Corte europea dei diritti umani: causa Sy c. Italia relativa alla detenzione inumana e illegale di una persona affetta da disturbi mentali - Articoli 3 e 5 CEDU

La Corte europea dei diritti umani si è pronunciata sul caso Sy c. Italia (n. 11791/20, sentenza del 24 gennaio 2022), relativo alla violazione degli articoli 3, 5 e 6 della CEDU, per mancata esecuzione delle decisioni dei tribunali penali e mancato collocamento di un autore di reato affetto da disturbi mentali in una struttura adeguata.
Nel 2017, il ricorrente, Giacomo Seydou Sy, è stato arrestato per stalking nei confronti della sua ex compagna e per resistenza a pubblico ufficiale. Una perizia psichiatrica ha accertato l'infermità mentale dovuta a grave patologia psichica. Il tribunale lo ha assolto e ha disposto il suo collocamento in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) a causa della sua pericolosità sociale. Tuttavia, la decisione non è stata eseguita per mancanza di posti disponibili. Nel 2018, il sig. Sy è stato arrestato per furto e condannato a una pena detentiva di breve durata, nonostante lo psichiatra avesse dichiarato che aveva bisogno di cure e non di detenzione. Dopo aver tentato il suicidio, il ricorrente è stato assegnato al reparto psichiatrico del carcere, in attesa che si liberasse un posto in una REMS. Nel maggio 2020, sulla base di una perizia psichiatrica che attestava i suoi miglioramenti, Sy è stato trasferito in una comunità terapeutica da cui è fuggito il giorno successivo. Infine, nel mese di luglio, è stato trovato un posto in una REMS. Nell'aprile 2020, Sy ha presentato ricorso alla Corte europea dei diritti umani contro l'Italia, lamentando la violazione dell'articolo 3 (trattamento inumano e degradante e detenzione in un carcere ordinario di una persona affetta da disturbo bipolare senza una strategia terapeutica globale), articolo 5, paragrafo 1, lettera a) (incapacità del ricorrente, al momento dell'esecuzione della pena, di comprendere lo scopo di reinserimento sociale della pena e di beneficiarne), articolo 5, paragrafo 1, lettera e) (mantenimento della detenzione ordinaria nonostante il tribunale avesse ordinato il suo collocamento in un istituto adeguato) e articolo 5, paragrafo 5 (assenza di mezzi per ottenere un risarcimento con un grado di certezza sufficiente) della CEDU.
Il ricorrente ha inoltre sostenuto che l'Italia ha violato l'articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, non ottemperando alla sentenza del tribunale di rilasciare il ricorrente e di collocarlo in un istituto adeguato. Inoltre, il ricorrente ha chiesto alla Corte europea dei diritti umani di emettere una richiesta di misure preliminari, ovvero di collocare il sig. Sy in una struttura terapeutica o in un REMS. La Corte europea dei diritti umani, sulla base dell'articolo 39 del regolamento della Corte, ha emesso tale richiesta. Il trasferimento è avvenuto solo il 12 maggio 2020 (e non ha avuto esito positivo).
L'Italia ha sostenuto che Sy non aveva esaurito tutti i rimedi interni perché non aveva contestato la legittimità della sua detenzione continuata.
La Corte europea dei diritti umani ha respinto questa obiezione, ritenendo che lo Stato fosse tenuto a garantire l'esecuzione di una decisione del tribunale senza richiedere ulteriori azioni da parte del ricorrente. L'Italia ha inoltre sostenuto che la domanda era tardiva perché presentata più di sei mesi dopo la decisione del maggio 2019 che ordinava il rilascio. La Corte europea dei diritti umani ha ritenuto che, sebbene il ricorso non potesse applicarsi al primo periodo di detenzione (dal 2 luglio al 22 novembre 2018), la domanda era ricevibile per il secondo periodo, dal 2 dicembre 2018 al 12 maggio 2020.
Nel merito, la Corte ha constatato una violazione dell'articolo 3 della CEDU. È stato accertato che il ricorrente soffriva di un grave disturbo psicosociale e che le cure mediche fornite in carcere erano inadeguate, in quanto il trattamento si concentrava solo sui sintomi senza una strategia terapeutica globale. Tali condizioni hanno aggravato lo stato di salute mentale del ricorrente. La Corte ha ritenuto che tali circostanze costituissero un trattamento inumano e degradante, in violazione dell'articolo 3 della CEDU.
La Corte ha ritenuto che la detenzione in un carcere ordinario dal 21 maggio 2019 al 12 maggio 2020 costituisse una violazione dell'articolo 5, paragrafo 1, lettera e), della CEDU, a causa della mancata esecuzione della decisione del tribunale di trasferire il ricorrente al REMS o in un altro istituto terapeutico adeguato. La Corte europea dei diritti umani ha ritenuto che l'Italia non avesse adottato misure sufficienti per porre rimedio alla situazione e che la mancanza di posti disponibili nel REMS non giustificasse la detenzione prolungata in condizioni prive di finalità terapeutica, incompatibile con la CEDU. La Corte europea dei diritti umani ha inoltre riscontrato una violazione dell'articolo 5, paragrafo 5, della CEDU (diritto al risarcimento per detenzione illegittima). Il ricorrente lamenta che l'articolo 2043 del codice civile italiano non offre una via praticabile per chiedere un risarcimento nel suo caso, in quanto pone l'onere della prova interamente a carico del ricorrente. La Corte europea dei diritti umani ha concordato con il ricorrente e ha ritenuto che un meccanismo di risarcimento basato sull'articolo 2043 sia inefficace, in particolare alla luce della violazione dell'articolo 5, paragrafo 1, della CEDU.
È stata inoltre constatata una violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, a causa della mancata esecuzione da parte dell'Italia della sentenza definitiva della Corte d'appello di Roma del 20 maggio 2019, che aveva ordinato il rilascio del ricorrente. Ciononostante, il ricorrente è rimasto in custodia cautelare in un carcere ordinario.
Per quanto riguarda la presunta violazione dell'articolo 13 della CEDU in combinato disposto con gli articoli 3 e 5, paragrafo 1, della CEDU, la Corte europea dei diritti umani non l'ha esaminata separatamente, avendo già accertato una violazione dei diritti fondamentali alla base di tali ricorsi.
Infine, la Corte europea dei diritti umani ha anche constatato una violazione dell'articolo 34 della CEDU a causa del ritardo di 35 giorni dell'Italia nell'attuazione della misura provvisoria da essa richiesta.
Sebbene l'Italia abbia invocato la mancanza di posti disponibili nei REMS e le misure di lockdown dovute al COVID-19, la Corte europea dei diritti umani ha ritenuto che l'Italia non avesse adottato misure adeguate per dare esecuzione alla misura provvisoria e non avesse giustificato il ritardo, considerando anche che un ordine di trasferimento del ricorrente in un REMS era pendente dal gennaio 2019.
Per quanto riguarda il risarcimento, il ricorrente ha chiesto 129.187,74 euro a titolo di danno morale, ma la Corte europea dei diritti umani ha concesso 36.400 euro, oltre a 10.000 euro a titolo di imposte, spese e costi.