Articoli 2 e 3 CEDU: diritto alla vita e divieto di tortura nella giurisprudenza della CtEDU del 2024 - Parte I

Sommario
- Articoli 2 e 3 CEDU e salute mentale e fisica dei detenuti
- A.Z. c. Italia [04/07/2024]
- Libri c. Italia [11/01/2024]
- Pintus c. Italia [01/05/2024]
- Tarricone c. Italia [08/05/2024]
- Giorgio c. Italia [11/04/024]
- Articoli 2 e 3 CEDU e procedure per i rifugiati
- X.H. c. Italia [18/04/2024]
- E.A. c. Italia [25/01/2024]
- Articoli 2 e 3 CEDU e risarcimenti per negligenza medica
- Pericolo c. Italia [15/02/2024]
Articoli 2 e 3 CEDU e salute fisica e mentale dei detenuti
A.Z. c. Italia
Nel caso A.Z. (n. 29926/20, sentenza del 4 luglio 2024), il ricorrente, nato nel 1982 e residente a Bari, lamenta la violazione degli articoli 3, 5 § 1 e 2 CEDU. Il caso riguarda il mantenimento in carcere del ricorrente, nonostante il suo disturbo psichiatrico e i ripetuti tentativi di suicidio.
La Corte ha dichiarato ammissibili i ricorsi e ha riscontrato una violazione dell'articolo 3 CEDU per la detenzione del ricorrente tra luglio 2019 e settembre 2020, ma non dopo settembre 2020. Il ricorso ai sensi dell'articolo 5 § 1 CEDU è stato dichiarato inammissibile, mentre le questioni sollevate ai sensi dell'articolo 2 sono state respinte. L'Italia è stata condannata a pagare 10.000 euro come danni non pecuniari e 8.000 euro per le spese legali.
Libri c. Italia
Nel caso Libri (n. 45097/20 sentenza dell'11 gennaio 2024), il ricorrente, nato nel 1960 e residente a L'Aquila, lamentava che la sua continua detenzione in carcere senza adeguate cure mediche violava l'articolo 3 della CEDU. All'inizio del 2017, il ricorrente era stato condannato per gravi reati, anche di stampo mafioso, all'ergastolo. È stato riconosciuto invalido al 100% e necessitava di riabilitazione ogni giorno. Nonostante le raccomandazioni mediche, ha subito ritardi nel ricevere le cure e i dispositivi medici essenziali. Il tribunale di Roma ha riesaminato le sue condizioni il 3 luglio 2017 e ha stabilito che la sua detenzione era compatibile con la sua salute, pur riconoscendo i ritardi nelle cure. La Corte europea dei diritti umani ha ritenuto che, sebbene le condizioni di salute di Libri non rendessero necessario il suo rilascio, l'inadeguatezza delle cure mediche fornite in carcere violasse l'articolo 3. Poiché il richiedente non ha chiesto un risarcimento, non gli è stata concessa alcuna ricompensa in denaro.
Pintus c. Italia
Nel caso Pintus (n. 35943/18, sentenza del 1° febbraio 2024), il ricorrente, Alessio Pintus, nato nel 1978 e residente a Roma, lamenta la violazione degli articoli 2 e 3 CEDU. Il ricorrente ha continuato a subire la detenzione per circa otto mesi in regime di detenzione ordinaria, nonostante la presunta incompatibilità delle condizioni di detenzione con le sue condizioni di salute mentale.
Il ricorrente è stato rinchiuso nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso (Roma) il 18 ottobre 2017 per scontare una condanna a sei anni di reclusione per violenza sessuale. Prima dell'incarcerazione, una perizia aveva dichiarato che soffriva di problemi psicologici dal 2001 e che, pertanto, doveva essere inserito in un centro terapeutico. Tuttavia, il signor Pintus non mostrava segni di malattie mentali, ha ritirato la sua richiesta di rilascio e alla fine la sua situazione di salute è stata ritenuta compatibile con il regime carcerario. Con il tempo, le condizioni del richiedente sono peggiorate. Tuttavia, il 26 gennaio 2018, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) lo ha informato che non c'erano posti disponibili e che esisteva una lunga lista d'attesa. Il 9 aprile 2018 il ricorrente ha commesso atti di automutilazione. Le sue condizioni sono peggiorate notevolmente e lo psichiatra del carcere ha confermato l'incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime carcerario. Tuttavia, a causa della mancanza di posti nelle strutture per malattie mentali, il richiedente non ha potuto essere liberato. Infine, il 18 giugno 2018, dopo 8 mesi di attesa, il ricorrente è stato collocato in un centro specializzato.
Secondo la Corte europea dei diritti umani, dopo il 9 aprile 2018, quando la salute mentale del richiedente ha iniziato a deteriorarsi, le autorità avrebbero dovuto essere consapevoli del rischio di trattamenti inumani. La Corte ha affermato che l'amministrazione penitenziaria ha adottato misure ragionevoli per monitorare e curare il richiedente, evitando danni gravi. Pertanto, non è stata riscontrata alcuna violazione dell'articolo 2. La Corte ha sottolineato che i detenuti con problemi mentali necessitano di una maggiore protezione e ha concluso che il ritardo nel trasferimento del richiedente dalla prigione alla struttura psichiatrica ha violato l'articolo 3.
Tarricone c. Italia
Nella causa Tarricone c. Italia (sentenza n. 4312/13 del 08/05/2024) il ricorrente, sig. Alfonso Tarricone, è un cittadino italiano nato nel 1963. È stato detenuto a più riprese in diversi istituti penitenziari tra il 1993 e il 2021. Il caso riguarda il protrarsi della detenzione del signor Tarricone nonostante i problemi di salute mentale e l'asserita incapacità di fornirgli cure mediche adeguate.
Il ricorrente è stato sottoposto a una prima detenzione tra il 14 dicembre 1993 e il 28 marzo 2021 in varie carceri. Durante questo periodo, il signor Tarricone è stato visitato più volte da uno psichiatra e ha ricevuto cure, che a volte ha rifiutato di prendere e spesso si è rifiutato di collaborare. Il ricorrente ha sostenuto di non ricevere il necessario supporto psichiatrico e psicologico, lamentando la violazione dell'articolo 3, e ha chiesto la sostituzione della sua detenzione in carcere con gli arresti domiciliari. Dal dicembre 2014 al 28 marzo 2021, secondo le informazioni dei medici, la salute mentale del signor Tarricone ha mostrato un significativo miglioramento. I medici hanno riferito che la malattia mentale del ricorrente poteva essere trattata in carcere e che non era necessario ricorrere agli arresti domiciliari. Il ricorrente ritiene di non aver ricevuto cure adeguate per i suoi disturbi psichiatrici. Il governo italiano ha sostenuto che il ricorrente non ha esaurito le vie di ricorso interne.
La Corte ha ritenuto che le detenzioni multiple del ricorrente fossero eventi separati e non un'unica situazione continuativa. Poiché il reclamo è stato presentato troppo tardi per quanto riguarda i primi tre periodi di detenzione, queste parti del caso sono state dichiarate irricevibili. Tuttavia, la Corte europea dei diritti umani lo ha ritenuto ammissibile per quanto riguarda il periodo di detenzione dal 18 dicembre 2004 al 28 marzo 2021. I tribunali nazionali che si erano pronunciati sulle numerose richieste di arresti domiciliari del ricorrente le avevano tutte respinte sulla base di relazioni sanitarie e progressi clinici che dimostravano che la sua salute mentale era compatibile con la detenzione e che in carcere erano disponibili cure specializzate. La Corte ha infine concordato con i tribunali nazionali e non ha quindi riscontrato alcuna violazione dell'articolo 3 della CEDU.
Giorgio c. Italia
In Giorgio c. Italia (n. 24499/21 sentenza dell'11 aprile 2024) il ricorrente, Giuseppe Giorgio, nato nel 1990, ha lamentato la violazione degli articoli 3 e 8 della CEDU, a causa dell'incompatibilità del suo stato di salute mentale con la detenzione e l'assistenza psichiatrica fornita in carcere.
Il governo italiano ha presentato una dichiarazione unilaterale, riconoscendo le violazioni e offrendo 12.500 euro per danni non patrimoniali e 2.000 euro per costi e spese. Il ricorrente si è opposto, sostenendo che il risarcimento fosse insufficiente e il riconoscimento inadeguato. La Corte, tuttavia, ha ritenuto il riconoscimento e l'offerta di risarcimento del Governo ragionevoli e in linea con precedenti casi analoghi (si vedano, ad esempio, Rooman c. Belgio [GC], no. 18052/11, §§ 144-48, 31 gennaio 2019, e Blokhin c. Russia [GC], no. 47152/06, §§ 135-40, 23 marzo 2016). Ha deciso che l'ulteriore esame del caso non era più giustificato e lo ha eliminato ai sensi dell'articolo 37 § 1 (c) della Convenzione.
Articoli 2 e 3 CEDU e procedure per i rifugiati
X.H. c. Italia
Nel caso X.H. c. Italia (n. 8827/23 sentenza del 18 aprile 2024), la ricorrente è la signora X.H., una cittadina cinese che è entrata in Italia nel 2016 con un visto turistico e ha presentato domanda di asilo, adducendo persecuzioni religiose in Cina. Tuttavia, le autorità italiane hanno respinto le sue richieste. Le autorità italiane hanno ritenuto la sua testimonianza incoerente e poco credibile, in particolare per quanto riguarda la sua conversione alla Chiesa di Dio Onnipotente. La ricorrente ha sostenuto che la sua espulsione avrebbe violato l'articolo 3 della CEDU, che il procedimento interno era stato iniquo (articolo 6) e che non disponeva di un ricorso effettivo (articolo 13).
Pur riconoscendo che i membri della Chiesa subiscono persecuzioni in Cina, la Corte ha ritenuto che la ricorrente non avesse fornito prove sufficienti del suo rischio personale di persecuzione. La Corte ha stabilito che le autorità italiane avevano ragionevolmente messo in dubbio la sua credibilità sulla base di discrepanze nella sua testimonianza. Di conseguenza, la CEDU ha dichiarato all'unanimità il ricorso inammissibile.
E.A. c. Italia
In E.A. c. Italia (n. 34573/22, decisione del 25 gennaio 2024), il richiedente, E.A., cittadino nigeriano residente a Treviso, ha chiesto protezione internazionale in Italia, sostenendo di temere di essere perseguitato a causa della sua omosessualità. La sua domanda è stata respinta dalla Commissione territoriale di Caserta nel 2018, e il Tribunale di Napoli ha confermato questa decisione nel 2020. Il ricorrente ha fatto ricorso in Cassazione, ma il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile nel 2022 a causa di una formalità procedurale - l'assenza di una data di certificazione sulla sua procura. Il ricorrente ha lamentato la violazione dell'articolo 6 della CEDU e dell'articolo 13 in combinato disposto con l'articolo 3 (mancanza di un ricorso effettivo e rischio di trattamento inumano in caso di espulsione).
La Corte ha ritenuto che, secondo la sua giurisprudenza, l'articolo 6, paragrafo 1, non si applica alle procedure di asilo e che le autorità italiane hanno condotto un esame equo e indipendente della richiesta di asilo. Ha stabilito che il richiedente aveva accesso a un ricorso effettivo e che l'articolo 13 non richiedeva un secondo livello di ricorso. Pertanto, la domanda è stata dichiarata inammissibile.
Articoli 2 e 3 e riparazione per negligenza medica
Pericolo c. Italia
Nel caso Pericolo c. Italia (n. 42565/19, sentenza del 15 febbraio 2024), il ricorrente, il signor Alessandro Pericolo, cittadino italiano, ha subito lesioni mortali in un incidente stradale del 1994, che hanno comportato molteplici interventi chirurgici. A causa di una presunta negligenza medica presso gli ospedali di Udine e Latisana, ha sviluppato un'infezione che non è stata prontamente diagnosticata, causando infine l'amputazione di parte della gamba sinistra nel 2008. Nel 2013 il Tribunale di Udine gli ha riconosciuto 1.121.346 euro per il danno causato. Il ricorrente ha sostenuto che il risarcimento era insufficiente e che il procedimento giudiziario, durato 17 anni, ha violato non solo l'articolo 6 della CEDU sull'equa ed efficace risposta giudiziaria, ma anche il suo diritto alla vita ai sensi dell'articolo 2 della CEDU.
La Corte ha ritenuto che i tribunali italiani avessero agito nel rispetto degli standard legali stabiliti e che il risarcimento fosse stato valutato in modo equo e ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile.