La Corte Costituzionale dichiara legittimo il termine di tre anni per decidere sul riconoscimento dello status di rifugiato

Sommario
- Sulla presunta violazione degli articoli 3, 111 e 117 della Costituzione Italiana
- La decisione della Corte Costituzionale
- Riconoscimento dello status di rifugiato in Italia
- Conclusioni
Il 14 novembre 2023 la Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 205 sulla questione della durata ragionevole del procedimento per il riconoscimento di status di rifugiato. La Corte Costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 24 marzo 2001 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo) in riferimento agli articoli 3.1, 111.2, e 117.1 della Costituzione Italiana. Il quesito di legittimità costituzionale era stato sollevato dalle Corti d’Appello di Napoli e Bologna.
Sulla presunta violazione degli articoli 3, 111 e 117 della Costituzione Italiana
I giudici delle Corti di secondo grado di Napoli e Bologna, nell’ambito di procedimenti in merito al riconoscimento dello status di rifugiato, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2-bis della legge n.89 del 24 marzo 2001 nella parte in cui prevede che si considera rispettato il termine di ragionevole durata del processo se non eccede la durata di tre anni in primo grado. L’articolo 2, comma 2-bis della legge n. 89 del 2001 prevede, infatti, che “si considera rispettato il termine ragionevole durata” se il processo non eccede i tre anni in primo grado.
Nel processo cosiddetto di cognizione, la legge summenzionata è applicata anche per il riconoscimento dello status di rifugiato. La materia del riconoscimento di status di rifugiato in Italia è regolata dall’articolo 35 del decreto legislativo n. 25 del 38 gennaio 2008, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. I giudici di Napoli e Bologna ritengono che la parte della norma censurata sia in contrasto con ben tre articoli della Costituzione Italiana ossia l’articolo 3, primo comma, l’articolo 111, secondo comma e l’articolo 117, comma 1, quest’ultimo in relazione all’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU).
Nello specifico, i giudici rimettenti ritengono che la norma censurata sia in contrasto con l’articolo 3, primo comma della Costituzione, il quale prevede che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di condizioni personali e sociali”. Secondo i giudici rimettenti, infatti, la norma censurata finirebbe per equiparare e trattare in maniera uniforme procedure molto diverse sotto il profilo della durata ragionevole del giudizio. E’ la stessa norma che regola la materia del riconoscimento dello status di rifugiato in Italia, ossia l’articolo 35-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008, che al comma 15 prevede che la “controversia è trattata in ogni grado in via di urgenza”, lasciando intuire che questo tipo di procedimento richiede una particolare rapidità tenendo conto della “natura personalissima” dei diritti in questione.
Il contrasto con il secondo comma dell’articolo 111 della Costituzione, rileva, secondo i giudici delle Corti di Appello nel punto in cui è la legge dello Stato ad assicurare la ragionevole durata dei procedimenti garantendo una certa soglia di tutela giurisdizionale in merito a questa peculiare tipologia di procedimento.
In ultimo, i giudici di Napoli e Bologna sottolineano il contrasto con il comma 1 dell’articolo 117 della Costituzione in merito al rispetto degli obblighi internazionali, nello specifico a quelli derivanti dalla CEDU. Quest’ultima prevede all’articolo 6 (Diritto a un equo processo) che ogni individuo ha diritto all’esame della propria causa “entro un termine ragionevole”. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani (CtEDU) si è espressa più volte sulla determinazione del termine ragionevole come elemento essenziale della tutela dei diritti protetti dall’articolo 6 della CEDU. La CtEDU), infatti, ritiene che in sede di interpretazione dell’articolo 6 CEDU sia particolarmente rilevante la complessità della causa e l’importanza della “posta in gioco”, ossia la “natura personalissima” dei diritti in questione.
La decisione della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, con la sentenza del 14 novembre 2023, decide sulla non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, sottolineando che non ci sono a livello europeo indicazioni precise sull'individuazione del termine di ragionevole durata dei procedimenti di riconoscimento dello status di rifugiato, motivo per cui ogni Stato membro agisce autonomamente sulla questione e che neanche la Corte di Cassazione prevede nella propria giurisprudenza la necessità di individuare una durata specifica, diversa da quella di altri giudizi civili, per il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato. In ultimo, la Corte Costituzionale ritiene che i procedimenti in materia di protezione internazionale debbano essere disciplinati in modo tale da assicurare il completo esame della situazione individuale del richiedente, per cui il termine di tre anni previsto per il primo grado non risulta irragionevole.
Dunque, secondo la Consulta, la norma non presenta conflitti né con gli articoli della Costituzione, né con gli obblighi internazionali, nello specifico l’articolo 6 della CEDU.
Il riconoscimento dello status di rifugiato in Italia
Il riconoscimento dello status di rifugiato, focus della sentenza sopra analizzata, è un procedimento di cognizione relativo al riconoscimento di diritti di natura strettamente personale e che richiede un’attenta e complessiva analisi di tutti gli elementi a disposizione. È entrato nell’ordinamento giuridico italiano con la ratifica della Convenzione sullo status dei rifugiati, adottata il 28 luglio 1951 a Ginevra, a mezzo della legge n. 722 del 1954. Secondo la Convenzione di Ginevra, il rifugiato è un cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese.
Lo status di rifugiato è parte dell’istituto della protezione internazionale che comprende anche la categoria giuridica della protezione sussidiaria, valida per i cittadini stranieri che non hanno i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato. L’istituto della protezione internazionale è essenzialmente regolato a mezzo di norme europee. Si tratta della direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004 (recepita dall’ordinamento giuridico italiano con il decreto legislativo n. 251 del 2007), modificata e sostituita dalla direttiva 2011/95/UE (attuata con il decreto legislativo n. 18 del 2014), che disciplina i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e il contenuto dello stesso. Ad oggi la procedura del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale è regolata in Italia dal decreto legislativo n. 25 del 28 gennaio 2008, recepimento della direttiva 2005/85/CE del Consiglio). Il riconoscimento dello status di rifugiato o di titolare di altra forma di protezione internazionale è disposto dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, ma le loro determinazioni possono essere impugnate in sede giudiziaria.
Conclusioni
La disciplina del riconoscimento dello status di rifugiato è regolata da convenzioni di portata globale come quella di Ginevra del 1951, dall'ordinamento giuridico dell’UE e dalle leggi nazionali. Nell'ambito del giudizio sulla questione di legittimità costituzionale della applicazione dell’articolo 2, comma 2-bis della legge n. 89 del 2001 sulla ragionevole durata del procedimento alle decisioni sul riconoscimento dello status di rifugiato, la Corte Costituzionale si è espressa dichiarando non fondata la questione.
Secondo la Corte Costituzionale, tre anni sono un tempo ragionevole per decidere sullo status di rifugiato, anche se la legge impone di trattare la materia in via di urgenza. L’importanza della materia che richiede una procedura urgente è la ragione usata dalla Corte per difendere un termine che consenta un’adeguata ponderazione delle circostanze fattuali e delle ragioni giuridiche di ogni decisione.