Caso Mansouri c. Italia: la Corte Europea dei Diritti Umani dichiara irricevibili i ricorsi
Sommario
- I fatti: trattenimento a bordo e rimpatrio in Tunisia
- Il procedimento dinanzi alla Grande Camera della Corte europea dei diritti umani
- La decisione di irricevibilità
- Commento. La prassi italiana di trattenere i migranti in attesa di rimpatrio rimproverata dalla CtEDU
Il 29 aprile 2025 la Corte Europea dei Diritti Umani (CtEDU) ha emesso la decisione in merito al caso Mansouri c. Italia (n. 63386/16) riguardante la legalità e le condizioni di detenzione del ricorrente a bordo di una nave Italiana durante il viaggio di ritorno presso il suo paese d’origine a seguito di un ordine di respingimento. La CtEDU ha dichiarato irricevibili i ricorsi in relazione all’articolo 5 (Diritto alla libertà e sicurezza) e manifestamente infondati quelli relativi agli articoli 3 (Proibizione della tortura) e 13 (Diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione Europea dei Diritti Umani.
I fatti: trattenimento a bordo e rimpatrio in Tunisia
La vicenda ha inizio con il provvedimento di respingimento emesso ai danni del ricorrente, un cittadino tunisino, dalla polizia italiana presso il porto di Palermo, poiché privo di valido permesso di soggiorno o visto. In precedenza, l’uomo aveva soggiornato regolarmente in Italia con un permesso per motivi di lavoro dal 2014 fino alla sua scadenza nell’aprile 2016. Dopo il rientro in Tunisia nel gennaio dello stesso anno, ha tentato nuovamente di raggiungere l’Italia nel maggio 2016, a bordo della nave italiana Splendid.
Il ricorrente ha presentato alla polizia di frontiera il proprio passaporto, il permesso di soggiorno scaduto e una copia della richiesta del nuovo permesso di soggiorno che aveva presentato il 16 ottobre 2015. Gli agenti di polizia hanno verificato che l’autorità di polizia competente, il Questore di Ferrara, aveva rigettato la sua richiesta alla fine di marzo 2016, per cui hanno ritenuto che Mansouri non fosse in possesso delle necessarie autorizzazioni per entrare nel paese. La polizia di frontiera ha, dunque, ordinato il rimpatrio del ricorrente secondo l’articolo 10 del Decreto Legislativo n° 286 del 1998 (Testo Unico sull’Immigrazione). Il ricorrente ha dichiarato di essere stato confinato in una cabina del traghetto, chiusa a chiave dall’esterno sotto stretta e costante sorveglianza durante l’intero viaggio di ritorno verso la Tunisia. Intanto il traghetto ha proseguito seguendo la propria rotta dal porto di Palermo a quello di Civitavecchia fermandosi, poi, a Termini Imerese e ritornando al porto tunisisno di La Goulette dopo ben sei giorni.
Il procedimento dinanzi alla Grande Camera della Corte europea dei diritti umani
Il ricorrente ha adito la CtEDU il 28 ottobre 2016 lamentando la presunta violazione dei propri diritti nell’ambito della sua reclusione di sei giorni nella cabina del traghetto.
Ha invocato l’articolo 5 (Diritto alla libertà e sicurezza) §§ 1, 2, 4 e 5 della CEDU ritenendo di essere stato illegalmente privato della libertà a bordo Il ricorrente ha invocato anche l’articolo 3 (Proibizione della tortura) lamentando che le condizioni materiali della propria permanenza a bordo della nave per sei giorni sotto lo stretto e costante controllo degli agenti di sicurezza della nave. Infine, ha lamentato una violazione dell’articolo 13 (Diritto a un ricorso effettivo) dichiarando che non fossero presenti strumenti di ricorso interni disponibili per impugnare la decisione dinanzi a una corte italiana.
Nel febbraio 2024, la Camera della CtEDU che aveva preso in carico il ricorso ha deciso di trasmetterlo alla Grande Camera secondo l’articolo 30 CEDU (Rimessione alla Grande Camera). La trasmissione di un caso alla Grande Camera di diciassette giudici avviene nel momento in cui l’oggetto del ricorso solleva “gravi problemi di interpretazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, o se la sua soluzione rischia di dar luogo a un contrasto con una sentenza pronunciata anteriormente dalla Corte”. Ciò significa che il caso Mansouri c. Italia ha sollevato importanti questioni rispetto alla giurisprudenza della Corte su migrazione e il diritto alla libertà e alla sicurezza (articolo 5 CEDU).
Il caso è comparso in udienza dinanzi alla Grande Camera il 18 settembre 2024. Durante l’udienza i giudizi hanno permesso alle due parti, in via eccezionale, di avere ulteriori otto giorni per presentare documentazione aggiuntiva. La Corte ha emesso la propria decisione sei mesi dopo, il 29 aprile 2025.
La decisione di irricevibilità
La Grande Camera ha dichiarato, nella sua decisione sul caso, i ricorsi in riferimento all’articolo 5 CEDU irricevibili a causa della mancato esaurimento dei ricorsi interni e ha dichiarato, invece, i ricorsi in riferimento agli articoli 3 e 13 CEDU manifestamente infondati.
La CtEDU si è espressa innanzitutto sulla questione della giurisdizione rispetto ai fatti oggetto del ricorso così come disposto dalla CEDU. Il governo italiano ha dichiarato che i fatti non avessero avuto luogo sotto la sua giurisdizione in quanto avvenuti in acque internazionali e terminati sul territorio di un altro stato, quale la Tunisia. La Corte ha dichiarato questi punti irrilevanti secondo l’articolo 27 §1 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (Giurisdizione penale a bordo di una nave straniera) dato che il traghetto sul quale i fatti hanno avuto luogo era di proprietà di una compagnia navale italiana, batteva bandiera italiana ed era sotto il controllo di un capitano in veste di pubblico ufficiale. Secondo la CtEDU, infatti, il capitano è investito di poteri pubblici nell’adempimento di compiti come, in questo caso, il respingimento di una persona straniera. Al contrario, il governo italiano sosteneva che la relazione esistente tra il capitano e il ricorrente, in qualità di trasportatore e passeggero, fosse di natura essenzialmente privata.
Al capitano del traghetto è stato affidato il compito di adempiere al mandato di respingimento emanato dalle autorità italiane al valico marittimo di Palermo nel rispetto dell’Articolo 10 del Decreto Legislativo n° 286 del 1998 (Testo Unico sull’Immigrazione) e le relative disposizione del Codice Frontiere Schengen. La CtEDU ha, quindi, riconosciuto che gli eventi oggetto del ricorso fossero avvenuti sotto la giurisdizione italiana, dunque, attribuibili all’Italia e da considerarsi sotto la sua responsabilità come previsto dall’Articolo 1 CEDU (Obbligo di rispettare i diritti umani).
La parte più consistente della decisione della Grande Camera si è concentrata sull'Articolo 5 CEDU (Diritto alla libertà e sicurezza). La Corte ha ritenuto che il ricorrente ha mancato di esaurire i ricorsi interni disponibili e non ha dato la possibilità alle corti domestiche di “adempiere al loro ruolo fondamentale nel sistema di protezione della Convenzione”, sottolineando che la CtEDU funge da istanza sussidiaria. La CtEDU ha ritenuto che, secondo i criteri di ricevibilità di cui all’Articolo 35 CEDU (Condizioni di ricevibilità), i ricorsi in riferimento all’Articolo 5 fossero irricevibili. In primis, se il ricorrente avesse attivato i procedimenti dinanzi alle corti nazionali, queste avrebbero potuto esaminare a fondo la legalità della sua detenzione (e il ricorrente avrebbe potuto beneficiare di un’ulteriore analisi fattuale e legale) e se fosse stata trovata una violazione dei suoi diritti, queste avrebbero potuto decidere un’eventuale misura compensativa secondo l’Articolo 2043 del Codice Civile (Risarcimento per fatto illecito). Inoltre, la CtEDU ha indicato che il ricorrente disponeva, durante la detenzione, del contatto diretto con la propria famiglia ed il proprio avvocato. Quindi, egli aveva accesso ad un’assistenza legale effettiva durante il viaggio di ritorno in Tunisia. La Corte ha anche osservato che i giudici italiani avrebbero potuto esaminare eventuali problemi di interpretazione delle disposizioni del Codice Frontiere Schengen e eventualmente chiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi. Infine, la CtEDU ha ricordato nella propria decisione la centralità del “principio consolidato di diritto internazionale” che riconosce agli stati il diritto di controllo sugli ingressi, i soggiorni e i respingimenti delle persone straniere. Secondo i giudici di Strasburgo, questo principio andrebbe valutato nel contesto del ruolo di prima linea che l’Italia ha ricoperto nella “gestione dei flussi migratori da certe regioni dell’Africa e del Medio Oriente” verso l’Europa.
In riferimento ai ricorsi relativi all’Articolo 3 (Proibizione della tortura), la CtEDU ha ritenuto che le “condizioni di soggionro” del ricorrente (riferendosi alle condizioni materiali di detenzione a bordo della nave) non rispettassero il “livello minimo di severità” richiesto per impegnare la responsabilità delle autorità italiane. Anche se il ricorrente ha sofferto della frustrazione per la sua condizione durante i sei giorni di viaggio, non era particolarmente vulnerabile per stato di salute o per età, poteva comunicare con il mondo esterno, gli venivano dati cibo e acqua e non era stato privato dei suoi effetti personali.
Commento. La prassi italiana di trattenere i migranti in attesa di rimpatrio rimproverata dalla CtEDU
La CtEDU ha respinto il caso in quanto il ricorrente non aveva preso le misure necessarie per permettere alle corti nazionali di decidere sui possibili rimedi secondo le regole applicabili e le procedure disponibili nella legge italiana. Infatti, la CtEDU ha chiarito che la sua decisione non dichiara che l’Italia sia o meno responsabile per le violazioni, bensì che il ricorrente ha mancato di esaurire i rimedi interni disponibili sotto la giurisdizione italiana, in quanto “l’esistenza di meri dubbi rispetto ai prospetti di successo di un particolare rimedio che non è ovviamente futile, non è una valida ragione per mancare di procedere per i rimedi”. Il ruolo della CtEDU è sussidiario e sono le corti nazionali di ogni stato firmatario ad avere la responsabilità principale nella protezione dei diritti sanciti nella CEDU.
La decisione in merito al caso Mansouri c. Italia non dovrebbe lasciar intendere che l’Italia rappresenti un modello per la gestione dell’immigrazione. I fatti relativi al caso, considerati insieme alle attuali pratiche di detenzione delle persone migranti negli hotspot e nei CPR (Centri di Permanenza e Rimpatrio) riflettono una preoccupante tendenza nei confronti dei diritti all’integrità personale, alla sicurezza e libertà, ad essere liberi dalla tortura e da altri trattamenti inumani e degradanti e al diritto a richiedere asilo.
Infatti l’Italia è stata ritenuta responsabile per la violazione dell’Articolo 5 CEDU in altri casi relativi alla detenzione di persone migranti a bordo di navi o su terraferma.
Nel caso Khlahifia e altri c. Italia (Grande Camera, 2016) i ricorrenti, tre cittadini tunisini, erano stati detenuti a bordo di navi attraccate al porto di Palermo per essere poi rimpatriati in Tunisia dopo aver raggiunto l’Italia a bordo di barche improvvisate. La Corte non ha riscontrato alcuna base legale per il loro trattenimento in attesa di rimpatrio.
Inoltre, solo nel 2023, la CtEDU ha dichiarato l’Italia responsabile della violazione dell’Articolo 5 CEDU per aver detenuto illegalmente persone migranti nei casi J.A. e altri c. Italia, M.A. c. Italia, A.T. e altri c. Italia, A. B. c. Italia e A.S. c. Italia. Questi casi riguardavano principalmente la problematica questione della privazione della libertà delle persone migranti negli hotspot di Lampedusa al fine di prevenire il loro ingresso non autorizzato in Italia.
La giurisprudenza della CtEDU indica in maniera chiara come l’Italia deve ancora impegnarsi significativamente per migliorare la propria condotta nel rispetto dei diritti umani nell’ambito del controllo delle frontiere e della protezione della libertà e integrità personale delle persone che cercano di attraversare i suoi confini.
La Costituzione Italiana protegge il diritto a richiedere asilo (Articolo 10) e la libertà personale (Articolo 13) e contiene l’obbligo contratto dall’Italia nell’ambito di varie convenzioni internazionali di non respingere nessun individuo verso paesi terzi non sicuri.