Corte europea dei diritti umani

La Corte europea dei diritti umani condanna l'Italia nella causa "Ciccone c. Italia"

Logo Corte europea dei diritti umani

Il 5 giugno 2025, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia nella causa Ciccone contro Italia (ricorso n. 21492/17), ritenendo che l'Italia abbia violato l'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), che garantisce il diritto a un processo equo.

Il ricorrente, un radiologo, era stato accusato di omicidio colposo per non aver diagnosticato una frattura del femore in un paziente ricoverato in ospedale il 9 novembre 2008. Il paziente era stato dimesso lo stesso giorno, ma era stato poi ricoverato in un altro ospedale il 27 novembre e sottoposto a un intervento chirurgico. Il paziente era deceduto il giorno successivo.

Nel corso del procedimento di primo grado dinanzi al Tribunale di Catanzaro sono state presentate le perizie dei consulenti tecnici, che hanno concluso che la causa del decesso poteva essere neurologica o polmonare. Il Tribunale ha riconosciuto l'errore diagnostico, ma non ha riscontrato prove conclusive che potessero stabilire un nesso tra la mancata diagnosi e il decesso del paziente. Il ricorrente è stato assolto.

Successivamente, la procura ha avviato un procedimento di appello per impugnare la precedente sentenza. Dopo una nuova valutazione della perizia medica, la corte d'appello ha concluso che la diagnosi tardiva aveva probabilmente contribuito allo sviluppo della patologia polmonare (una possibile causa del decesso). Dopo la sentenza, il ricorrente ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo che la corte d'appello non aveva riesaminato i periti presentati durante il primo processo. La Corte ha respinto il ricorso, affermando che la Corte d'appello non aveva l'obbligo di riesaminare i periti e che non era necessaria una nuova udienza.

Utilizzando il metodo consueto di revisione della normativa nazionale applicabile e della giurisprudenza pertinente, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha richiamato diversi principi stabiliti dalla Corte di cassazione italiana, in particolare quello secondo cui il giudice d'appello non può ribaltare un'assoluzione senza riesaminare i testimoni le cui dichiarazioni sono state decisive in primo grado (articolo 603, paragrafo 3-bis, codice di procedura penale italiano).

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha respinto la posizione del governo italiano secondo cui la nuova udienza delle testimonianze si applicava solo ai testimoni e non agli esperti. La Corte ha sottolineato che il termine «testimone» ai sensi dell'articolo 6 della CEDU deve essere interpretato in senso ampio, in modo da includere anche i periti, in particolare quando le dichiarazioni orali spiegano o integrano le perizie scritte. Poiché le testimonianze dei periti erano determinanti per l'assoluzione del ricorrente e non costituivano una semplice ripetizione delle prove scritte, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha concluso che l'Italia aveva violato l'articolo 6 della Convenzione.

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto che la constatazione di una violazione costituisse di per sé una riparazione equa e ha condannato lo Stato convenuto a versare 5.001,17 euro a titolo di spese e costi.

Questa sentenza sottolinea l'importanza dell'equità procedurale nei ricorsi penali, con particolare attenzione ai casi in cui viene ribaltata un'assoluzione. Inoltre, la Corte europea dei diritti dell'uomo sottolinea la necessità di un'interpretazione ampia del termine “testimone” da parte degli Stati membri.

Annuario

2025

Collegamenti

Strumenti internazionali

Parole chiave

Corte europea dei diritti umani Convenzione Europea dei Diritti Umani giusto processo Italia