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La Corte Costituzionale si esprime sul trattenimento nei Centri di Permanenza per i Rimpatri

Con la sentenza n° 96 del 3 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale relative all’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo n. 286 del 1998 in merito alla disciplina dei “modi” del trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). Tuttavia, la Corte ha sollecitato il legislatore a colmare una grave lacuna normativa, sottolineando l’inadeguatezza della regolamentazione attuale nel garantire il rispetto della riserva assoluta di legge prevista dall’articolo 13 della Costituzione nei casi di privazione della libertà personale.
Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale
© pubblico dominio

Sommario

  • Introduzione
  • Centri di Permanenza per i Rimpatri in Italia: Istituzione e funzionamento
  • La sentenza n° 96 del 3 luglio 2025 della Corte Costituzionale
  • C.P.R., preoccupazioni crescenti

Introduzione

La Corte Costituzionale con sentenza n° 96 del 3 luglio 2025 dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale relative all’14, comma 2, del decreto legislativo n° 286 del 1998 (c. d. Testo Unico sull’Immigrazione) sollevate in riferimento agli articoli 13, comma 2, 117, comma 1 e agli articoli 2310, comma 2, 2425, comma 1, 32 111, comma 1 della Costituzione Italiana. Sebbene le questioni di legittimità costituzionali siano state dichiarate inammissibili, la Consulta ha ritenuto che la normativa vigente relativa al trattenimento nei centri di permanenza fosse in violazione della riserva di legge assoluta in materia di libertà personale prescritta dall’articolo 13 della Costituzione e ha sollecitato il legislatore a integrarla. 

La sentenza della Corte Costituzionale porta all’attenzione la situazione delle persone detenute nei CPR in Italia. Inoltre i giudici costituzionali hanno ritenuto l’attuale normativa insufficiente a disciplinare la restrizione della libertà personale delle persone colpite da un provvedimento di espulsione, sebbene la norma non possa essere giudicata viziata da illegittimità costituzionale.

Centri di Permanenza e Rimpatrio in Italia: Istituzione e funzionamento

La sentenza n° 96 si situa nell’ambito dell’evoluzione normativa sull'istituzione e funzionamento ai CPR, sottolineando la presenza di una lacuna nella regolamentazione dei “modi” di detenzione all’interno dei Centri.

Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono delle strutture di detenzione amministrativa in cui sono trattenute persone soggette a un provvedimento di espulsione o respingimento in quanto non in possesso dei regolari permessi necessari per rimanere sul suolo italiano. I CPR attualmente in funzione in Italia sono dieci e sono distribuiti lungo tutta la penisola:

  • Bari Palese (Puglia)
  • Brindisi, Restinco (Puglia)
  • Caltanissetta, Pian del Lago (Sicilia)
  • Gorizia, Gradisca d’Isonzo (Friuli Venezia Giulia)
  • Macomer, Nuoro (Sardegna)
  • Via Corelli, Milano (Lombardia)
  • Palazzo San Gervasio, Potenza (Basilicata)
  • Ponte Galeria, Roma (Lazio)
  • Corso Brunelleschi, Torino (Piemonte)
  • Milo, Trapani (Sicilia)

Secondo l’articolo 14 del Testo Unico sull’Immigrazione, nei CPR vengono trattenute le persone entrate in Italia tramite canali irregolari e che non fanno richiesta di protezione internazionale o non ne hanno i requisiti, o che sono presenti sul territorio italiano ma non possiedono un regolare permesso di soggiorno. Il loro trattenimento  nei CPR è funzionale a consentire l’esecuzione del provvedimento di espulsione da parte delle forze dell’ordine. I CPR  sono stati oggetto di numerosi interventi normativi al fine di favorire e snellire le procedure di rimpatrio ed espulsione.

Il trattenimento all’interno del centro più vicino viene disposto dal questore quando non è possibile procedere immediatamente al respingimento e per il tempo necessario all’espulsione. Il provvedimento è convalidato dal Giudice di Pace competente entro le 48 ore successive. Il giudice di pace ha la funzione di verificare la legittimità del provvedimento di restrizione della libertà personale. La gestione dei centri di trattenimento è affidata alle prefetture che, attraverso la pubblicazione di bandi pubblici, affidano l’erogazione di servizi a enti terzi (anche privati). 

I CPR sono stati originariamente istituiti con l’articolo 12 della legge n° 40 del 6 marzo 1998 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, c.d. legge Turco-Napolitano), il quale prevede il trattenimento del cittadino straniero nel centro “quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera” per la necessità di ulteriori accertamenti sull’identità della persona interessata, per acquisire i documenti di viaggio, per prestare cure mediche necessarie, o nell’attesa di un mezzo di trasporto disponibile al fine del rimpatrio. All’epoca dell’istituzione, la durata massima di trattenimento ammontava a venti giorni prorogabili di ulteriori dieci da  parte del giudice (pretore) su richiesta del questore. 

I centri hanno successivamente preso il nome di Centri di Identificazione ed Espulsione con la legge n° 189 del 30 luglio 2002 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo, conosciuta come legge Bossi-Fini), che estendeva la durata del trattenimento da trenta a sessanta giorni. La successiva legge n° 94 del 15 luglio 2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) estendeva ulteriormente il periodo massimo di detenzione da 60 a 180 giorni. 

È con il decreto legge 13 del 17 febbraio 2017 (Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell'immigrazione illegale c.d. decreto Minniti-Orlando) che i centri prendono l’attuale nome di Centri di Permanenza per i Rimpatri e si prevede un aumento del loro numero  e la loro diffusione territoriale.

Sul funzionamento dei CPR intervengono successivi provvedimenti normativi tra cui il decreto legge n° 113 del 4 ottobre 2018 (conosciuto come decreto Salvini, l’allora Ministro degli Interni) e il decreto legge n° 130 del 21 ottobre 2020 (conosciuto come decreto Lamorgese, l’allora Ministra degli Interni) che riduceva il termine di detenzione a 90 giorni, però prorogabili di 30 giorni in 30 giorni fino a un massimo di 180. 
Ad oggi, le ultime modifiche normative applicate ai CPR risalgono al decreto legge n° 20 del 10 marzo 2023 (“Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all'immigrazione irregolare”), che ha aumentato da 30 a 45 i giorni di possibile proroga del trattenimento per le persone cittadine di paesi con cui l’Italia ha sottoscritto accordi in materia di rimpatrio. 

Il giudizio di inammissibilità della Corte Costituzionale

Il 3 luglio 2025 la Corte Costituzionale con la sentenza n° 96 ha giudicato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 2, del Testo Unico sull’Immigrazione, sollevate in riferimento agli articoli 13, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione e agli articoli 2, 3, 10, secondo comma, 24, 25, primo comma, 32 e 111, primo comma della Costituzione.  

La Giudice di pace di Roma, Sezione Stranieri, ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale nell'ambito di un procedimento di convalida del trattenimento di una persona in un CPR  disposto dal questore locale ai sensi della norma sopracitata.  

Secondo la giudice, l’articolo 14, comma 2 del Testo Unico sull’Immigrazione solleva presunti problemi di legittimità costituzionale in quanto i “modi” del trattenimento delle persone recluse nei CPR risultano normati a mezzo di fonti subalterne a quella primaria, mentre l’articolo 13 della Costituzione prescrive che la restrizione della libertà personale debba essere disciplinata tramite una legge. La giudice ritiene, dunque, di non poter procedere alla convalida del trattenimento presso il CPR,  data la “evidente rilevanza” delle questioni di legittimità costituzionale legate all’articolo censurato.

L’ordinanza rimessa alla Corte Costituzionale si suddivide in due parti. La prima ritiene che sussista l’incostituzionalità della norma relativamente all’articolo 13, comma 1 e all’articolo 117 comma 1 della Costituzione, quest’ultimo è da considerare in relazione all’articolo 5 della Convenzione Europea dei Diritti Umani (Diritto alla libertà e alla sicurezza).

Rispettivamente l’articolo 13 della Costituzione prevede al secondo comma che la privazione della libertà personale debba essere disposta da un atto di un’autorità giudiziaria e prevista da una legge. La giudice di Roma ritiene che il comma 2 dell’articolo 14 del Testo Unico sull’Immigrazione non rispetti la riserva di legge assoluta prevista dalla Costituzione, poiché la norma non disciplina in maniera puntuale quali siano i “modi” e le procedure da seguire per la restrizione della libertà personale all’interno dei CPR. Il  Testo  Unico sull’immigrazione, inoltre, non prevede quali siano i diritti e le garanzie di tutela delle persone trattenute, quale sia l’autorità giudiziaria competente sul controllo delle condizioni detentive e quali siano le tutele giurisdizionali delle persone straniere in stato di “detenzione amministrativa”. Infatti, su questi punti, essenziali per la tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute, l’articolo 14, comma 2 del Testo Unico sull’Immigrazione rinvia all’articolo 21, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n° 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n° 286), ovvero a  una fonte  sub-legislativa. 
L’articolo 117.1 della Costituzione dispone che qualsiasi legge italiana deve conformarsi agli obblighi internazionali a cui l’Italia è sottoposta in forza della ratifica di trattati internazionali. In questo caso si riferisce agli obblighi che gravano sull’Italia in relazione all’articolo 5.1 della Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU) (diritto alla libertà e alla sicurezza personale) che, appunto, prevede che una persona può essere privata della libertà personale solo nei casi e modi previsti dalla legge.

Per la seconda parte, la giudice di pace di Roma ritiene che l’articolo 14.2 del Testo Unico sull’Immigrazione sia in contrasto con gli articoli 2, 3, 10, comma 2, 24, 25, comma 1, 32 e 111, comma 1 della Costituzione, in quanto i “modi” di privazione della libertà personale delle persone trattenute nei CPR dovrebbero a suo giudizio essere equiparati  a quelli previsti per la detenzione penale nelle carceri. Invece, il quadro normativo e il sistema di tutele previsto per le persone detenute nei CPR preveda degli standard minimi di tutela dei diritti fondamentali, come il diritto alla salute, il diritto a un rimedio effettivo, inferiori rispetto a quelli dei detenuti nei sistemi penitenziari italiani, sebbene si tratti di situazioni  di privazione della libertà personale del tutto comparabili. 

La giudice, in sintesi, ritiene di non poter procedere alla convalida del trattenimento presso il CPR data l’evidente lacuna nella regolamentazione della detenzione che deve, nel rispetto della Costituzione, essere prevista da una fonte di rango primario, una legge che al momento non c’è, in quanto la norma censurata rimanda a un decreto del Presidente della Repubblica. 

Si sono espresse presso la Corte Costituzionale in qualità di Amici Curiae l’associazione Antigone onlus, l’Accademia di diritto e migrazioni (ADiM), il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio e l’omonimo di Roma Capitale, la Società italiana di medicina delle migrazioni (SIMM), l’associazione Arci APS, la Coalizione italiana libertà e diritti civili (CILD) e l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) APS. Tutte si sono dichiarate a favore di un giudizio di illegittimità costituzionale dell’articolo censurato. In sintesi, le varie realtà hanno espresso preoccupazioni rispetto alle modalità del trattenimento all’interno dei C.P.R delle persone colpite da un provvedimento di espulsione,  in quanto regolate “solo da norme sub-legislative” (ASGI), con ricadute rispetto all’attenzione riservata alla tutela della salute; hanno rilevato discrepanze tra i diritti delle persone private della libertà personale nelle carceri italiane e nei CPR, nonché l’assenza di un giudice ad hoc posto a valutare eventuali violazioni dei diritti fondamentali delle persone trattenute. Tutte sono concordi sulla necessità di rispettare la riserva assoluta di legge prevista dall’articolo 13 della Costituzione, per cui si rivela necessario provvedere a un’apposita normativa di rango primario, ossia una legge che definisca “le modalità di esercizio e tutela, amministrativa e giurisdizionale, dei diritti fondamentali” (Antigone onlus). 

La Corte Costituzionale richiama le norme che disciplinano il trattenimento delle persone in attesa dell’espulsione ossia il censurato articolo 14.2 del Testo Unico sull’Immigrazione e il corrispondente articolo 21.8 del decreto del Presidente della Repubblica n° 394 del 1999. Quest’ultimo quale stabilisce che “le misure strettamente indispensabili per garantire l’incolumità delle persone, nonché quelle occorrenti per disciplinare le modalità di erogazione dei servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale e le modalità di svolgimento delle visite, sono adottate dal prefetto”, attuando le direttive impartite dal Ministero dell’Interno. 
La Corte Costituzionale ritiene che questo  quadro normativo sia complessivamente legittimo, e quindi respinge come inammissibili le questioni di legittimità sollevate.
In altre parole, i giudici costituzionali, trovandosi nella posizione di dover giudicare se le norme portate alla loro attenzione fossero rispettose della Costituzione, hanno ritenuto le questioni inammissibili nel senso in cui non violano la Costituzione per sé.

I giudici della Consulta, infatti, ritengono che sussista il vulnus relativo alla riserva di legge assoluta prevista dall’articolo 13.2 della Costituzione, riconoscendo che i “modi” di restrizione della libertà personale previsti nell’attuale disciplina risultano essere fondati su fonti di rango inferiore rispetto alla legge. Ricordando che la privazione della libertà personale corrisponde a un “assoggettamento fisico all’altrui potere” la legge non deve prevedere solo i casi, ma anche i modi in cui questa può essere ristretta. Dichiara, inoltre, che il citato articolo 21.8 del Decreto del presidente della Repubblica n° 394 del 1999 “non rispetta in alcun modo la riserva assoluta” prevista dall’articolo 13.1 della Costituzione, in quanto viene rimesse a “norme regolamentari e a provvedimenti amministrativi discrezionali” l’intera disciplina sui modi di trattenimento nei CPR. 
La Corte Costituzionale non è in grado, con il proprio giudizio di legittimità costituzionale, di colmare la grave lacuna normativa che si presenta con questo caso. E’ dovere del “legislatore” introdurre una disciplina delle modalità del trattenimento delle persone presenti nei CPR le  che definisca, tra le altre dimensioni, anche quella dei loro diritti fondamentali. 

Inoltre, la Consulta richiama la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani (caso Khlaifia e altri c. Italia) e sottolinea, da una parte, che per garantire la certezza del diritto è “essenziale che le condizioni di privazione della libertà in virtù del diritto interno siano definite chiaramente”, e dall’altra che si preveda la possibilità per i migranti trattenuti di ricorrere all’autorità giudiziaria per attivare un’azione risarcitoria in caso di detenzione irregolare (si veda il recente caso Mansouri c. Italia), in base agli articoli 2043 del codice civile (Risarcimento per fatto illecito)700 del codice di procedura civile e ai parametri di incostituzionalità indicati dalla giudice ricorrente si aggiungono pertanto  quelli degli articoli 24 e 111 della Costituzione.

Infine, la Corte Costituzionale, nell’esortare il legislatore a prevedere una disciplina adeguata per i “modi” di trattenimento delle persone private della libertà personale all’interno dei CPR ricorda la necessità di procedere a una definizione “più immediata ed efficace tutela processuale” predisponendo un chiaro accesso alla tutela giurisdizionale dei propri diritti per le persone detenute. 

CPR: preoccupazioni crescenti

La Corte Costituzionale con la sentenza n° 96 del 3 luglio 2025 si è espressa su una questione molto rilevante nel quadro normativo della gestione degli arrivi delle persone in movimento in Italia. Le questioni di legittimità costituzionale sono state dichiarate inammissibili, perché appunto tra i poteri della Corte non c’è quello di legiferare, prerogativa che in Italia è solo del Parlamento in quanto espressione della volontà popolare. Tuttavia, è chiara l’intenzione di esortare il legislatore a colmare il grave vulnus che al momento rende la detenzione delle persone migranti all’interno dei CPR in contrasto con la costituzione e con la CEDU.

Numerosi rapporti di associazioni e istituzioni indipendenti denunciano le gravi violazioni dei diritti fondamentali che si consumano all’interno dei CPR e lamentano come l’attuale normativa sia inadeguata ad offrire un’effettiva tutela delle persone trattenute.
Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (CPT) ha pubblicato il 13 dicembre 2024, a seguito di una visita ad hoc effettuata nel corso dello stesso anno, un rapporto sul trattamento e sulle condizioni di detenzione dei cittadini stranieri nei CPR di Milano, Gradisca, Potenza e Roma. Nel rapporto il Comitato ha riscontrato gravi criticità rispetto alle garanzie giuridiche a disposizione delle persone trattenute, alla disponibilità di cure mediche (delegate a aziende private), nonché rispetto alla strutture architettoniche e alla trasparenza della gestione dei centri, rilevando come quello dei CPR sia un sistema complessivamente inadeguato a provvedere alle persone trattenute. 
Sebbene non abbia avuto un esito tangibile rispetto al giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 14.2 del Testo Unico sull’Immigrazione, questa sentenza ha un effetto sulle successive decisioni di convalida e dovrebbe  soprattutto stimolare il Parlamento a normare finalmente la materia. La società civile che già da tempo si mobilita contro l’attuale stato di detenzione delle persone in movimento, ha in questa sentenza un ulteriore motivo per esercitare pressione sulle autorità competenti. 

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