considerata e tutelata dall’art. 38 Cost. e, a livello internazionale, dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità. Del resto, la Corte costituzionale ha ritenuto che sul trattamento giuridico della disabilità confluiscono un complesso di principi che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale.
A ben vedere, osserva sempre il Giudice delle leggi, la violazione sussiste anche con riguardo alla declinazione sostanziale del principio di eguaglianza, di cui al comma 2 dell’art. 3 (“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”), in quanto la norma frappone anziché rimuovere un ostacolo all’acquisto della cittadinanza per tale specifica categoria di persone con vulnerabilità, che si traduce in una forma di discriminazione indiretta, che può condurre ad una forma di emarginazione sociale.
La sentenza n. 25 del 2025 costituisce, dunque, occasione per ricordare come la tutela delle persone con disabilità trovi il proprio fondamento nella cornice costituzionale e sia anzi espressione degli stessi principi ispiratori della Carta.