L'articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani: Bilanciare la privacy, l'interesse pubblico e il controllo legale nella giurisprudenza della CtEDU del 2024

Sommario
A.F. e M.F. c. l'Italia
Il 25 aprile 2024, la Corte europea per i diritti umani (CtEDU) si è pronunciata sul caso A.F. e M.F. c. l'Italia. I ricorrenti, madre e figlio, sostenevano che il loro diritto al rispetto della vita familiare, sancito dall'articolo 8 Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU), fosse stato violato a causa delle misure provvisorie adottate dai tribunali nazionali dal 2015 in relazione a un altro membro della famiglia. Il governo italiano ha riconosciuto la violazione dell'articolo 8 CEDU e ha proposto una soluzione amichevole. In particolare, ha offerto un risarcimento di 25.000 euro per danni morali e 1.000 euro per le spese legali. La Corte, riconoscendo l’accordo tra le parti, ha ritenuto che non fosse necessario proseguire l'esame del caso.
Sebbene gli accordi amichevoli siano spesso considerati un mezzo efficace per risolvere rapidamente le controversie e garantire un risarcimento, essi presentano anche dei limiti. Impediscono alla Corte di stabilire un precedente giuridico che potrebbe orientare casi futuri e contribuire allo sviluppo della giurisprudenza. Senza una sentenza, alcuni principi giuridici rimangono poco definiti, limitando così l'evoluzione della prassi giudiziaria. Inoltre, tali accordi spesso evitano un esame pubblico e approfondito da parte della Corte. Una decisione formale avrebbe potuto evidenziare la violazione, sensibilizzare l'opinione pubblica e, potenzialmente, influenzare future riforme legislative.
Contrada c. Italia
Il 23 maggio 2024 la CtEDU si è pronunciata sul caso Contrada c. Italia, riguardante la legittimità delle intercettazioni telefoniche e della perquisizione domiciliare effettuate nei confronti di un ex alto funzionario di polizia in Italia. Le comunicazioni del ricorrente erano state intercettate nel 2017 sulla base di sospetti circa dei suoi contatti con agenti di polizia sospettati di corruzione e intralcio alla giustizia. Il ricorrente ha denunciato violazioni degli articoli 6, 8 e 13 CEDU, sostenendo che le misure violavano il suo diritto alla privacy e mancavano di un effettivo controllo giudiziario. La Corte europea dei diritti umani ha ritenuto che il ricorrente fosse direttamente interessato dalle misure, respingendo l'argomentazione del governo secondo cui non aveva lo status di vittima. Mentre la questione relativa alla perquisizione domiciliare è stata ritenuta inammissibile, la CtEDU ha stabilito all'unanimità che l'intercettazione e la trascrizione delle sue comunicazioni costituivano una violazione dell'articolo 8 CEDU. La Corte ha riconosciuto al ricorrente un indennizzo di 9.000 euro per danni non pecuniari. Questo caso evidenzia la necessità di maggiori garanzie contro la sorveglianza sproporzionata e rafforza il ruolo della CtEDU nel garantire che l’applicazione della legge da parte delle autorità inquirenti siano conformi agli standard della CEDU.
Cracò c. Italia
La CtEDU ha emesso una decisione il 13 giugno 2024 nel caso Cracò c. Italia, che riguarda la pubblicazione online di una decisione giudiziaria che rivela dati medici sensibili del ricorrente, costituendo un'interferenza illecita nella vita privata ai sensi della legge italiana sulla protezione dei dati. Nonostante la Corte di Cassazione abbia riconosciuto la violazione e concesso un risarcimento, essa non ha provveduto a rimuovere o riformulare la sentenza che conteneva le informazioni sensibili. La CtEDU ha riscontrato all'unanimità una violazione dell'articolo 8 CEDU, stabilendo che l'Italia deve, entro tre mesi, rimuovere la sentenza dalle banche dati pubbliche o sostituirla con una versione emendata dei dati personali. La Corte ha ritenuto che la constatazione della violazione costituisse di per sé una giusta soddisfazione sufficiente, respingendo la richiesta del ricorrente di un ulteriore risarcimento. Questo caso dimostra che, mentre la sentenza afferma il diritto alla privacy, il rifiuto di ordinare l’ulteriore intervento non ha tenuto conto del danno prolungato subito a causa della continua disponibilità online di dati sensibili. La protezione dei dati personali è parte integrante della dignità umana e gli Stati devono non solo riconoscere le violazioni, ma anche garantire un risarcimento pieno ed efficace, compreso il risarcimento pecuniario, ove appropriato. Questa sentenza sottolinea la necessità di meccanismi di applicazione più rigorosi per salvaguardare i diritti alla protezione dei dati e prevenire violazioni simili ai sensi della CEDU.
Palmeri c. Italia
La CtEDU si è pronunciata sul caso Palmeri c. Italia il 25 luglio 2024. Una denuncia anonima è stata effettuata tramite una telefonata alla Questura di Milano riguardo a un presunto episodio di spaccio di droga avvenuto nel luglio 2015. In base all’articolo 103 § 3 del DPR n. 309/1990 (testo unico sulle leggi in materia di tossicodipendenza), la polizia ha eseguito una perquisizione d’urgenza nell’abitazione del ricorrente, sequestrando hashish e materiale per il confezionamento. Il ricorrente e suo figlio sono stati riconosciuti colpevoli di spaccio di droga. Nel marzo 2018, il ricorrente ha presentato appello, sostenendo che gli oggetti sequestrati durante la perquisizione domiciliare non potevano essere usati come prova in tribunale. A seguito del rigetto del ricorso da parte della Corte d’Appello, il ricorrente si è rivolto alla Corte di Cassazione, che ha confermato la decisione sfavorevole il 24 gennaio 2020. Nei sei mesi successivi alla decisione della Corte di Cassazione, il 18 giugno 2020, il ricorrente ha presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti umani, sostenendo che la perquisizione effettuata nella sua abitazione non rientrava nelle eccezioni previste dall’articolo 8.2 CEDU, in quanto la normativa italiana richiedeva l’indicazione della fonte d’informazione per disporre una perquisizione domiciliare, mentre in questo caso si era proceduto sulla base di una denuncia anonima.
La questione principale esaminata dalla CtEDU era se la perquisizione immediata effettuata dalla polizia nell’abitazione del ricorrente fosse conforme ai requisiti di legge previsti dall’articolo 8.2 CEDU. La Corte, nel suo esame, ha osservato che, ai sensi dell’articolo 35.1 della Convenzione, il ricorrente avrebbe dovuto esaurire tutti i rimedi interni effettivi disponibili e presentare il ricorso alla CtEDU entro sei mesi dalla data della decisione definitiva della giurisdizione nazionale. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che il termine di sei mesi per presentare il ricorso non comprendesse il ricorso a rimedi interni il cui esito prevedibile non avrebbe potuto garantire un risarcimento effettivo al ricorrente. Esaminando la giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche alla luce delle pronunce della Corte Costituzionale, la CtEDU ha rilevato che gli oggetti sequestrati durante una perquisizione domiciliare possono costituire prove in tribunale, indipendentemente dalla natura della perquisizione, purché il loro possesso sia illecito e siano stati utilizzati per la commissione del reato in esame. Pertanto, i rimedi esperiti dal ricorrente, in particolare il suo ricorso per Cassazione, non potevano essere considerati effettivi. Di conseguenza, la Corte, a maggioranza, ha dichiarato il ricorso inammissibile per il mancato rispetto del termine dei sei mesi.
De Candia c. l'Italia
La CtEDU si è pronunciata sul caso De Candia c. l'Italia il 26 settembre 2024. Il ricorrente ha presentato un ricorso sostenendo che le autorità avevano violato il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare rifiutandogli il permesso di partecipare al funerale del padre mentre si trovava agli arresti domiciliari. Il governo italiano ha ammesso la violazione e ha presentato una dichiarazione unilaterale, offrendo 3.200 euro per danni non patrimoniali e 1.000 euro per le spese legali. Sebbene il ricorrente non abbia risposto a tale offerta, la Corte ha ritenuto che il risarcimento proposto fosse equo sulla base di precedenti casi analoghi. Di conseguenza, ha stabilito che non fosse necessario proseguire l'esame del caso e lo ha rimosso dal ruolo.
Hodza c. Italia
Il 26 settembre 2024, la CtEDU si è pronunciata sul caso Hodza c. Italia. Il ricorrente ha denunciato la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 7 e dell'articolo 8 della CEDU. Tuttavia, nonostante fosse stato debitamente notificato, non ha presentato osservazioni nei termini previsti. Di conseguenza, la Corte europea dei diritti umani, ai sensi dell'articolo 37, paragrafo 1, lettera a) della CEDU, ha ritenuto che il ricorrente non intendesse più proseguire con il ricorso. In assenza di circostanze eccezionali che giustificassero un ulteriore esame, il caso è stato rimosso dall'elenco. Questa decisione è significativa in quanto sottolinea l'importanza del requisito procedurale della partecipazione attiva dei ricorrenti. La possibilità per la Corte di archiviare i casi per mancanza di impegno assicura un uso efficiente delle risorse e rinforza il concetto che i ricorrenti debbano assumersi la responsabilità di portare avanti le proprie richieste di tutela dei diritti umani.
Di Nardo e Alberti c. Italia
La sentenza emessa dalla CtEDU il 10 ottobre 2024 nel caso Di Nardo e Alberti c. Italia chiarisce i limiti di applicabilità dell’articolo 8 CEDU nelle controversie in materia di impiego pubblico. I ricorrenti erano stati esclusi dal processo di selezione per l’accesso alla Polizia di Stato a causa della presenza di tatuaggi visibili, in fase di rimozione. Nella loro domanda sostenevano che tale esclusione violava il loro diritto al rispetto della vita privata. La CtEDU ha ritenuto l’articolo 8 CEDU non applicabile al caso di specie. La Corte ha rilevato che i ricorrenti erano a conoscenza dei criteri di idoneità e non li avevano contestati. La loro esclusione era fondata sul mancato rispetto di tali requisiti, non è stata causata da un’ingerenza nella loro vita privata. Inoltre, i ricorrenti non hanno dimostrato che tale misura abbia avuto un impatto grave sulla loro vita personale. Essendo stati ammessi alla procedura concorsuale solo in via provvisoria, avevano accettato il rischio di un’eventuale esclusione. Questa sentenza riveste particolare rilievo in quanto conferma che le regole di idoneità professionale non sollevano automaticamente questioni ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. La Corte ha ribadito l’importanza di criteri di selezione chiari e prevedibili nell’impiego pubblico, stabilendo un elevato standard per le richieste di tutela basate sul diritto al rispetto della vita privata.
Longo c. Italia
La CtEDU ha emesso la sentenza il 10 ottobre 2024 nel caso Longo c. Italia, in cui il ricorrente lamentava violazioni degli articoli 6 e 8 della CEDU a causa delle restrizioni del diritto di visita, della perdita di contatto con il figlio e dei ritardi giudiziari eccessivi. Dopo il fallimento delle trattative, il governo italiano ha presentato una dichiarazione unilaterale, ammettendo le violazioni e offrendo 9.000 euro per danni non pecuniari e 2.000 euro per le spese legali. Ha chiesto alla Corte europea dei diritti umani di cancellare il caso dalla sua lista ai sensi dell'articolo 37, paragrafo 1, lettera c). La Corte ha ritenuto ragionevole il risarcimento e non ha riscontrato circostanze eccezionali che giustificassero un ulteriore esame. Tuttavia, ha osservato che se il governo non si fosse conformato, il caso avrebbe potuto essere reintegrato ai sensi dell'articolo 37, paragrafo 2. Questo caso evidenzia le preoccupazioni relative a problemi sistemici nell'approccio italiano ai diritti dei genitori e ai ritardi giudiziari.
Gallico c. Italia e Gullotti c. Italia
Il caso Gallico c. Italia e il caso Gullotti c. Italia, entrambi decisi dalla CtEDU il 14 novembre 2024, riguardavano ritardi nella ricezione della corrispondenza in carcere, sollevando questioni ai sensi dell'Articolo 8 CEDU. In entrambi i casi, il governo italiano ha ammesso le violazioni offrendo un risarcimento: 800 euro per danni non patrimoniali e 200 euro per le spese legali in Gallico c. Italia, e 1.300 euro per danni non patrimoniali e 200 euro per le spese legali in Gullotti c. Italia. Nonostante l'assenza di una risposta da parte dei ricorrenti, la CtEDU ha ritenuto gli importi proposti coerenti con casi precedenti e ha rimosso entrambe le domande dal ruolo.
I casi De Candia, Gallico e Gullotti riflettono un modello più ampio in Italia, dove i ricorsi in materia di diritti umani vengono frequentemente risolti tramite dichiarazioni unilaterali. Sebbene garantisca un risarcimento individuale, questa prassi limita il ruolo della CEDU nello stabilire precedenti giuridici, con conseguenze che possono essere negative, in particolare su questioni che possono evidenziare carenze sistematiche come le condizioni carcerarie e l’accesso a rimedi effettivi.
Franceschetti c. Italia
La CtEDU ha emesso la decisione il 21 novembre 2024 nel caso Franceschetti c. Italia, in cui il ricorrente sosteneva che i tribunali nazionali avessero violato il suo diritto al rispetto della vita familiare, ai sensi degli articoli 8 e 14 CEDU, assegnando l'affidamento esclusivo del figlio alla madre, discriminando il ricorrente in quanto padre. I tribunali italiani avevano basato la loro decisione sull’interesse superiore del bambino, ponendo particolare enfasi sulla stabilità e sul benessere del minore, soprattutto in considerazione della sua età e della distanza tra le abitazioni dei genitori. I tribunali avevano attentamente valutato le circostanze relative all’affidamento condiviso, gli orari di lavoro del padre e il benessere del bambino prima di decidere di affidare il minore alla madre. La CtEDU ha ritenuto che le autorità nazionali abbiano agito entro il loro margine di apprezzamento, fornendo una giustificazione adeguata per la decisione. La richiesta del ricorrente è stata considerata manifestamente infondata e irricevibile, ai sensi dell'articolo 35, paragrafi 3 e 4 della Convenzione. Un’opinione dissenziente si concentra sulla presunzione della legge italiana secondo cui i bambini in età scolare debbano generalmente risiedere con la madre, salvo circostanze eccezionali. Pur non essendo intrinsecamente discriminatoria, la decisione del tribunale solleva preoccupazioni sulla parità di trattamento dei padri nelle controversie relative all'affidamento. La decisione riflette una questione più ampia in Italia, riguardante il potenziale pregiudizio nei confronti dei padri nel diritto di famiglia e la necessità di un approccio più individualizzato all'affidamento, che consideri adeguatamente il coinvolgimento paritario di entrambi i genitori. Questo caso evidenzia la continua sfida di garantire che le decisioni siano prese in base all'interesse del bambino, senza rafforzare i tradizionali ruoli di genere.
Casarini c. Italia
Il 28 novembre 2024, la CtEDU si è pronunciata sul caso Casarini c. Italia. Tra il 2008 e il 2009, un ufficiale della Guardia di Finanza aveva avuto illegittimamente accesso ai dati fiscali del ricorrente, nonché a quelli di centinaia di altre persone, contenuti nel database del Servizio in formazioni sul contribuente. I dati erano stati forniti a un giornalista di una rivista italiana. Il ricorrente aveva appreso dell'incidente da un articolo di giornale, secondo il quale il giornalista aveva sfruttato i dati abusivamente ottenuti per scrivere articoli sulle persone coinvolte. La Guardia di Finanza aveva denunciato l'accaduto nel 2010 e nel marzo 2011 il funzionario era stato condannato a due anni di reclusione con la sospensione condizionale della pena, mentre il giornalista aveva ricevuto una condanna a un anno di reclusione con la sospensione condizionale della pena. Il ricorrente ha sostenuto davanti alla CtEDU la responsabilità dello Stato italiano per non aver protetto adeguatamente le sue informazioni personali, in violazione dell’articolo 8 CEDU.
La CtEDU ha confermato che alcune delle informazioni presenti nel database del Taxpayer Information Service, come nome, data di nascita, indirizzo, reddito e patrimonio, fossero riconducibili alla vita privata e quindi protette dall’art. 8 CEDU e che il ricorrente potesse legittimamente affermare di essere vittima dell'incapacità dello Stato di proteggere i suoi dati personali limitatamente all’accesso abusivo effettuato dall’ufficiale della Guardia di Finanza, non con riguardo all’ulteriore sfruttamento dei dati ad opera del giornalista. La Corte tuttavia ha accolto l’obiezione dello Stato che ha eccepito il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto il ricorrente avrebbe dovuto prima presentare un reclamo all’Autorità garante della privacy. Il caso è stato quindi dichiarato all'unanimità irricevibile, secondo l'articolo 35 CEDU.
A.C. e altri c. l'Italia
La CtEDU si è pronunciata sul caso A.C. e altri c. l'Italia il 12 dicembre 2024. I ricorrenti hanno presentato un ricorso ai sensi dell'articolo 8 CEDU. Il governo italiano ha riconosciuto la violazione e ha proposto un accordo amichevole, offrendo un risarcimento di 10.000 euro per danni morali e 1.000 euro per le spese legali, come indicato nell'allegato alla sentenza. La Corte ha ritenuto che l'accordo fosse conforme agli standard stabiliti dalla CEDU e, di conseguenza, il caso è stato rimosso dall'elenco della Corte.
Grande Oriente D'Italia c. Italia
Il 19 dicembre 2024, la CtEDU si è pronunciata sul caso Grande Oriente D'Italia c. Italia. Il caso riguardava la presunta violazione dei diritti dell'associazione ricorrente ai sensi degli articoli 8, 11 e 13 CEDU, a seguito di una perquisizione condotta presso la sua sede da una commissione parlamentare d'inchiesta, che aveva portato alla divulgazione dei dati personali di circa 6.000 affiliati. L'associazione, una loggia massonica, era stata oggetto della perquisizione nell’ambito di un'indagine sul presunto coinvolgimento della mafia nelle sue attività. Tra i documenti sequestrati figuravano carte e file digitali, tra cui un elenco con i nomi dei membri e i loro dati personali.
Il ricorrente ha sostenuto che la perquisizione e l'acquisizione del cosiddetto elenco non fossero conformi alla legge. Nella sua valutazione, la Corte europea per i diritti umani ha esaminato l'esistenza di una violazione dell'articolo 8 CEDU, la natura di tale violazione e la fondatezza delle doglianze sollevate.
La CtEDU ha affermato che la condotta contestata non era né "necessaria in una società democratica" né "conforme alla legge", facendo riferimento alle eccezioni previste dallo stesso articolo 8.2 CEDU. Sulla base di ciò, la Corte ha stabilito che non vi erano prove sufficienti a dimostrare il coinvolgimento dell'associazione nella questione oggetto di indagine. Ha inoltre osservato che l'inchiesta della commissione parlamentare era di portata eccessivamente ampia e che i mezzi a disposizione del ricorrente per accedere a una revisione imparziale e indipendente della misura controversa nell'ordinamento giuridico nazionale erano inadeguati.
Inoltre, i ricorrenti hanno sostenuto che erano stati violati anche il diritto alla libertà di associazione, tutelato dall'articolo 11 CEDU, e quello a un ricorso effettivo, sancito dall'articolo 13 CEDU. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che le doglianze relative agli articoli 11 e 13 non fossero determinanti ai fini della decisione, essendo strettamente collegate alla questione principale relativa all'articolo 8. Lo Stato italiano è stato condannato a versare al ricorrente 9.600 euro a titolo di danno non patrimoniale, nonché 5.344 euro per costi e spese sostenuti, oltre a qualsiasi imposta eventualmente applicabile.