Corte europea dei diritti umani

Articoli 2 e 3 della CEDU: garantire la vita e la dignità nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani nel 2023

Nel 2023, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CtEDU) ha esaminato numerosi casi contro l'Italia riguardanti violazione degli articoli 2 e 3 CEDU, trattando di mancanza di assistenza medica per i detenuti, pessime condizioni di detenzione per i migranti, espulsioni collettive e protezione dei gruppi vulnerabili.
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Sommario

  • J.A. e altri c. Italia
  • M.A. c. Italia
  • Ainis e altri c. Italia
  • A.E. e altri c. Italia
  • W.A. e altri c. Italia

Gli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU) sono garanzie fondamentali per la protezione della vita e della dignità umana. L'articolo 2 sancisce il diritto alla vita e obbliga gli Stati a prendere misure per prevenire la perdita di vita, in particolare per gli individui sotto il loro controllo. L'articolo 3 proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, stabilendo uno standard assoluto di protezione contro i maltrattamenti. Sebbene questi articoli differiscano per ambito, sono strettamente interconnessi, poiché i maltrattamenti che non comportano la morte possono rientrare nell'articolo 3, mentre le mancanze sistematiche nella protezione della vita, compreso nel contesto della detenzione, possono costituire una violazione dell'articolo 2.

Nel 2023, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CtEDU) ha esaminato numerosi casi contro l'Italia riguardanti la mancanza di assistenza medica per i detenuti, pessime condizioni di detenzione per le persone migranti, espulsioni collettive e protezione dei gruppi vulnerabili.

J.A. e altri c. Italia

Il 30 marzo 2023, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CtEDU) ha emesso una sentenza sul caso J.A. e altri c. Italia. Il caso riguardava quattro cittadini tunisini che erano stati portati all'hotspot di Lampedusa dopo essere stati salvati da una nave italiana nel Mediterraneo e successivamente rimpatriati in Tunisia. Essi hanno dichiarato di essere stati privati della libertà senza una decisione formale o la possibilità di contestare legalmente la loro situazione, e che il loro diniego differito d'ingresso (respingimento differito) equivalesse a un'espulsione collettiva. La CEDU ha riscontrato violazioni dell'articolo 3, dell'articolo 5 §§ 1, 2 e 4, e dell'articolo 4 del Protocollo n. 4. La Corte ha stabilito che il governo italiano non aveva confutato le affermazioni secondo cui le condizioni nell'hotspot di Lampedusa fossero inadeguate. I ricorrenti erano stati trattenuti in condizioni di sovraffollamento e insalubrità, senza accesso a strutture adeguate o assistenza legale, mettendoli in una situazione di estrema vulnerabilità. 

La Corte ha sottolineato che le condizioni di accoglienza devono rispettare gli standard minimi per garantire il rispetto della dignità umana, in particolare per le persone migranti in difficoltà. La Corte ha inoltre ritenuto che il soggiorno dei ricorrenti nell'hotspot costituisse di fatto una detenzione senza una base legale, in violazione dell'articolo 5. Inoltre, gli ordini di espulsione erano stati emessi senza una valutazione individuale, violando l'articolo 4 del Protocollo n. 4. Poiché i ricorrenti non erano in grado di comprendere o contestare queste decisioni, la Corte ha concluso che l'Italia non aveva rispettato i suoi obblighi, in particolare ai sensi dell'articolo 3, esponendoli a condizioni degradanti incompatibili con gli standard dei diritti umani.

M.A. c. Italia

Il 31 agosto 2023 la CtEDU ha emesso la sua decisione sul caso M.A. c. Italia. Il caso riguarda la sistemazione di una minore migrante non accompagnata, presunta vittima di abusi sessuali, nel centro di accoglienza per adulti "Osvaldo Cappelletti" di Como per quasi otto mesi. La ragazza ha sostenuto che la sua sistemazione non ha tenuto conto della sua vulnerabilità, esponendola a condizioni inadeguate e prive di servizi essenziali. Basandosi sull'articolo 3 della CEDU, la donna ha sostenuto che le condizioni materiali del centro, come il sovraffollamento, le scarse condizioni igieniche e l'inadeguatezza dei servizi, costituivano un trattamento inumano e degradante. Tuttavia, la CtEDU ha ritenuto questa parte della denuncia non provata e l'ha dichiarata inamissibile.

La Corte ha invece ritenuto ammissibile il suo reclamo relativo alla prolungata permanenza in una struttura per adulti nonostante la sua condizione di minorenne e di vittima di violenze sessuali. Una valutazione psicologica di Medici Senza Frontiere ha confermato che tale collocazione costituiva un serio rischio per il suo fragile stato psicologico, in quanto il centro era privo di servizi di supporto su misura. Il governo italiano ha sostenuto che tale valutazione non era stata formalmente notificata alle autorità. Ciononostante, la Corte ha riscontrato all'unanimità una violazione dell'articolo 3, ritenendo che l'alloggio della ricorrente non fornisse la protezione necessaria, esponendola a ulteriori disagi e potenziali danni.  

Di conseguenza, la CtEDU ha condannato l'Italia a pagare alla ricorrente 6.000 euro di danni non pecuniari e 4.000 euro per costi e spese, con interessi di mora. La Corte ha ritenuto superfluo esaminare i reclami ai sensi degli articoli 8 e 13 e ha respinto il resto delle richieste della ricorrente. 

La sentenza ribadisce l'obbligo dello Stato di garantire che le condizioni di accoglienza dei minori non accompagnati, in particolare di quelli con una storia di abusi alle spalle, siano conformi all'articolo 3 e non li sottopongano a ulteriori danni psicologici.

Ainis e altri c. Italia
Il 14 settembre 2023, la CtEDU ha emesso la sua sentenza nel caso Ainis e altri c. Italia, relativo alla morte di C.C. per overdose di sostanze stupefacenti mentre era in custodia della polizia. I ricorrenti, ovvero il partner, la figlia e la madre di C.C., hanno sostenuto che le autorità non avessero fornito assistenza medica adeguata, effettuato una perquisizione corretta e garantito una sorveglianza sufficiente, in violazione degli obblighi positivi dell'Italia ai sensi dell'articolo 2 CEDU. 

Con sei voti favorevoli e uno contrario, la CtEDU ha constatato una violazione dell'articolo 2, ritenendo che le autorità non avessero adottato misure ragionevoli per proteggere la vita di C.C. La Corte ha evidenziato la mancata assistenza medica, il mancato controllo delle droghe all'arrivo di C.C. presso la stazione di polizia e la sorveglianza insufficiente durante la sua detenzione. L'Italia è stata condannata a pagare ai ricorrenti €30.000 complessivi per danni non patrimoniali e €10.000 per costi e spese. Il giudice Bošnjak ha espresso un parere dissenziente, ritenendo che non fosse stata commessa alcuna violazione dell'articolo 2. Il giudice osserva che i tribunali nazionali avevano ritenuto che non fosse necessario un intervento medico, che C.C. fosse stato perquisito, ma avesse nascosto la droga e che non vi fosse obbligo, secondo la legge nazionale, di effettuare una perquisizione più invasiva. Inoltre, dubita del nesso causale tra le omissioni contestate e la morte di C.C., ritenendo che la Corte non avesse dimostrato adeguatamente che le presunte carenze delle autorità avessero contribuito in modo diretto all’esito fatale. La Corte ha respinto all’unanimità il resto delle richieste dei ricorrenti. 

Questo giudizio rafforza il principio fondamentale secondo cui gli Stati hanno il dovere di tutelare il diritto alla vita ai sensi dell'articolo 2, in particolare in contesti di custodia, dove gli individui sono sotto il completo controllo delle autorità. Sottolinea l’obbligo di attuare misure di protezione efficaci per prevenire rischi prevedibili, assicurando che le pratiche delle forze dell'ordine siano conformi agli standard dei diritti umani.

A.E. e altri contro Italia e W.A. e altri contro Italia

Il 16 novembre 2023 la CtEDU ha emesso sentenze in due casi riguardanti il trattamento di cittadini sudanesi da parte delle autorità italiane: A.E. e altri c. Italia W.A. e altri c. Italia. Entrambi i casi riguardavano accuse di violazione dei diritti umani nei confronti di persone migranti sudanesi, ma la Corte è giunta a conclusioni diverse.

In A.E. e altri c. Italia, i ricorrenti hanno contestato la loro detenzione illegale e il tentativo di allontanamento da parte delle autorità italiane, citando violazioni degli articoli 3, 5 §§ 1, 2, 3 e 4, nonché degli articoli 8 e 13 della CEDU. 

La Corte ha rilevato che i ricorrenti erano stati sottoposti a trattamenti degradanti, in particolare durante l'arresto e il trasferimento. Ha evidenziato che la svestizione forzata dei ricorrenti durante l'arresto non aveva alcuna giustificazione convincente e costituiva una violazione dell'articolo 3. Inoltre, l'inadeguatezza del trattamento non è stata giustificata. La fornitura inadeguata di cibo e acqua, il caldo estremo e la mancanza di informazioni sul loro trasferimento hanno causato ulteriore disagio, rafforzando la constatazione di trattamento degradante. Inoltre, la seconda ricorrente è stata sottoposta a violenza fisica durante un tentativo di allontanamento, il che rappresenta un'ulteriore violazione dell'articolo 3. La Corte ha anche stabilito che la detenzione del secondo, terzo e quarto ricorrente fosse illegale ai sensi dell'articolo 5 §§ 1, 2 e 4. La Corte ha unanimemente riscontrato violazioni dell'articolo 3 (trattamenti degradanti durante l'arresto e il trasferimento, e maltrattamenti del secondo ricorrente) e dell'articolo 5 §§ 1, 2 e 4 (detenzione illegale del secondo, terzo e quarto ricorrente). Ha assegnato un indennizzo per danno non patrimoniale pari a 8.000 € al primo ricorrente, 10.000 € al secondo ricorrente e 9.000 € ciascuno al terzo e quarto ricorrente, oltre a 4.000 € per costi e spese. Il resto delle richieste di equo indennizzo dei ricorrenti è stato respinto.

Al contrario, nel caso W.A. e altri c. Italia, i ricorrenti sostenevano di essere vittime di un'espulsione collettiva in violazione dell'articolo 4 del Protocollo n. 4 e che il loro rimpatrio forzato in Sudan li avesse esposti a trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell'articolo 3. Il caso è derivato dal rimpatrio di quaranta cittadini sudanesi da Torino a Khartoum il 24 agosto 2016. Le autorità italiane contestavano la stessa identità dei ricorrenti e sostenevano dubbi sul fatto che non fossero mai entrati nel territorio italiano, sottolineando inoltre il fatto che almeno uno di loro aveva espressamente rifiutato di chiedere asilo. Il Giudice di Pace di Imperia aveva convalidato l'ordine di espulsione, citando il Memorandum di intesa tra Italia e Sudan (volto a facilitare le operazioni di rimpatrio) e la presunta mancanza di intenzione dei ricorrenti di chiedere protezione. I ricorrenti sostenevano di essere stati espulsi senza valutazioni individuali, assistenza legale e accesso a organizzazioni per i diritti umani, nonostante avessero espresso timori di persecuzione a causa della loro etnia darfuriana. 

La CtEDU ha infine ritenuto che non ci fosse violazione dell'articolo 3, poiché i ricorrenti non avevano fornito prove sufficienti per sostenere il rischio di maltrattamenti a seguito del rimpatrio. Queste sentenze evidenziano l'approccio differenziato della CEDU nei casi di violazioni dei diritti umani legati alla migrazione, riconoscendo trattamenti degradanti e detenzione illegale nel caso A.E. e altri c. Italia, mentre ha respinto il ricorso per timore di maltrattamenti come conseguenza del rimpatrio nel caso W.A. e altri c. Italia a causa di prove insufficienti.

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