Detenzione e rischi per la salute durante la pandemia di COVID-19: il caso S.M. c. Italia

Sommario
- Panormaica del caso
- Valutazione giuridica
- Conclusione
La Corte europea dei diritti dell'uomo (CtEDU) nel caso S.M. c. Italia (sentenza del 17 ottobre 2024) ha valutato se la detenzione di un detenuto in condizioni di vulnerabilità durante la pandemia di COVID-19 costituisse un trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). Il ricorrente, affetto da gravi patologie legate all'HIV e da deficit cognitivi, sosteneva che le condizioni di detenzione a cui era stato sottoposto durante la pandemia lo avevano esposto a rischi eccessivi per la salute, violando così i suoi diritti fondamentali.
Panoramica del caso
Il ricorrente si trovava detenuto nel carcere di San Vittore, uno degli istituti di detenzione più sovraffollati d'Italia, durante la crisi del COVID-19. Diagnosticato come affetto da HIV e soffrendo di complicazioni neurologiche associate a tale patologia, il ricorrente sosteneva che la sua detenzione, combinata con l'alto rischio di trasmissione del virus nell’ambiente penitenziario, rendeva la sua permanenza in carcere incompatibile con le sue esigenze di salute. Le misure attuate dalle autorità per contrastare i maggiori rischi per la salute, come il monitoraggio medico, le politiche di distanziamento sociale e i tentativi di ridurre il sovraffollamento, erano da considerarsi insufficienti, dato il suo sistema immunitario compromesso.
Il ricorrente chiedeva l’applicazione di misure alternative quali gli arresti domiciliari, sottolineando che la sua vulnerabilità aumentava la probabilità di gravi complicazioni in caso di infezione da COVID-19. Il governo italiano rispondeva evidenziando gli sforzi profusi per salvaguardare la salute dei detenuti implementando protocolli di protezione, potenziando il monitoraggio dei detenuti ad alto rischio e continuando, nel caso specifico, a fornire regolarmente la terapia antiretrovirale.
Valutazione giuridica
La valutazione della CtEDU si è concentrata sull'adeguatezza delle protezioni sanitarie fornite al ricorrente. La Corte riconosce che i detenuti con patologie croniche affrontano rischi maggiori negli ambienti carcerari, in particolare durante una crisi pandemica. Tuttavia, la Corte osserva che non risulta che il ricorrente abbia contratto il COVID-19 o abbia subito un deterioramento delle condizioni di salute direttamente riconducibile alle condizioni carcerarie.
La Corte ha esaminato i dati sanitari forniti dalle parti, rilevando che il ricorrente ha ricevuto un trattamento antiretrovirale continuo e costante supervisione medica. Inoltre, le misure generali adottate dalle autorità italiane per ridurre il sovraffollamento e mitigare i rischi, sebbene imperfette, sono da considerare sufficienti, alla luce delle circostanze eccezionali imposte dalla pandemia.
È importante sottolineare che la Corte ha ribadito che l'articolo 3 CEDU non impone un obbligo automatico di rilasciare i detenuti con patologie mediche, a meno che la detenzione non comporti un danno concreto o un grave abbassamento dei necessari trattamenti medici.
Conclusione
La Corte ha concluso che la detenzione del ricorrente durante la pandemia non costituiva un trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 3 CEDU. Pur riconoscendo i rischi generali posti dal COVID-19, la CtEDU ha ritenuto che l'Italia avesse agito entro il suo margine di apprezzamento garantendo assistenza medica e attuando misure ragionevoli per ridurre l'esposizione al coronavirus. La CEDU non impone l’automatico collocamento del ricorrente agli arresti domiciliari o l'applicazione di misure alternative non detentive, poiché le sue specifiche esigenze di salute vengano affrontate adeguatamente all'interno del contesto detentivo.
E’ significativo segnalare che due giudici hanno espresso il loro dissenso rispetto alla decisione della maggioranza. Essi hanno ritenuto che il governo italiano avrebbe dovuto provare in modo convincente che non solo aveva adottato a livello nazionale un protocollo da applicare in tutti gli istituti penitenziari per prevenire la diffusione del coronavirus, ma anche che tali misure erano state effettivamente applicate nel carcere di Milano San Vittore.
Il caso evidenzia il delicato equilibrio che va trovato tra tutela dei diritti individuali e protezione della salute pubblica durante le emergenze e ricorda anche che, anche in situazioni in cui agli Stati è riconosciuto un margine di apprezzamento particolarmente ampio, la CtEDU può comunque verificare la legittimità dei loro atti alla luce degli standard della CEDU applicabili alle persone in situazioni di vulnerabilità.