Corte penale internazionale

Il governo italiano presenta le proprie osservazioni in merito alla vicenda Elmasry. Breve analisi degli argomenti esposti

Secretary-General Ban Ki-moon spoke at the inauguration of the Permanent Premises of the International Criminal Court (ICC), in The Hague, Netherlands. A view of the ICC premises.
© UN Photo/Rick Bajornas

L’affaire Elmasry (o Almasri o Njeem), come già trattato sull'Annuario, procede. A seguito dell’invito, datato 17 febbraio 2025, della Corte penale internazionale (Cpi, Pre-Trial Chamber I) all’Italia a fornire spiegazioni in merito alla mancata consegna del cittadino libico colpito da un mandato di arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, il governo italiano per due volte ha chiesto la proroga del termine previsto per l’invio della propria risposta. Quest’ultima è stata infine emessa il 30 aprile ed inviata alla Segreteria della Cpi il 6 maggio. 

Di seguito sono elencate e brevemente commentate le principali argomentazioni esposte dal governo italiano a supporto del proprio operato:

  • La Corte d’Appello di Roma ha correttamente individuato delle violazioni procedurali

Il caso è stato portato innanzi alla Corte d’Appello di Roma in quanto organo giudiziario competente in materia di cooperazione con la Cpi e, nello specifico, della convalida dell’arresto di Elmasry. Con la sua pronuncia, la Corte italiana, adottando una lettura restrittiva della normativa in materia di cooperazione con la Cpi (l. 237/2012), ha escluso la previsione dell’arresto d’urgenza proprio motu da parte della polizia giudiziaria nella procedura di consegna di un sospettato in esecuzione di un mandato d’arresto della Cpi, imponendo la necessaria previa interlocuzione col Ministro della Giustizia. L’autorità giudiziaria ha affermato, pertanto, l’esistenza di un vizio procedurale nell’arresto di Elmasry da parte della polizia sulla base della red notice dell’Interpol e ne ha pronunciato la scarcerazione.

Il governo italiano sottolinea come non abbia alcun potere di intervento nei contenuti della decisione, ma solo di presa d’atto di quest’ultima.

Come già osservato, l’interpretazione adottata dalla Corte d’Appello non è esente da critiche. Già al tempo dell’adozione della l. 237/2012 erano state sollevate preoccupazioni in merito alla incompletezza della legislazione e, in occasione della pronuncia in questione (la prima riguardante l’applicazione di questa legge), è stato messo in luce come la normativa speciale rinvii a quella ordinaria in materia estradizionale per quanto non diversamente previsto (art. 3). Pertanto, si può sostenere l’applicazione, in tale caso, del codice di rito ove disciplina l’arresto in casi d’urgenza da parte della polizia giudiziaria (art. 716 codice di procedura penale – c.p.p.), evitando così un blocco procedurale paradossale vista la gravità dei crimini in esame. Inoltre, a fronte della supposta posizione obbligatoriamente passiva del governo, si può contestare come il Ministro della Giustizia avrebbe invece potuto procedere alla tempestiva trasmissione della richiesta di arresto proveniente dalla Cpi al Procuratore Generale, in tal modo permettendo a quest’ultimo di darvi esecuzione (come previsto dall’art. 4 l. 237/2012). Dagli atti risulta, infatti, che il Procuratore Generale non abbia ricevuto tale richiesta come prescritto, fatto che ha contribuito ad indurlo a presentare istanza di scarcerazione. 

  • (a) La richiesta contestuale di estradizione emessa dalle autorità libiche per gli stessi fatti

Ricevuta, in data 18 gennaio 2025, la richiesta di arresto e consegna di Elmasry da parte della Cpi e, in data 20 gennaio (successivamente all’arresto), la richiesta di estradizione del sospettato da parte delle autorità libiche, il Ministro della Giustizia si è trovato nella posizione di stabilirne l’ordine di precedenza (art. 2.2 l. 237/2012, artt. 90, 93 Statuto di Roma). La richiesta di estradizione libica asseriva la violazione del principio di complementarità da parte della Cpi, affermando l’esistenza, a livello nazionale, di un’indagine in corso nei confronti di Elmasry per i medesimi fatti, per reati di tortura, sparizioni forzate e discriminazione. Premettendo che tale contesto pone dubbi in merito all’ammissibilità del caso di fronte alla Cpi – circostanza considerata dallo Statuto esimente della necessità di dare priorità alla richiesta della Corte - il governo italiano afferma come ciò abbia contribuito alla valutazione fatta in merito alla priorità da dare alle richieste ricevute. L’autorità governativa dichiara anche che la disciplina interna prescrive l’accertamento della cittadinanza italiana della persona offesa al fine di dichiarare la giurisdizione italiana (art. 10.1-bis c.p.p.). 

(b) Discrepanze nella documentazione a supporto della richiesta di cooperazione inviata dalla Cpi

Il governo afferma l’esistenza di incongruenze circa il riferimento temporale dei crimini attribuiti ad Elmasry, ovvero tra quanto indicato nel mandato d’arresto (a partire dal 2011) e quanto presentato dal Procuratore della Cpi nella richiesta di emissione di tale mandato (a partire dal 2015). Inoltre, le autorità italiane lamentano la mancanza iniziale dell’allegato consistente nell’opinione dissenziente della giudice Socorro Flores Liera. Ciò ha comportato una correzione del mandato da parte della Pre-Trial Chamber I nei giorni successivi.

Il governo italiano afferma che sia la presenza di richieste concorrenti che la complessità delle valutazioni affidate al Ministro della Giustizia abbiano creato un’incompatibilità con l’ipotesi di un obbligo immediato di trasmissione degli atti al Procuratore Generale. 

In merito al primo punto a), è necessario ricordare che il principio di complementarità che regola i rapporti tra la Cpi e gli Stati membri prescrive l’intervento della prima (e quindi l’ammissibilità del caso innanzi ad essa) purché lo Stato avente giurisdizione “non voglia o non possa genuinamente svolgere l’indagine o l’azione penale” (art. 17.1 lett. a) Statuto di Roma). Diversi dubbi si aprono in merito alla genuinità dell’indagine riferita dalle autorità libiche contro Elmasry. In primis, risulta dagli atti trasmessi dall’Ufficio del Procuratore Generale libico che le indagini siano state avviate nel 2016. Considerata la grave pericolosità sociale attribuita al soggetto dal governo italiano – che ha, infatti, motivato l’adozione di un provvedimento di espulsione immediata – appare significativo che, dopo nove anni di indagini, non sia stata emessa alcuna misura nei suoi confronti. Il fatto che il sospettato ricopra ancora il ruolo di capo della polizia giudiziaria libica, nonostante le gravi accuse pendenti, solleva dubbi sull’effettiva volontà delle autorità libiche di portare avanti il procedimento a suo carico. (Peraltro, è rilevante menzionare che, a distanza di qualche mese dalla vicenda, i fragili equilibri politici in Libia hanno portato ad un distanziamento tra il governo di Tripoli ed Elmasry. Infatti, sebbene il generale sia stato accolto con entusiasmo in occasione del suo rimpatrio in Libia, gli scontri intensificatisi nel maggio 2025 tra le milizie, ed in particolare tra forze filo-presidenziali ed il gruppo di cui Elmasry è uno dei leader -Forza di deterrenza speciale, RADA-, sembrano aver reso più concrete le intenzioni di agire giudiziariamente contro costui, sia a livello nazionale che tramite la possibile consegna alla Cpi). È da ricordare, inoltre, che la consegna di un sospettato alla Cpi non lo priva del diritto di difesa e quindi della possibilità di proporre innanzi ad essa un’istanza di inammissibilità del caso sulla base del procedimento in corso a livello nazionale (art. 19.2 Statuto). Quest’ultima sede appare, anzi, la più idonea per una valutazione approfondita ed imparziale della questione, senza necessità di minare la progressione del caso di fronte alla corte dell’Aia sottraendo il sospettato alla sua giurisdizione. È da notare, inoltre, che la valutazione esauriente dell’ammissibilità del caso di specie innanzi alla Corte è ancora attesa, ed è quindi lungi dall’essere preclusa (come sottolineato dalla Pre-Trial Chamber stessa, paragrafi 12-13 del mandato d’arresto). In ultimo, sul tema della giurisdizione italiana sollevato, non appare chiaro il riferimento all’art. 10.1 bis c.p.p., il quale regolamenta la competenza per territorio sul caso (indicando, al comma 1bis, l’ipotesi in cui il reato sia stato commesso all’estero e a danno di un cittadino italiano). Tribunali italiani si sono già pronunciati su gravi reati commessi all’estero da cittadini stranieri a danno di stranieri, ed in particolare su atti di tortura commessi nei centri di detenzione in Libia (art. 10 c.p.).

Quanto al secondo sotto-argomento (punto b), si può verificare che la Cpi abbia provveduto a correggere il riferimento alla data 2011, inserito nelle sue conclusioni, con 2015, e ad allegare l’opinione dissenziente. Si riconosce, pertanto, l’inaccuratezza del mandato inizialmente trasmesso e la conseguente confusione che esso possa aver causato nella lettura. Tuttavia, la gravità dei crimini in esame avrebbe dovuto motivare l’autorità italiana a consultare la Cpi per ottenere un chiarimento, evitando così di vanificare il corso del procedimento. Infatti, essendo stata pubblicamente svelata l’esistenza dell’indagine della Cpi con l’arresto, la mancata interlocuzione del governo italiano con la Corte e la conseguente scarcerazione hanno di fatto minato le possibilità future di arresto del soggetto, anche una volta corretto l’errore di stesura.

Per fare chiarezza, è possibile delucidare il rapporto tra le diverse date indicate nel mandato d’arresto ed altresì il contenuto dell’opinione dissenziente. Il riferimento all’anno 2011 è dovuto alla Risoluzione 1970 adottata dal Consiglio di Sicurezza delle NU in quell’anno e che ha attivato la giurisdizione della Cpi sulla situazione libica. Come già espressasi in occasione dei precedenti mandati d’arresto emessi in relazione all’indagine in Libia, la giudice Socorro Flores Liera della Pre-Trial Chamber I, tramite la sua opinione dissenziente – minoritaria rispetto alla maggioranza del collegio di giudici che ha portato all’adozione del mandato – si è dichiarata contraria all’emissione del mandato nei confronti di Elmasry, sostenendo che i crimini di cui il sospettato è accusato (risalenti al periodo tra febbraio 2015 e ottobre 2024) non siano sufficientemente legati alla situazione di conflitto scoppiato nel 2011 che, ai sensi della Risoluzione 1970, fonda la giurisdizione della Corte. D’altro canto, la Pre-Trial Chamber I ha già in passato affermato l’esistenza di un collegamento sufficiente tra la situazione oggetto della Risoluzione 1970 e fatti commessi negli anni successivi (nello specifico, tra il 2016 e il 2017) in virtù del coinvolgimento di soggetti già attivi nel conflitto dal 2011 (caso Al-Werfalli). Di per sé, quindi, la differenza temporale dei fatti oggetto dell’accusa contro Elmasry e di quelli fondanti la giurisdizione della Cpi non risulta un elemento necessariamente escludente la giurisdizione della Corte internazionale.

Infine, si deve precisare che la normativa in materia di cooperazione con la Cpi (l. 237/2012) non investe il Ministro della Giustizia di alcun potere discrezionale quanto alla trasmissione degli atti al Procuratore Generale (art. 4.1: ‘Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole al procuratore generale presso la corte d’appello di Roma perché vi dia esecuzione […]). Appare ingiustificata, pertanto, la valutazione effettuata (asseritamente ‘affidata al’, ‘entrusted to’) dal Ministro in tal senso. 

  • Legittimità del decreto di espulsione emesso dal Ministro dell’Interno

Al fine di smentire la critica di aver ostacolato il lavoro della Cpi tramite il rimpatrio di un ricercato, il governo pone l’attenzione sul motivo dell’espulsione, ossia la protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale. Viene sottolineato come la pericolosità sociale del soggetto sia stata evidenziata da quanto trovato nella sua camera d’albergo in occasione dell’arresto, ovvero una consistente somma di contanti e un’ottica per fucile, oltre che dalla gravità delle accuse mosse nel mandato d’arresto. A quanto riferito, ciò ha motivato l’urgenza e la necessità di tale misura. Il governo riporta alcune pronunce della giurisprudenza nazionale (TAR e Consiglio di Stato) che affermano la titolarità del potere di emissione di un ordine di espulsione in capo al Ministro dell’Interno, la sua discrezionalità amministrativa e la possibilità di adottarlo sulla base di un mero sospetto se motivato dalla tutela della sicurezza nazionale. Anche la normativa europea (Direttiva 2003/109/CE del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo) viene citata a sostegno di tale scelta.

A prescindere dalla legittimità del provvedimento emesso dal Viminale, ciò che desta interrogativi è la miopia dimostrata dall’autorità nell’esercizio della discrezionalità amministrativa. L’espulsione, infatti, ha fatto sì che il sospettato di crimini di guerra e contro l’umanità (tra gli altri, torture, violenze sessuali, stupri, omicidi e persecuzione) fosse riaccompagnato proprio nel territorio dove i presunti crimini sarebbero stati commessi, ovvero nel luogo in cui la sua pericolosità sociale risulta maggiore. 

  • L’azione del governo italiano è stata sempre rispettosa della legge 

Il governo riferisce che la scarcerazione di Elmasry è da attribuire ai vizi procedurali identificati dalla Corte d’Appello, i quali non potevano essere sanati nell’immediato in virtù delle problematiche derivanti dalla formulazione del mandato di arresto della Cpi e dalla presenza di una richiesta contestuale di estradizione emessa dalle autorità libiche per gli stessi fatti. A quanto sostenuto, una volta emesso l’ordine di scarcerazione, il decreto di espulsione rappresentava la via più rapida da adottare ai fini della sicurezza nazionale. 

Nelle proprie valutazioni, il governo italiano non ha tenuto in considerazione i propri obblighi internazionali al di fuori della cooperazione con la corte dell’Aia. L’Italia è, infatti, parte della Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT). Tale convenzione prescrive l’obbligo di consegnare all’autorità procedente un sospettato per tali reati che venga individuato sul proprio territorio o in alternativa perseguirlo penalmente per tali reati (aut dedere aut judicare, art. 7.1 CAT). Considerato che Elmasry è accusato dalla Cpi anche di aver commesso atti tortura, ed alla luce delle perplessità che desta l’indagine in corso in Libia (il cui accertamento, come detto, può comunque trovare spazio nella procedura innanzi alla Cpi), tale convenzione fornisce un’ulteriore base giuridica per la convalida dell’arresto di Elmasry e la sua consegna alla Cpi.

In ultimo, il governo ammette di non aver proceduto a consultare la Cpi durante gli avvenimenti e attribuisce tale mancanza alla particolarità delle circostanze. Afferma di aver comunque agito nel pieno rispetto delle norme domestiche, in particolare la legge n. 237/2012 (applicata per la prima volta in questa occasione), la decisione emessa dalla Corte d’Appello di Roma, la richiesta di estradizione concorrente e la salvaguardia degli interessi di sicurezza nazionale, il cui accertamento spetta esclusivamente all’autorità governativa. Il governo ribadisce il proprio pieno rispetto dello Statuto di Roma, con il dovuto riguardo al bilanciamento degli interessi di sicurezza legati allo Stato e ai suoi cittadini. Sulla base di quanto riferito, il governo chiede quindi alla Cpi di:

  1. Stabilire che l’Italia non ha mancato di adempiere al proprio obbligo di cooperazione, avendo invece dovuto salvaguardare i propri interessi di sicurezza nazionale;
  2. Di conseguenza, astenersi dal deferire la questione all’Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di Sicurezza (come previsto dall’art. 87.7 dello Statuto)

La procedura che vede il governo giustificarsi di fronte alla Cpi è stata avviata dalla Pre-Trial Chamber I, la quale ha ritenuto che l’arresto ed il successivo rilascio di Elmasry da parte dell’Italia, così come il suo trasferimento in Libia, “giustifichi una determinazione [...] dell’opportunità di effettuare una constatazione formale di inadempienza” ai sensi dell'articolo 87.7 dello Statuto di Roma e ha invitato l’Italia a fornire osservazioni in merito alla sua inadempienza ai sensi della norma 109 del Regolamento della Corte. Successivamente, il Procuratore della Cpi ha chiesto alla Pre-Trial Chamber I di dichiarare l’inadempienza dell’Italia e di trasmettere gli atti all’Assemblea degli Stati Parte e/o al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. 

Per quanto siano state qui evidenziate le criticità degli argomenti esposti dal governo italiano, si attende ora la valutazione della corte dell’Aia circa la fondatezza delle osservazioni presentate da entrambe le parti e la decisione se investire della questione gli organi suddetti.

L’operato del governo ha, inoltre, portato una vittima delle atrocità commesse in Libia – già ascoltata nel corso dell’indagine della Cpi sulla Situazione – a presentare una denuncia all’Aia contro la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio e il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi con l’accusa di ostacolo all’amministrazione della giustizia ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma.

Si ricorda, infine, che la vicenda espone le autorità italiane anche sul fronte interno, avendo la Procura di Roma aperto un fascicolo contro Meloni, Piantedosi, Nordio ed il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano per i reati di peculato e favoreggiamento (artt. 314 e 378 c.p.). Una vittima dei reati attribuiti a Elmasry ha inoltre presentato un secondo esposto contro le medesime autorità, contestando loro il reato di favoreggiamento (art. 378 c.p.). 

Annuario

2025

Collegamenti

Strumenti internazionali

Parole chiave

Corte penale internazionale genocidio, crimini contro l'umanità Italia Libia crimini di guerra