Corte Europea dei Diritti dell'Uomo: sentenza sulla gestione italiana di un caso di violenza domestica nel 2025

Sommario
- Cronologia degli episodi di violenza e delle carenze sistemiche
- Procedimenti giudiziari
- Contesto giuridico e istituzionale: un sistema in fase di riforma
- Presunta violazione dell'articolo 3 della Convenzione
Cronologia degli episodi di violenza e delle carenze sistemiche
La domanda riguarda gli articoli 3 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) nel contesto della violenza di genere e delle molestie. Secondo la denuncia, la sig.ra P.P. ha subito gravi abusi emotivi e fisici per diversi anni. Ha segnalato tre episodi gravi, tra cui l'aggressione fisica e la caduta da una bicicletta nel marzo 2008, il trascinamento con la forza in auto nell'ottobre 2008, che le ha causato lesioni fisiche visibili e uno shock, e un'altra aggressione nel novembre 2008, in cui A.B. l'ha aggredita pubblicamente afferrandola per i capelli. A questi episodi si sono aggiunte continue molestie, quali stalking, messaggi eccessivi (oltre 2.500), sorveglianza e controllo coercitivo.
Nonostante la denuncia penale presentata nel dicembre 2009 e la presentazione di prove dettagliate e testimoni, le autorità di polizia e giudiziarie hanno adottato misure immediate minime. In particolare, il pubblico ministero non ha nemmeno interrogato la ricorrente e non sono state raccolte prove sostanziali, quali tabulati telefonici o messaggi. L'indagine è stata registrata solo nel marzo 2010. La ricorrente ha lamentato l'inefficacia dell'indagine penale e il mancato rispetto delle garanzie procedurali. Poiché i reati erano stati dichiarati prescritti, le autorità non avevano agito con la necessaria tempestività e diligenza.
Solo nel maggio 2013, più di tre anni dopo la denuncia dei fatti, il pubblico ministero ha rinviato a giudizio A.B. ai sensi dell'articolo 612 bis del codice penale italiano, che disciplina le molestie. È importante sottolineare che, poiché tale disposizione è entrata in vigore solo nel febbraio 2009, i reati precedenti non potevano essere qualificati giuridicamente come molestie.
Procedimento giudiziario
Il processo penale nazionale, iniziato nel novembre 2013, si è concluso nel gennaio 2016 con la sentenza del Tribunale di Pisa che ha assolto A.B. Il tribunale ha motivato in modo controverso che il rapporto tra la ricorrente e A.B. era stato «tossico e tormentato», affermando che il continuo contatto della ricorrente con A.B. indeboliva la sua denuncia di molestie prolungate. Ha concluso che gli elementi psicologici del reato non erano stati provati.
Nel 2017, in appello, la Corte d'appello di Firenze ha parzialmente confermato l'assoluzione, invocando la prescrizione. Ha stabilito che solo gli atti commessi dopo il febbraio 2009 erano perseguibili e che anche quelli erano ormai prescritti. Tuttavia, il tribunale ha riconosciuto la responsabilità di A.B. di risarcire la ricorrente, trasferendo la questione al tribunale civile.
Nel 2019, quasi un decennio dopo la denuncia iniziale, la Corte Suprema ha ribadito la prescrizione e ha rinviato la decisione sulla responsabilità civile al tribunale di grado inferiore affinché motivasse adeguatamente la propria decisione. Ciò ha portato a un'azione civile separata intentata dalla sig.ra P.P. nel 2019, con cui chiedeva il risarcimento dei danni psicologici e finanziari, del mancato guadagno, delle spese mediche e del danno alla sua dignità e ai suoi dati personali.
Con sentenza del 2024, la Corte d'Appello Civile di Firenze le ha riconosciuto un risarcimento di 268.403,26 euro. Il tribunale ha riconosciuto che il comportamento di A.B. aveva causato un danno psicologico sia temporaneo che permanente a causa delle continue intimidazioni e degli abusi emotivi. Tuttavia, questa sentenza non è definitiva ed è ancora soggetta a ricorso.
Contesto giuridico e istituzionale: un sistema in fase di riforma
Al centro del caso vi è una critica più ampia del quadro giuridico italiano in materia di violenza domestica. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha fatto riferimento a precedenti sentenze (ad esempio, Landi c. Italia, M.S. c. Italia - cfr. argomento nell'Annuario 2022) e ha preso atto degli sforzi legislativi compiuti dal 2021 per riformare l'approccio italiano ai termini di prescrizione nei procedimenti penali, in particolare quelli relativi a reati gravi come la violenza domestica.
Tra le modifiche principali figurano le proposte di estendere i termini di prescrizione dopo le condanne in primo grado, l'inclusione dei reati “codice rosso” nell'elenco dei reati soggetti a termini di prescrizione più lunghi e l'inasprimento delle pene per i reati commessi nel contesto della violenza domestica.
A livello internazionale, la Convenzione di Istanbul, in vigore in Italia dall'agosto 2014, impone di indagare e perseguire in modo tempestivo e adeguato i casi di violenza domestica. Nella sua valutazione, la Corte ha sottolineato che i rimedi civili, pur fornendo un risarcimento finanziario, non sostituiscono l'obbligo dello Stato di perseguire efficacemente e prevenire l'impunità in caso di gravi violazioni dei diritti umani come la violenza domestica.
Presunta violazione dell'articolo 3 della Convenzione
La ricorrente lamentava che le autorità non avessero condotto un'indagine penale efficace e tempestiva sulle accuse di violenza domestica nei confronti del suo ex partner. Essa sosteneva che il ritardo aveva comportato la prescrizione dei reati e l'impunità del suo ex partner, costituendo una violazione degli obblighi procedurali di cui all'articolo 3 della CEDU. Sebbene l'Italia possa sostenere che alla fine è stato concesso un risarcimento civile, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sottolineato che tali rimedi non esonerano lo Stato dagli obblighi procedurali previsti dall'articolo 3. Il governo ha affermato che i rimedi interni non erano stati esauriti, ma la Corte ha ritenuto che il procedimento civile non potesse sostituire la necessità di un'indagine penale adeguata. Pertanto, la Corte ha dichiarato la domanda ricevibile.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha riconosciuto le conseguenze fisiche e psicologiche della violenza subita dalla sig.ra P.P. Facendo riferimento a casi analoghi, la Corte ha chiaramente affermato che la violenza domestica può comprendere anche molestie, minacce e il timore di ulteriori aggressioni. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha valutato la situazione tenendo conto del caso M.S. c. Italia (cfr. Annuario 2022). In circostanze analoghe, è molto importante che i tribunali nazionali intervengano il più rapidamente possibile. Le autorità italiane non hanno agito tempestivamente nel caso della sig.ra P.P. Ci sono voluti sei anni per emettere la sentenza di primo grado. Dopo un anno, A.B. è stato assolto per i fatti commessi prima del febbraio 2009 e i reati presumibilmente commessi dopo tale data sono caduti in prescrizione.
Tutto ciò rivela una mancanza di volontà da parte delle autorità statali di ritenere l'autore del reato responsabile delle sue azioni. Le autorità italiane non hanno agito con sufficiente tempestività e ragionevole diligenza, omettendo di fornire una risposta proporzionata in questa grave materia. La Corte europea dei diritti dell'uomo è molto chiara sui doveri dello Stato di prevenire tali azioni. La Corte sottolinea che uno Stato deve organizzare il proprio sistema giudiziario in modo da poter adempiere agli obblighi che gli incombono ai sensi dell'articolo 3 CEDU e non tollerare atti di violenza. Tenuto conto di ciò, la Corte ha concluso che vi è stata una violazione dell'articolo 3 CEDU sotto il profilo procedurale.
La ricorrente ha inoltre chiesto il risarcimento del danno morale subito. Poiché la sig.ra P.P. non ha ancora ricevuto alcuna somma, la Corte ha deciso di condannare lo Stato a versarle 10.000 euro, da pagare entro tre mesi dalla sentenza definitiva.