Vita privata e diritto alla vita a rischio: giustizia ambientale e obblighi dello Stato. La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in L.F. e altri c. Italia, 6 maggio 2025
Sommario
- Introduzione
- I fatti. Eredità industriale e disordine urbanistico
- La decisione della Corte
- Conclusione
Introduzione
Il 6 maggio 2025, la Corte europea dei diritti dell'uomo (CtEDU) si è pronunciata sul caso L.F. e altri c. Italia (ricorso n. 52854/18). La causa riguardava 153 ricorrenti italiani che accusavano lo Stato di non aver tutelato l’ambiente e la loro salute dall’inquinamento realizzato dalla Fonderia Pisano presso Salerno, nella valle del fiume Irno, in Campania. La Corte ha riscontrato una violazione dell'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU) (diritto al rispetto della vita privata e familiare) per 151 di loro, residenti nel raggio di sei chilometri dalla sede della fonderia. La CtEDU, tuttavia, ha respinto le domande riguardanti la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita) e 13 (diritto a un ricorso effettivo). La conclusione evidenzia gli attuali limiti dei sistemi di garanzia giudiziaria dei diritti umani nell'affrontare i danni ambientali che colpiscono le collettività e le problematiche normative connesse.
I fatti. Eredità industriale e disordine urbanistico
Gli effetti nocivi per l’ambiente dell’attività della Fonderia Pisano erano noti da decenni. L’impianto industriale di fusione di metalli ferrosi, che produce fino a 300 tonnellate di materiale al giorno, si era insediato nel 1960 in un’area che all’epoca era stata riservata alle attività produttive, ma in cui negli anni si sono moltiplicate le abitazioni residenziali. Il Piano urbanistico comunale (PUC) del 2006, riconoscendo il dato di fatto, la qualificava come area residenziale e richiedeva che la fonderia limitasse drasticamente le proprie emissioni o che trasferisse la produzione altrove, mantenendo i livelli occupazionali. Nonostante ciò, nel corso degli anni l’attività industriale è stata regolarmente autorizzata, compreso nel 2012, quando la Regione Campania ha emesso l’autorizzazione integrata ambientale accompagnandola con un piano di monitoraggio periodico e indicazioni per migliorare l’impatto ambientale delle lavorazioni. Tra il 2015 e il 2018, varie ispezioni dell’agenzia regionale per l’ambiente (ARPAC) riscontrarono carenze, ma dopo alcune sospensioni e vari ricorsi alla giustizia amministrativa, l’autorizzazione ambientale venne comunque confermata nel 2020. Associazioni di residenti (in particolare l’associazione Salute e Vita) impugnarono la decisione della Regione, ma sia il Tribunale amministrativo regionale sia, nel 2022, il Consiglio di Stato respingono la domanda di revocare l’autorizzazione all’azienda. Uno studio epidemiologico condotto dalle autorità sanitarie regionali, tra cui l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Italia Meridionale, l'Istituto Nazionale per la Ricerca e la Cura del Cancro "G. Pascale" e l'Istituto Nazionale di Sanità, ha analizzato i dati di 400 individui di età compresa tra 20 e 49 anni sui circa 9.000 residenti. L’esito dell’analisi, reso noto nel 2021, evidenzia la presenza nell’organismo umano di metalli pesanti oltre la media, riconducibile alle emissioni dell’azienda. Il Consiglio di Stato, tuttavia, nella sua sentenza, osservava che il collegamento tra i dati epidemiologici e le emissioni della fonderia non risultava provato in modo definitivo. Quanto all'intensa presenza di abitazioni in quella che avrebbe dovuto essere una zona industriale, il giudice amministrativo si limita a considerarla “stupefacente”. Negli anni successivi, l’ARPAC ha continuato a monitorare l’attività della fonderia, riscontrando varie carenze ma non tali da giustificare una nuova sospensione della produzione o da imporre il trasferimento degli impianti.
Fin dai primi anni 2000, gli abitanti della zona hanno più volte denunciato in sede penale l’azienda per carenze nel trattamento dei rifiuti speciali e emissioni nocive e maleodoranti. Le denunce si sono risolte con modeste sanzioni pecuniarie. Una nuova indagine penale, avviata nel 2014, conduce all’assoluzione dei dirigenti dell’azienda per mancanza di prove inoppugnabili dell’attività inquinante della fonderia, riscontrando che le analisi dell’ARPAC erano viziate da errori metodologici. Una nuova causa penale è avviata nel 2019. Una prima perizia, nel 2021, pur riscontrando un inquinamento dell’aria e dell’acqua, non considera provata la responsabilità della fonderia. Nello stesso anno, un’altra perizia analizza, tra l’altro, gli esiti di uno studio epidemiologico longitudinale condotto tra il 2011 e il 2017 sui residenti. Dai dati emergeva che la popolazione soffriva di varie malattie legate all’inquinamento, ma che risultava difficile distinguere quale, tra le varie fonti inquinanti presenti nell’area (emissioni industriali di varie aziende, traffico, presenza di cave, in una zona densamente abitata) fosse la causa diretta delle patologie riscontrate. La perizia osservava che le recenti iniziative di monitoraggio e giudiziarie potevano avere ridotto le emissioni inquinanti della fonderia, ma che la popolazione continuava a soffrire degli effetti cumulativi di anni di esposizione ad agenti inquinanti, con esiti anche mortali. Basandosi su tali conclusioni, la procura di Salerno, nel 2024, ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di archiviare il caso. Il giudice, al momento della sentenza della CtEDU, non aveva ancora deciso.
La decisione della Corte
I ricorrenti chiedono alla CtEDU di statuire che, consentendo gli insediamenti residenziali nella zona della fonderia e mancando di definire regole efficaci per evitare l’immissione nell’aria e nell’acqua di sostanze nocive per lambiente, nonché di adottare misure adeguate a ridurre o eliminare gli effetti sull’uomo di tale inquinamento, lo stato ha violato gli articoli 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto alla vita privata e famigliare) CEDU.
La CtEDU, richiamando la propria giurisprudenza in tema di inquinamento circoscritto a una ristretta area o causato da un singolo agente (tra gli altri, i casi Guerra and Others v. Italy, no. 14967/89 19 febbraio 1998; Locascia and Others v. Italy, no. 35648/10, 19 ottobre 2023, e Cordella and Others v. Italy, nos. 54414/13 e 54264/15, 24 gennaio 2019), decide di non trattare l’ipotesi di violazione del diritto alla vita, ma di limitare la sua analisi al solo articolo 8 CEDU. I ricorrendi chiedono anche il riconoscimento della violazione dell’articolo 13 CEDU (diritto a un rimedio effettivo), ma la CtEDU dichiara questa domanda manifestamente infondata.
Prima di entrare nel merito della causa, la CtEDU respinge la questione di inammissibilità avanzata dallo Stato, il quale negava che i ricorrenti potessero essere considerati vittime della violazione della CEDU e riteneva quindi il ricorso una forma di actio popularis, non ammessa dalla CEDU. La CtEDU risponde che, in casi di questa natura, l’esistenza di un preciso nesso tra emissioni inquinanti e patologie di cui siano portatori i ricorrenti è la questione controversa su cui la CtEDU è chiamata a pronunciarsi e quindi l’incertezza sulla condizione di vittime non trasforma la domanda in un’actio popularis. In ogni caso, è un dato non contestato da nessuno che il fatto di abitare in un raggio di sei chilometri dalla fonderia costituisce un rischio per la qualità di vita e la salute dei ricorrenti. Quindi, il ricorso è ammissibile per tutti i ricorrenti, salvo due, che risiedono oltre la fascia di sei chilometri identificata dalle perizie. Il governo contesta anche il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, affermando che i procedimenti amministrativi avviati e conclusi sono stati promossi dall’associazione Salute e Vita, ma i singoli residenti hanno ancora la possibilità di avviare procedure analoghe. La CtEDU tuttavia ritiene che, specie su materie ambientali che toccano interessi diffusi, gli individui generalmente si tutelano in giudizio proprio attraverso associazioni e comitati, il cui diritto di stare in giudizio peraltro è stato accertato dai giudici italiani. Poiché le vie di ricorso interne utili per l’associazione Salute e Vita risultano esaurite, il ricorso alla CtEDU è ammissibile.
Nel merito, la CtEDU mette in evidenza il fatto che fin dagli anni 1960, l’area in cui operava la fonderia Pisano è stata interessata da insediamenti residenziali, che non dovevano essere permessi. Nel 2006, il comune di Salerno riconosceva tale situazione e chiedeva, tra le altre cose, il trasferimento dell’azienda in altra sede. In realtà, gli insediamenti residenziali non si sono fermati e la fonderia non è stata trasferita. Quanto alle decisioni giudiziarie che non riconoscono il nesso causale tra le emissioni inquinanti e maleodoranti e i disagi lamentati dai ricorrenti, su cui si sono fondate le ripetute autorizzazioni ad operare emesse dalle autorità regionali a favore della fonderia, la CtEDU è colpita dal fatto che mai si sia preso in considerazione l’impatto cumulativo, per svariati decenni, di tali emissioni sulla popolazione della valle dell’Irno. Il fatto che le autorità abbiano considerato “fisiologica” l’esistenza di emissioni sgradevoli e potenzialmente nocive, data la vicinanza dell’industria alle case e la vetustà degli impianti, sembra provare, secondo la CtEDU, che lo Stato non ha preso in sufficiente considerazione la salute e la qualità della vita dei ricorrenti e delle loro famiglie. La CtEDU conclude pertanto che vi è stata violazione dell’art. 8 CEDU.
I ricorrenti, oltre a un indennizzo simbolico di 20 mila euro a testa per danni non patrimoniali, chiedevano alla CtEDU di imporre allo Stato delle misure dettagliate per rimediare alla situazione riconosciuta contraria alla CEDU, pronunciando una sentenza pilota, analogamente a quanto era stato fatto per la situazione della Terra dei fuochi con la sentenza Cannavacciuolo (Cannavacciuolo and Others v. Italy, Applications nos. 51567/14 and 3 others - su questo caso vedi un commento qui). La CtEDU tuttavia respinge tali richieste e considera che lo Stato mantiene la propria discrezionalità nello scegliere i mezzi con cui rispondere alla situazione creatasi, sempre sotto la supervisione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, come prevede l’art. 46 CEDU. Quanto all’indennizzo, la CtEDU ritiene che il riconoscimento della violazione dell’articolo 8 CEDU costituisce per i ricorrenti una sufficiente soddisfazione.
Il giudice Serghides ha aggiunto alla sentenza un'opinione parzialmente dissenziente. Il giudice concorda nel riscontrare una violazione dell’art. 8 CEDU, ma ritiene che la CtEDU abbia errato nel rigettare come “inammissibile” la domanda fondata sulla violazione dell’articolo 2 CEDU. I due articoli non possono essere considerati come relativi alla stessa materia e meritano una trattazione separata. Nel caso in questione, in particolare, i dati scientifici disponibili probabilmente avrebbero giustificato il riconoscimento della responsabilità dello Stato anche per violazione dell’articolo 2. Il giudice Serghides critica anche la scelta di non aver accordato ai ricorrenti un indennizzo per il danno non patrimoniale da essi subito, specialmente dopo avere giustamente evidenziato nella sentenza la lunga durata della loro esposizione agli agenti inquinanti e i sentimenti di ansia e preoccupazione con cui hanno convissuto per molti anni.
Conclusioni
La sentenza della Corte sembra marcare una presa di distanze dai recenti casi Verein Klimaseniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera (Application no. 53600/20) e Cannavacciuolo e altri c. Italia, giustificata dal fatto che la problematica ambientale risultava, in questo caso, più circoscritta sia geograficamente e in termini di popolazione colpita, sia per i soggetti identificati come inquinatori. Il caso tuttavia fa emergere non solo significative carenze normative e inadempienze da parte delle autorità italiane rispetto alla garanzia effettiva del diritto di vivere in un ambiente sano e a una gestione urbanistica che eviti rischi gravi per la salute dei residenti, ma anche la mancanza di una adeguata sensibilità a questo tipo di tematiche presso l’apparato giudiziario, in particolare le istanze di giustizia amministrativa. Le decisioni intervenute su questo caso hanno per lo più ignorato le profonde disfunzionalità del contesto locale, radicate in anni di scarso interesse per l’ambiente e la salute delle persone, evidenziando una scarsa attenzione al tema della responsabilità sociale delle imprese. Anche la CtEDU, tuttavia, ha perso un’opportunità per fare avanzare la giurisprudenza sui diritti umani in materia di salute ambientale in Italia, come sottolineato dall’opinione parzialmente dissenziente del giudice Serghides.