condizioni carcerarie

La Corte di Cassazione chiede il riesame per un caso di condizioni di detenzione inumane e degradanti al carcere di Padova

La sentenza 3 aprile 2025,  n. 12849 della Corte di Cassazione penale, sezione I,  affronta un tema molto delicato: le condizioni di detenzione e il rispetto dell’Articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che proibisce la tortura e qualsiasi tipo di pena o trattamento inumano o degradante. 

La Corte di Cassazione si è espressa sul caso di un detenuto del carcere di Padova che aveva presentato un reclamo per “detenzione inumana e degradante”, facendo riferimento alle dimensioni ridotte della cella, alla presenza di muffe sulle pareti, nonché a problematiche legate al riscaldamento e a infiltrazioni di pioggia. 

Nell’ottobre del 2023, il reclamo e la conseguente richiesta di risarcimento erano stati inizialmente respinti dal magistrato di sorveglianza di Padova, il quale aveva ritenuto non vi fossero elementi per l’applicazione del rimedio previsto dall’articolo 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario. Quest’ultimo disciplina i risarcimenti per i detenuti che abbiano subito trattamenti inumani o degradanti in violazione dell’Articolo 3 della CEDU, tra i quali, ad esempio, la detenzione in una cella con una superficie calpestabile minore di 3 metri quadri per detenuto.

Il 26 giugno 2024, anche il Tribunale di Sorveglianza di Firenze aveva respinto il reclamo, sostenendo che lo spazio nelle celle del carcere di Padova, escludendo il bagno, fosse di 9,28 metri quadri e quindi sufficiente a garantire la libertà di movimento di due detenuti. Questa valutazione teneva conto anche dell’ingombro dei letti singoli poiché amovibili e “incastellabili”, una tipologia che darebbe la possibilità di guadagnare ancora più spazio se i detenuti scegliessero di sovrapporli. Il riconoscimento di condizioni detentive dignitose è stato motivato, tra l’altro, dalla fruizione del regime aperto, dalla dotazione di servizi igienici separati, acqua corrente, doccia calda quotidiana, riscaldamento e attività educative. Non è invece stato fatto riferimento alla presenza di muffe, carenze nel riscaldamento e alle infiltrazioni di pioggia. 

Nel successivo giudizio per Cassazione, la valutazione è stata differente e ha portato all’annullamento della precedente ordinanza. Richiamando la recente giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha ribadito la necessità di calcolare lo spazio della cella escludendo l’ingombro dei letti, anche se questi non sono fissati al pavimento, poiché si tratta di arredi non facilmente spostabili e rappresentano un ostacolo al libero movimento. Escludendo i letti, lo spazio disponibile nella cella risultava quindi di 5,90 metri quadri per due detenuti, rappresentando una possibile violazione dell’Articolo 3 della CEDU.  Le Sezione Unite Penali avevano disposto, con sentenza del 19 febbraio 2021, n. 6551 (v. Annuario 2022, p. 267) che andavano esclusi dal computo i letti singoli fissati al suolo o quelli a castello, ma tale regola non impedisce che anche letti singoli non fissati al pavimento possano costituire un effettivo ostacolo e quindi ridurre lo spazio a disposizione.    

Il caso è stato rinviato al Tribunale di Sorveglianza di Venezia per un nuovo giudizio. 

Questa sentenza ha rafforzato la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, chiarendo come debba essere considerato lo spazio calpestabile reale e non teorico, e ribadendo la centralità della libertà di movimento per valutare la dignità della detenzione. Il caso si colloca all’interno di una più ampia problematica legata al sovraffollamento carcerario e alle conseguenti violazioni dei diritti nel sistema penitenziario italiano.

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