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Caso Regeni: la Corte Costituzionale delibera sulla procedibilità in assenza degli imputati

La Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità dell'articolo 420-bis comma 3 del codice di procedura penale, relativo alla possibilità in alcuni casi di procedere in assenza degli imputati, per non estendere tale eccezione ai processi per il delitto di tortura. L’occasione è stata il processo ai quattro agenti della National Security Agency dell’Egitto accusati del sequestro, della tortura e dell'omicidio del dottorando italiano Giulio Regeni, sparito il 26 gennaio 2016 e trovato morto il 3 febbraio dello stesso anno al Cairo.
Verità per Giulio Regeni. Paola e Claudio Regeni e Alessandra Ballerini legale della famiglia incontrano studentesse e studenti dell'Università di Padova, Venerdì 3 marzo 2023, ore 17.00
© disegno di Mauro Biani

Sommario

  • Il “caso Regeni”
  • I procedimenti penali in Italia
  • La Corte Costituzionale decide sul “caso Regeni”
  • Italia, Egitto e la Convenzione contro la tortura
  • La lotta per verità e giustizia va avanti

Il 26 ottobre 2023 la Corte Costituzionale ha depositato un’importante decisione che rende illegittimo l’articolo 420-bis,comma 3 del codice di procedura penale per la parte in cui non prevede che i giudici possano procedere in assenza degli imputati accusati di crimine di tortura secondo l’articolo 1, comma 1 della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (di seguito Convenzione contro la tortura) del 1984, nel caso in cui lo Stato di appartenenza dell’imputato non assista lo Stato italiano.

Il giudizio scaturisce dalle vicende giudiziarie relative al noto caso di Giulio Regeni, cittadino italiano e dottorando presso l’Università di Cambridge, sequestrato, torturato e ucciso tra il gennaio e febbraio 2016 al Cairo (Egitto) dove si trovava per le sue attività di ricerca sui sindacati indipendenti in Egitto.

Il “caso Regeni”

Giulio Regeni era un cittadino italiano di 28 anni, studente di dottorato presso l’Università di Cambridge. Nel 2016 si trovava nella capitale egiziana per svolgere ricerche sulle attività dei sindacati indipendenti in Egitto successivamente alla presidenza di Hosni Mubarak. Il ricercatore è stato trovato senza vita il giorno 3 febbraio 2016 ai bordi di un’autostrada che collega il Cairo ad Alessandria; dal 25 gennaio dello stesso anno nessuno aveva più sue notizie.

Dalle autopsie condotte sul corpo della vittima sono stati rinvenuti chiari segni di tortura che hanno portato alla morte di Regeni.

Le vicende giudiziarie legate a questo caso sono state e tuttora sono al centro di dibattito pubblico. È nata una grande mobilitazione nazionale ed internazionale da parte della società civile che, anno dopo anno, chiede “Verità e Giustizia per Giulio Regeni”, una frase su sfondo giallo visibile su numerosi Palazzi di città dei comuni italiani, sui braccialetti e sulle spillette di chi aderisce alla campagne.

Sebbene le autorità pubbliche italiane ed egiziane si siano dichiarate determinate a condurre adeguate indagini e trovare i colpevoli del sequestro, degli atti di tortura e dell’omicidio di Giulio Regeni, la cooperazione tra gli inquirenti dei due paesi non è ha dato risultati apprezzabili. Nonostante ciò, nonostante ricorrenti tensioni e un temporaneo richiamo dell’ambasciatore italiano al Cairo,  i rapporti commerciali tra i due Stati non si sono mai interrotti e il 14 settembre 2017 l’ambasciatore italiano ha fatto rientro in Egitto. 

Il 30 aprile 2019 viene istituita la “Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni", chiamata ad accertare le responsabilità relative alla morte del ricercatore, e tenuta a riportare una relazione finale al Parlamento. 

Ad oggi, i processi sui fatti di sequestro, tortura e omicidio commessi contro Giulio Regeni non sono ancora conclusi. La vicenda giudiziaria è particolarmente complessa, soprattutto per la riluttanza delle autorità egiziane a  collaborare con i magistrati italiani. 

I procedimenti penali in Italia

La Corte Costituzionale è stata chiamata ad esprimersi sulla possibilità per le corti italiane di procedere anche in assenza dell’imputato in caso di processi per delitti del tipo di quelli di cui è stato vittima Giulio Regeni. La Consulta si è espressa con sentenza n. 192, del 26 ottobre 2023.

La la decisione colma una lacuna nell’ordinamento giuridico italiano per quanto riguarda la procedibilità penale nei casi di tortura, nel rispetto della Convenzione contro la tortura. 

La vicenda giudiziaria italiana ha avuto inizio con l’avvio delle indagini su richiesta dell’allora Ministro della Giustizia italiano, Orlando, il 23 marzo 2016.

Le indagini della procura di Roma sulla morte di Giulio Regeni si sono concluse nel dicembre 2020, a quasi cinque anni di distanza dai fatti, e hanno portato all’imputazione di quattro agenti della National Security Agency (corpo dei servizi di sicurezza egiziano) per i reati di sequestro, di tortura e omicidio. 
Ai quattro agenti egiziani è imputato il delitto  di sequestro di persona pluriaggravato, “per avere, in concorso tra loro e con altri soggetti non identificati, bloccato Giulio Regeni all'interno della metropolitana del Cairo e quindi privato lo stesso della libertà personale per nove giorni, dal 25 gennaio al 2 febbraio 2016; a uno di loro, inoltre, è stata ascritta l'imputazione di lesioni personali e omicidio pluriaggravati, per avere, in concorso con altri soggetti non identificati, cagionato a Giulio Regeni, a distanza di più giorni, lesioni severe e diffuse, con sevizie e crudeltà, fino a provocarne la morte”.

Il 25 maggio 2021 il Giudice dell’Udienza Preliminare (di seguito GUP) di Roma ha rinviato a giudizio i quattro agenti, ma il processo ha subito una sospensione durante l’udienza del 10 gennaio 2022.

In quella occasione, infatti, gli imputati sono stati dichiarati irreperibili in quanto l’atto di notifica del procedimento non poteva essere loro notificato a causa della mancanza dell’indirizzo dei quattro, mai comunicato dalle autorità egiziane. Il processo subisce un arresto, poiché non è possibile per i magistrati italiani comunicare agli imputati l’esistenza di un processo penale a loro carico. 

La legge italiana, infatti, all’articolo 420-bis del codice di procedura penale (di seguito c.p.p) prevede che si possa eccezionalmente celebrare un processo penale pur in assenza dell’imputato nei casi, tassativi, in cui questi ha ricevuto personalmente la notifica a comparire, quando rinuncia espressamente a comparire, quando ha effettiva conoscenza della pendenza del processo, ma sceglie volontariamente di non presentarsi, ovvero quando è formalmente dichiarato latitante. Nel caso del procedimento relativo alla sparizione, tortura e morte di Giulio Regeni, la notifica ai quattro funzionari egiziani sospettati della citazione a comparire non si è potuta fare perché le autorità egiziane non hanno mai comunicato ai giudici itlaiani i domicili degli interessati, i quali pertanto non potevano essere dichiarati assenti ai sensi dell’art. 420-bis c.p.p. Si prospettava quindi la necessità di procedere secondo quanto prescrive l’art. 420-quater del c.p.p., in base al quale se l’intracciabilità degli imputati persiste, si emana una sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato.

Il giudice italiano è convinto che i quattro agenti di sicurezza egiziani siano a conoscenza del processo a loro carico ma che ci sia un tentativo da parte  delle autorità egiziane di proteggere gli agenti, generando una sorta di “immunità de facto”. L’Egitto, non collaborando, impedisce la celebrazione del processo.

Per superare l’impasse, durante l’udienza del 31 maggio 2023 il GUP di Roma pone dunque il quesito di legittimità costituzionale dell’articolo 420-bis nella parte in cui non prevede che si possa procedere in assenza dell’imputato per il reato di tortura definito all’articolo 1, comma 1 della Convenzione contro la tortura, quando l’impossibilità di provare che l’imputato ha conoscenza del procedimento a suo carico dipende dalla mancata assistenza dello Stato di appartenenza o di residenza dell’imputato stesso. 

Il giudice di Roma solleva la questione di legittimità costituzionale di questa norma in relazione agli articoli 2324 della Costituzione Italiana. La norma vigente, infatti, impedisce di agire in giudizio a tutela dei diritti fondamentali della persona. E’ ricordata anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani (CtEDU), la quale ritiene violato l’articolo 3 (Proibizione della tortura e di altre pene o trattamenti disumani o degradanti) della Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU) nel suo versante procedurale quando vengono impedite le indagini o i procedimenti contro i responsabili degli atti di tortura. Inoltre, il giudice ritiene violato anche l’articolo 117, comma 1 della Costituzione che vincola lo Stato italiano al rispetto degli obblighi internazionali, in questo caso la Convenzione contro la tortura. Infine, sono ritenuti violato l’articolo 111 della Costituzione, in relazione al diritto all’equo processo e al diritto per gli imputati di partecipare al procedimento che li vede coinvolti, da leggere congiuntamente all’articolo 6 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo (Diritto a un equo processo)l’articolo 112, che prevede l’obbligo per il pubblico ministero di esercitare l’azione penale. 

La Corte Costituzionale decide sul “caso Regeni”

La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 420-bis, comma 3, c.p.p. per il fatto di non prevedere la possibilità di procedere in assenza dell’imputato per i delitti commessi mediante atti di tortura (articolo 1, comma 1 della Convenzione contro la tortura) quando l’assenza è dovuta ad una mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato. Tuttavia, a tutela del diritto a un equo processo, la pronuncia della Corte prevede anche la possibilità per l’imputato di richiedere l’apertura di un nuovo processo in presenza. 

La Corte Costituzionale ragiona su due diritti umani fondamentali: il divieto di tortura e il diritto a un equo processo

La Corte innanzitutto afferma che: “La tortura è un delitto contro la persona e un crimine contro l’umanità”. Essa sottolinea che, sebbene il reato di tortura sia stato codificato in Italia solo nel 2017 (legge numero 110 del 2017), la norma riveste, sul piano internazionale, carattere di ius cogens, norma inderogabile del diritto internazionale. La Corte evidenzia, riprendendo la giurisprudenza europea della CtEDU, che il non perseguimento dei reati di tortura costituisce una violazione dell’articolo 3 CEDU nella sua parte procedurale, in quanto l’impossibilità di accertamento giudiziale per la commissione di atti di tortura offende la dignità della vittima di tale reato, nonché i suoi familiari. 

La Corte riconosce peraltro che il diritto dell’imputato a presenziare al processo è anch’esso un diritto umano fondamentale, tutelato a mezzo dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della CEDU, e ciò vale anche per i quattro agenti della National Security Guard egiziana. La Corte si spinge fino a configurare un diritto partecipativo dell’accusato. Essa pertanto interpreta in senso costituzionalmente orientato l’art. 420-bis nel senso che l’imputato ha la possibilità di far riaprire il procedimento penale a suo carico nel caso in cui dovesse comparire, tutelando così il suo diritto a partecipare al procedimento.

Qualsiasi siano le ragioni che spingono le autorità egiziane a non trasmettere gli indirizzi delle persone imputate alla magistratura italiana, la lacuna normativa italiana all’articolo 420-bis c.p.p. viola pertanto i diritti umani alla proibizione della tortura e al giusto processo. 

Con questa sentenza, la Corte Costituzionale non solo “sblocca” la celebrazione del processo Regeni, ma aggiunge un’ulteriore ipotesi da aggiungersi all’elenco tassativo di condizioni di procedibilità penale in absentia dell’articolo 420-bis c.p.p.. 

Italia, Egitto e la Convenzione contro la Tortura

La sentenza della Corte Costituzionale del 26 ottobre 2023 evidenzia anche sulle lacune dell’ordinamento giuridico italiano nel rispettare gli obblighi internazionali. In questo caso, la Consulta rileva come l’Italia non abbia rispettato gli obblighi derivanti dalla Convenzione contro la tortura adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 10 dicembre 1984.

L’Italia l’ha ratificata colegge numero 498 del 1988 e ha proceduto a introdurre il delitto di tortura nell’ordinamento italiano tramite la legge numero 110 del 2017, con evidente ritardo. La legge inserisce gli articoli 613-bis (Tortura)613-ter (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura) nel codice penale. 

Tuttavia, il vulnus costituzionale dell’articolo 420-bis c.p.p. ha messo in luce il mancato rispetto dell’articolo 5 della Convenzione contro la tortura, che ammette la doppia o tripla giurisdizione sul reato di tortura, nel senso che esso può essere perseguito sia dallo Stato in cui il delitto ha avuto luogo, sia dallo Stato di appartenenza del presunto autore, sia da quello di appartenenza della vittima, così da evitare l’impunità dei presunti responsabili.  La sentenza della Corte costituzionale mette in evidenza un certo disallineamento tra l’art. 420-bis e la legge italiana di ratifica della Convenzione contro la tortura, dal momento che quest’ultima prevede che “è punito [...] lo straniero che commette all’estero in danno di un cittadino italiano un fatto costituente reato qualificabile come atto di tortura ex articolo 1 della Convenzione contro la tortura”. 

Anche l’Egitto ha ratificato la Convenzione contro la tortura, il 25 giugno 1986. Anch’esso, nella vicenda Regeni, ha violato la norma internaizonale, in particolare l’articolo 9 della Convenzione, il quale prevede che gli Stati sono tenuti a prestarsi “la più ampia assistenza giudiziaria” nell’ambito dei procedimenti penali relativi al delitto di tortura, comunicando alle autorità che indagano su casi di tortura tutti gli elementi di prova di cui dispongono. In questo caso, gli unici elementi da dover comunicare erano gli indirizzi delle persone imputate. 

La sentenza della Corte Costituzionale permette all’Italia di adempiere agli obblighi derivanti dalla Convenzione contro la tortura consentendo alla magistratura italiana di celebrare il processo Regeni, nonostante la scarsa cooperazione dell’Egitto.

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