Corte europea dei diritti umani

Corte europea dei diritti umani: sentenze contro l'Italia relative alla durata eccessiva dei procedimenti giudiziari - Articolo 6 CEDU

Nel 2022, la Corte europea dei diritti umani si è pronunciata su due casi di violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo in Italia. L'articolo 6 garantisce il diritto a un processo equo dinanzi a un tribunale indipendente e imparziale entro un termine ragionevole. In questi casi, i ritardi eccessivi dei procedimenti giudiziari hanno compromesso tale diritto.
Corte Europea dei Diritti Umani, udienza solenne, 31 gennaio 2025
© Council of Europe

Sommario

  • Verrascina e altri c. Italia (28/04/2022)
  • Tremigliozzi e Mazzeo c. Italia (21/07/2022)

Verrascina e altri c. Italia

Nella causa Verrascina e altri (ricorsi nn. 15566/13 e altri cinque, sentenza del 28 aprile 2022), la Corte europea dei diritti umani ha statuito sui ricorsi relativi alla durata eccessiva di procedimenti giudiziari che si sono protratti per un periodo compreso tra nove e ventiquattro anni, violando il diritto a un processo equo sancito dall'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU).

Nel 2012, l'articolo 4 della “legge Pinto” è stato modificato, stabilendo che un ricorso per eccessiva lunghezza di un procedimento poteva essere presentato dinanzi a un tribunale italiano solo al termine del procedimento contestato. Nel 2018, la Corte costituzionale italiana ha dichiarato incostituzionale tale disposizione. Il governo italiano ha quindi sostenuto che i ricorrenti non avevano esaurito tutti i rimedi interni, poiché avevano la possibilità di presentare una domanda di risarcimento nell'ambito del sistema italiano. I loro ricorsi alla Corte europea dei diritti umani dovevano pertanto essere respinti in quanto irricevibili.

La Corte europea dei diritti umani ha osservato che il ricorso per la durata eccessiva di un procedimento giudiziario deve essere accessibile ed efficace. Indipendentemente dalla norma italiana applicabile al momento della presentazione della domanda, i casi in esame sono stati decisi con ritardi compresi tra 9 e 24 anni. Il ricorso previsto dalla legislazione italiana deve essere non solo disponibile, ma anche efficace, cosa che non era il caso dei ricorrenti nella fattispecie. Pertanto, la Corte europea dei diritti umani ha concluso che vi era stata una violazione degli articoli 6, paragrafo 1, e 13 della CEDU.

Per quanto riguarda il danno materiale, la Corte europea dei diritti umani respinge alcune richieste dei ricorrenti per mancata prova del nesso di causalità. Tuttavia, la Corte europea dei diritti umani ha concesso un risarcimento non pecuniario di 22 000 EUR per la domanda n. 15566/13; 11.000 EUR per la domanda n. 4030/14; 20.000 EUR per la domanda n. 177336/14; 17.000 EUR per la domanda n. 10767/15; 18.200 EUR per la domanda n. 21564/15. Lo Stato dovrà inoltre coprire le spese processuali per un importo di 3.000 euro per la domanda n.15566/13.

Tremigliozzi e Mazzeo contro Italia

Nel caso Tremigliozzi e Mazzeo c. Italia (24816/03, sentenza del 21 luglio 2022), i ricorrenti hanno denunciato una violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, della CEDU per eccessiva durata del procedimento civile. A seguito del decesso della sig.ra Tremigliozzi, la sua erede, la sig.ra Giuseppina Cimino, ha manifestato l'intenzione di proseguire il ricorso. La Corte ha accolto la sua richiesta, rilevando che il governo italiano non aveva sollevato obiezioni alla sua legittimazione nel procedimento in corso.

I ricorrenti hanno sostenuto che il procedimento civile, avviato il 18 febbraio 1995 dinanzi al Tribunale di Benevento, era durato irragionevolmente a lungo, violando il loro diritto a una decisione entro un termine ragionevole. Hanno inoltre criticato l'inadeguatezza del risarcimento precedentemente concesso dalla Corte d'appello di Roma in un procedimento ai sensi della legge Pinto (legge n. 89/2001).

In risposta, il governo ha sostenuto che i ricorrenti non avevano impugnato l'importo di tale risarcimento entro sei mesi dalla data della sentenza definitiva del 30 luglio 2003 e non avevano quindi soddisfatto i requisiti di ammissibilità.

La Corte ha respinto l'eccezione del governo, ritenendo che le osservazioni dei ricorrenti sul risarcimento Pinto non costituissero ricorsi separati, ma piuttosto parte della loro argomentazione più ampia relativa ai ritardi eccessivi. La Corte EDU ha limitato il suo esame al periodo del procedimento fino al 10 aprile 2003, data in cui la Corte d'appello ha emesso la sentenza Pinto, poiché i ricorrenti non avevano presentato ulteriori ricorsi in merito al ritardo successivo. Riferendosi ai criteri consolidati per valutare la durata ragionevole di un procedimento civile, quali la complessità del caso, il comportamento delle parti e la posta in gioco, e citando la sua giurisprudenza precedente (in particolare la sentenza Cocchiarella c. Italia, sentenza della Grande Camera, 2006), la Corte ha ritenuto che la durata del procedimento fino a quella data fosse eccessiva.

All'unanimità, la Corte ha ritenuto che vi fosse stata una violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. Ha concesso una soddisfazione equa alla sig.ra Cimino, erede del primo ricorrente, e al sig. Mazzeo, secondo ricorrente, per un importo di 3 220 EUR a titolo di risarcimento del danno morale per ciascun ricorrente e di 1 000 EUR a titolo di spese e costi per ciascuna domanda.

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